Rivista "IBC" XVI, 2008, 2

Dossier: Dentro l'evento - Anatomia di una manifestazione culturale

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier / immagini

Anatomia di un evento culturale: il Festival del Mondo Antico di Rimini

Peppino Ortoleva
[docente di Teoria e storia dei media all'Università di Torino]
Nicoletta Verna
[laureata in Scienze della comunicazione all'Università di Siena]
Luca Zanette
[laureando in Scienze della comunicazione all'Università di Torino]

Una ricerca sul campo

"L'occuparsi di mondo antico per noi significa soprattutto avere un occhio antropologico, cioè vedere cosa c'è nella nostra cultura, e nelle altre culture, di interessante da comprendere, anche per ragioni di senso generale, di comprensione di ciò che è altro da noi". Le parole di Marcello Di Bella, direttore del Festival del Mondo Antico (nonché direttore della Biblioteca civica "Gambalunga" e coordinatore dei Musei comunali di Rimini), sono state al tempo stesso un punto di partenza e un oggetto di verifica per l'équipe di ricerca che, sotto la direzione di Peppino Ortoleva, ha condotto la sua indagine sul Festival nel giugno 2007, nel corso dei quattro giorni della manifestazione, al fine di cogliere le dinamiche comunicative e di relazione con il pubblico, le ricadute sul territorio, la congruenza tra gli obiettivi e i risultati.1

Del resto, il metodo stesso dell'indagine può essere definito, in senso lato, come "antropologico", o più precisamente come etnografico. Le tecniche utilizzate sono state infatti, principalmente, l'osservazione partecipante, l'intervista semistrutturata e l'analisi qualitativa dei contenuti. L'osservazione partecipante è stata condotta dai ricercatori di Mediasfera Nicoletta Verna e Luca Zanette per tutta la durata del Festival (14-17 giugno 2007) su una serie di eventi selezionati e sul contesto generale. La discesa immersiva sul campo ha consentito di guardare e ascoltare in modo continuativo i soggetti studiati, prendendo nota, analizzando, interpretando, in certi casi anche (inevitabilmente) generalizzando. Le interviste non strutturate hanno coinvolto quelli che abbiamo definito i "protagonisti" (organizzatori e relatori, a cominciare come si ricordava dal direttore Di Bella) e il pubblico del Festival, per un totale di 88 colloqui (70 con visitatori e spettatori, 18 con i protagonisti) che sono stati registrati e poi trascritti nei giorni immediatamente successivi alla fine del Festival a cura degli stessi ricercatori.

La ricerca si è conclusa con l'analisi qualitativa del materiale raccolto, integrata dai dati quantitativi sulla partecipazione del pubblico forniti dalla direzione del Festival. Si è cercato di ricostruire delle "storie" significative a partire dalle stesse parole dei soggetti intervistati. Quella che segue è una sintesi, che ci auguriamo leggibile e per quanto possibile completa, di un rapporto finale ovviamente assai più ampio.2


Il Festival del Mondo Antico: che cosa, come e a chi

Il Festival del Mondo Antico (antico.comune.rimini.it) è stato preceduto, negli anni dal 1999 al 2004, da "Antico/Presente", una serie di conferenze e letture sui testi classici che oggi sono confluite nel festival come "commenti magistrali". Il 1999 è anche l'anno in cui si concludono gli scavi che hanno portato alla luce l'Anfiteatro romano. L'evento, dunque, fa parte di un più ampio progetto volto a riqualificare Rimini per il suo valore di sito archeologico di grandissima rilevanza.

Mentre le conferenze di "Antico/Presente", però, si tenevano ad agosto, il varo del Festival vero e proprio (2005) porta alla decisone di anticipare l'evento a giugno. Come nota l'assessore comunale alla cultura, Stefano Pivato, lo spostamento dall'alta alla bassa stagione è motivato dalla volontà di "portare gente dal di fuori. E di appassionare soprattutto i turisti che sono qui a Rimini o eventualmente, auspicabilmente, di chiamarne dei nuovi". Aggiunge Di Bella: "Abbiamo pensato che l'unico periodo fosse quello estivo, e in modo particolare il mese di giugno, nell'intervallo tra la fine della scuola e l'inizio degli esami. L'idea è offrire l'occasione alla comunità più ampia possibile. E quindi questo ci lega al mondo turistico, che comunque, dal nostro punto di vista, è una risorsa". Si può ipotizzare, per altro, che la scelta di giugno resti in realtà rivolta soprattutto ai riminesi (che in agosto sono in vacanza o occupati nei lavori stagionali) e/o che voglia, al contempo, eludere il calendario già congestionato di eventi dell'alta stagione, che rischierebbero di sottrarre pubblico al Festival.

