Rivista "IBC" XVII, 2009, 1
musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni
A Forlì, ancora una grande mostra. È Antonio Canova, il "Fidia" moderno, il protagonista dell'esposizione allestita dal 25 gennaio al 21 giugno 2009 nelle sale dei Musei di San Domenico, curata da Antonio Paolucci, Fernando Mazzocca e Sergéj Androsov, e promossa dalla Fondazione Cassa dei risparmi in collaborazione con il Comune di Forlì, i Musei Vaticani, il Polo museale fiorentino, l'Ermitage di San Pietroburgo, il Museo civico di Bassano e la Soprintendenza (www.mostracanova.eu). Sono 170 le opere esposte: pezzi ellenistici, l'Ermes del Giambologna, statue del Canova, di Thorvaldsen, di Tenerani, e insieme anche dipinti, che illustrano l'ammirazione dei pittori di figura: Hayez, che fu il suo vero erede, ma anche Landi, Appiani, la Vigée Lebrun, la Kaufmann, Romney, Hamilton, oltre ai nostri Giani e Palagi. Una panoramica sul neoclassicismo internazionale e una riflessione sulla bellezza, si potrebbe dire - mentre a Lucca è di scena la monografica su Pompeo Batoni - e un atto doveroso verso il maestro di Possagno, senz'altro il più impegnativo dopo la mostra del '92.
Come Raffaello tre secoli prima, Canova regalò al mondo la consolazione del Bello, e per giunta in tempi calamitosi, quando nell'incalzare di pochi anni si avvicendarono eventi come la rivoluzione, le guerre, l'avvento dell'impero, la restaurazione. Ma lui fu, per tutti, lo scultore: per i papi come per Napoleone, per gli inglesi come per i granduchi russi, per i francesi come per gli aristocratici italiani. E anche per i romagnoli. Forlì, infatti, è città del Canova. Per la contessa Veronica Guarini, Antonio eseguì l'Ebe, ora alla Pinacoteca civica forlivese (1816), ma risale a due anni prima la Danzatrice con il dito al mento, opera dispersa e identificata forse con un originale in collezione privata. Una statua stupenda, eseguita per il banchiere Domenico Manzoni, ricordato nella stele funebre scolpita da Canova per la chiesa della Santissima Trinità. Per capire meglio la nascita del capolavoro forlivese, i progettisti dell'allestimento, Wilmotte e Alessandro Lucchi, hanno proposto in successione l'Ebe di Forlì e quella dell'imperatrice Giuseppina, accostate a due capolavori della scultura antica, l'Arianna ora agli Uffizi e la Danzatrice di Tivoli; figure sospese, le vesti fluttuanti sollevate dal vento nella sezione di coreografia che culmina con il Mercurio del Giambologna.
Canova si ispirava alla danza: la successione del gesto e il moto rotatorio delle statue su un piedistallo mobile sfidavano la concezione statica della scultura, e la gravità della terra. "Bellezza in movimento": ecco la novità introdotta dallo scultore, capace di risvegliare il marmo con il soffio magico della vita e di tradurre, nella materia inerte, la grazia e la flessuosità del gesto. E la verità delle carni, corpi perfetti che riemergevano, dopo secoli di ostruzionismo, dall'andamento disadorno del guardaroba. Era, insomma, una sfida alla materia; e, per paradosso, in un'arte fatta con strumentazioni pesanti. Il segreto lo aveva appreso a Roma, dove si recò dopo un apprendistato alla bottega del nonno scalpellino. Lì, in quel museo all'aperto, realizzò la sua vocazione e forse si arrampicò sui Dioscuri del Quirinale, ricordati nei Pugilatori dei Musei Vaticani.
Ma la "nobile grandezza" degli antichi lo colpì a Londra, di fronte ai marmi del Partenone: "Ammiro in essi la verità della natura"; "Tutto qui spira vita"; "Le opere di Fidia sono vera bellissima carne". Era un modello non da imitare, ma da ricreare, giorno dopo giorno, come consigliava il Foscolo, che si estasiava per la Venere italica, "donna bellissima" eseguita da Antonio Canova in sostituzione della dea medicea rapita da Napoleone. Ai francesi Antonio dette filo da torcere, perché fu un abile stratega nel recuperare opere trafugate. La sua azione in qualità di "ispettore delle Antichità e Belle Arti" dello Stato della Chiesa (il secondo, dopo Raffaello) - una carica della quale lo insignì il "papa dei beni culturali", Pio VII Chiaramonti - è ricordata dalla mostra "L'arte contesa", allestita presso la Biblioteca Malatestiana di Cesena: una fase del percorso ottocentesco nelle Romagne cui si affianca, a Faenza, in palazzo Milzetti, la rassegna sull'officina neoclassica romagnola, "Giani e Minardi: dall'Accademia de' Pensieri all'Accademia d'Italia".
Canova. L'ideale classico tra scultura e pittura, a cura di A. Paolucci, F. Mazzocca e S. Androsov, Cinisello Balsamo (Milano), Silvana Editoriale, 2009, 383 pagine, 35,00 euro.
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