Rivista "IBC" XVII, 2009, 3
musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni, storie e personaggi
Per la serie ormai rara delle mostre piccole e buone, merita senz'altro di essere ricordato l'omaggio che, nella tarda primavera scorsa, Faenza ha reso al "suo" Franco Gentilini, ricorrendo quest'anno il centenario della nascita dell'artista. Due le sezioni espositive allestite alla Banca di Romagna e alla Pinacoteca comunale, per un ritorno agli "anni faentini" di Gentilini (1925-1932). Bella specialmente la seconda, per semplicità di impianto e linearità allestitiva. Da segnalare il catalogo, che senza marchio del solito editore di grido è stato, una volta tanto, accessibile a tutti. Giuseppe Appella vi ha scritto un testo introduttivo breve, e però magistrale, dal titolo Gentilini, Faenza e l'atto di fede nella pittura; nel quale, tra l'altro, riporta alcuni passi di una sorprendente (e almeno per noi inaspettata) pagina gentiliniana di un giovane Aglauco Casadio pubblicata su "La Fiera Letteraria" del '51...
"I suoi primi quadri furono paesaggi faentini, molto rosa e molto grigi, e nudi onesti, di carne bionda. Dipingeva sul fondo minio, e certe tavolette credo le preparasse anche con la foglia d'oro. Era già arguto in una maniera sua, sebbene non dichiarata ancora del tutto, e si vedeva nella scelta di certe piazzette, dove le beghine si attardano, dopo il Vespro, con la filotea sotto il braccio, o di periferie, dove si vanno a mangiare, verso Pasqua, le budella di pecora fritte, con rumorose compagnie. Era pieno di gusti, il suo modo di scherzare era sottile e indifferente, come il motteggio e le allusioni che gli venivano alla bocca, la sera, al Caffè del Cigno o alla Riunione Cittadina. In una Faenza dove i pittori e i letterati scoprivano allora, nella libreria Pasini, Cézanne e Baudelaire, uno sulle monografie, l'altro tradotto in prosa da Riccardo Sonzogno, con xilografie nel testo, la pittura e la vita di Gentilini facevano rumore".
Quale migliore "guida" per il visitatore! Veniamo introdotti, così, nel clima culturale di una città di provincia che aveva provato a essere meno provinciale già con il cenacolo baccariniano, e ancora comunque generalmente restia a dar credito alle "provocazioni" dei propri giovani artisti. Buona anche la scelta di far partire il percorso della mostra (e del catalogo) da un Autoritratto del 1925, come esempio di una continuità nella tradizione che però il giovane Gentilini deve certo aver sentito in sé precocemente incalzata dal gusto della modernità.
Si sa, d'altra parte, che anche all'inizio della sua storia artistica c'è stato un apprendistato di bottega, prima come lavorante in una fabbrica ceramica (la Focaccia & Melandri) e poi come aiutante di Mario Ortolani nella produzione di maioliche. E giustamente le opere dell'esordio presenti nella rassegna faentina hanno posto nel giusto rilievo l'osservanza, mai però accademica ma solo officinale, di regole e atteggiamenti, che infatti, come ha scritto Appella, "non sfociano in una teoria ma nella consapevolezza dell'impressione visiva riposta nella fermezza dell'impegno": un risultato ottenuto anche grazie all'incontro a Bologna con il concittadino Giovanni Romagnoli.
Franco Gentilini non ha svolto regolari studi accademici, costruendosi da solo un mestiere di artista. Ma nella mostra faentina, nei tanti ritratti e ritrattini del giovane colorista per natura, eseguiti subito dopo il '25 ed entro il 1930, certi inviti di un vero professore di accademia, qual è stato Romagnoli, all'esercizio del disegno, o anche dei consigli e dei suggerimenti di Nino Bertocchi sull'uso del tratto, si son intravisti, eccome. Poi certo si è notato, sempre meglio definito, anche lo spazio inventivo, con l'interesse marcato per gli aspetti giornalieri della realtà, per una quotidianità da cogliere "in uno slancio aperto di sensualità" (sempre Appella). E molte altre sono state le sorprese, gli effetti, i rimandi offerti dall'itinerario faentino dentro i primi otto anni di attività di Gentilini. Con lo stile della pittura già specchiato nello stile della vita: tra quotidiani accadimenti e fatti straordinari, cominciando dal breve viaggio romano del '29 e dall'esperienza parigina del '30 assieme all'amico Giuseppe Liverani. E poi i rimandi: una vera e propria catena, fino alla più recente lezione degli impressionisti "studiati" dal vero, verso la conquista di una "progressiva maturazione dell'osservazione attenta ma distaccata del soggetto". Ammirando gli ultimi quadri prima del trasferimento a Roma del '32, si è inteso che qui a Faenza, già allora, Gentilini ha di sicuro immaginato per sé e per la sua pittura il traguardo di "uno stile universale esprimente un nuovo concetto di bellezza".
Tra le iniziative dedicate al pittore faentino, infine, merita di essere segnalata la mostra promossa dalla Fondazione Tito Balestra: "Franco Gentilini. Dipinti, disegni, collages, incisioni dal 1944 al 1980", allestita al Castello Malatestiano di Longiano dal 7 giugno al 30 agosto 2009 e incentrata sul periodo romano. In esposizione cinquanta opere che hanno ripercorso la formazione del linguaggio espressivo di Gentilini, nel segno della più libera fantasia dopo il distacco dalla scuola romana e il recupero di interesse verso le avanguardie storiche europee.
Franco Gentilini. Anni faentini 1925-1932, a cura di C. Casadio, Faenza (Ravenna), Comune di Faenza - Banca di Romagna, 2009, senza numerazione delle pagine, senza indicazione di prezzo.
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