Comunque, gli organizzatori ipotizzano per il Festival un target molto ampio e variegato. "Come pubblico" - dichiara Di Bella - "sia per età che per formazione e livello culturale, credo che la gamma sia piuttosto ampia. Cioè, non abbiamo solo quelli che hanno fatto il liceo classico, anzi". Cercare di raggiungere un pubblico ampio, tuttavia, non significa "volgarizzare" l'evento. Da qui anche la distinzione che Di Bella tiene a fare tra "semplificazione" e "sintesi": "Quelli che vengono qui sono dei privilegiati, perché in poco trovano delle sintesi altamente qualificate di saperi. La sintesi può essere una semplificazione, ma non è detto che sia una semplificazione". Resta da vedere quanto il pubblico dei "privilegiati" possa poi andare a coincidere col vasto target ipotizzato.

Certo è che il Festival offre una notevole varietà di "livelli di lettura": lo dimostra la molteplicità dei linguaggi, alcuni dei quali decisamente originali. Accanto ai "commenti magistrali", dai quali come si ricordava l'intera iniziativa ha preso le mosse, e a formule relativamente accademiche come i convegni e le presentazioni di libri, accanto alle iniziative volutamente spettacolari come la rassegna filmica e le ricostruzioni di un processo e di un accampamento romano, vanno ricordati i giochi e i laboratori per bambini e ragazzi - che secondo Ilaria Balena (collaboratrice dei Musei comunali di Rimini) sembrano aver fruito di "un loro Festival parallelo" - e le visite guidate, tra le quali di particolare successo quella "sotto" il Ponte di Tiberio. A proposito del pubblico di questo evento Maddalena Mulazzani (anche lei collaboratrice dei Musei comunali) commenta: "Per la maggior parte sono persone comuni. Soprattutto riminesi, che hanno intenzione di vedere sotto un'ottica diversa il Ponte di Tiberio. Questa cosa li ha accattivati molto: il fatto di andare in barca sotto, insomma di girarlo. Direi che di specialisti non ne ho incontrati".

Il ventaglio di generi e linguaggi costituisce in sé una delle ricchezze maggiori della formula, anche se solo una parte dei visitatori sembra averla percepita nel suo insieme.


Rimini, città del Festival

Se le politiche culturali devono favorire lo sviluppo di un territorio - affermano le concezioni oggi prevalenti - occorre prima di tutto valorizzare il patrimonio già esistente, più che puntare sulla creazione di valori o attrazioni ex novo. In questo senso, la scelta di istituire a Rimini un evento dedicato all'antichità classica non è certo fortuita. Anche Giovanni Brizzi (docente di Storia romana all'Università di Bologna) tiene a mettere in risalto il ruolo strategico che la città ricopriva in epoca romana: "Rimini rappresenta anche l'entrata nella piana del Po, lo snodo di una concezione romana della politica, a cavalcioni della seconda guerra punica"; e aggiunge l'assessore Pivato: "C'è un patrimonio di straordinaria ricchezza per quello che riguarda l'età classica, la Rimini romana. Ecco, diciamo, questo è il software che deve preparare la sensibilità all'hardware che diventa sicuramente il patrimonio artistico più importante del riminese, insieme ovviamente a quel che già c'è, come l'Arco di Augusto e il Ponte di Tiberio".

Il Festival, dunque, ricorda ed esalta il patrimonio storico, troppo spesso trascurato, del territorio. Questo sembra essere avvertito molto bene anche dai visitatori. Alla domanda "perché un Festival del Mondo Antico a Rimini?" quasi tutti rispondono citando il fondamentale ruolo che la città ha ricoperto in epoca romana e/o le tracce ancora visibili della sua lunga storia. Un valore particolarmente sentito dai riminesi, anche come sorta di vanto cittadino da contrapporre all'immagine spesso stereotipata della Rimini massificata. Così Giovanna, maestra, dichiara: "Premessa: sono nata a Rimini, quindi lo vivo questo... Io tutte le volte mi emoziono a vedere l'Arco e il Ponte di Tiberio, vedere i monumenti che restano di quell'epoca. Per i turisti non so, magari è più nota la riviera, però vedo che c'è sempre un sacco di gente a visitare i monumenti".

Coerentemente con questa finalità, la maggior parte delle iniziative si è raccolta nel centro storico di Rimini. Il polo principale è il Museo della città, molto vicino alla Biblioteca "Gambalunga", altra sede strategica degli eventi. I commenti magistrali sono programmati in piazza Cavour e presso la Corte degli Agostiniani, altri eventi all'Anfiteatro romano e, come si è ricordato, al Ponte di Tiberio: tutte locations facilmente raggiungibili, ben collegate e fortemente connotate dal punto di vista storico e culturale. L'intenzione, evidentemente, è anche dischiudere i luoghi della cultura riminese agli abitanti e ai turisti, motivandoli a effettuare una visita. Questo obiettivo in molti casi è stato raggiunto, come testimonia Paola, insegnante di Lettere di Santarcangelo: "Sono stata nella Corte degli Agostiniani e qui, all'interno del Museo, in bellissimi spazi. Sia nel Lapidario, sia nella sala oggi... Spazi che non avevo mai visto". Aggiunte Teresa: "A me piace moltissimo questa idea che gli incontri siano fatti in questi ambienti così suggestivi, anche. Mi trovo proprio a mio agio. Bella atmosfera". Per i giovani, il target che Di Bella definisce più arduo da raggiungere, può trattarsi di una vera e propria scoperta: "Un mio amico friulano è rimasto stupito: 'Ma Rimini ha un centro storico!'" commenta Caterina, 21 anni.

Accanto a queste locations è stata programmata una dislocazione degli eventi su altre sedi, come il Museo degli sguardi di Covignano, il Museo archeologico villanoviano di Verucchio, la Rocca malatestiana di Mondaino e il Museo della Regina di Cattolica. Questa scelta è stata dettata da due ordini principali di motivazioni: da un lato la volontà di ampliare i confini (e quindi la risonanza) del Festival, andando a coinvolgere non solo il centro di Rimini ma anche le zone limitrofe, dall'altro creare una forte sinergia con poli culturali di importanza internazionale, in primis Verucchio. Questo ha posto alcuni problemi logistici di spostamento, visto anche il fitto calendario degli eventi ("Finché si tratta dei luoghi qua nel circondario di Rimini è ovvio che sono anche più facili da raggiungere, quindi permette più afflusso di gente. Quando si comincia ad andare un po' più distanti è anche difficile andare. Anche se sono belli da vedere" dice Matteo, 20 anni).

Al Museo della città l'accoglienza è decisamente ben organizzata: è forte la sensazione di trovarsi all'interno di una manifestazione più ampia, c'è fermento nei corridoi, la distribuzione delle iniziative nelle varie sale è funzionale e gli eventi ben segnalati, l'ufficio accoglienza è in grado di gestire con professionalità i flussi di pubblico. L'altra location di punta del Festival è la Biblioteca "Gambalunga", ospitata nell'omonimo palazzo storico. Anche in questo caso si avverte un forte legame fra il luogo e l'evento che ospita.

Se la programmazione degli eventi nel centro storico permette agevoli percorsi fra Museo e Biblioteca, però, occorre rilevare che il "clima" del Festival non si percepisce in maniera altrettanto forte nel resto della città. Commenta Ilaria Balena: "Anche questa è una cosa che secondo me è un po' da migliorare. Già quest'anno, però, il fatto che abbiano messo dei totem in giro, in piazza, cerca di ampliare un po' il circuito". Un rapporto più articolato con la città, insieme a una maggiore attenzione al marketing, "creerebbe l'aspettativa e aumenterebbe la curiosità.".

Manca, per esempio, una sinergia significativa con i commercianti riminesi. Alcuni espongono in vetrina un depliant del Festival, ma siamo lontani da un'azione forte e integrata. La sensazione, nel complesso, è che da parte dei commercianti manchi in primo luogo una consapevolezza delle potenzialità del Festival. Manca, inoltre, un'interazione significativa con i ristoratori: vi sono ristoranti convenzionati col Festival che offrono sconti ai partecipanti accreditati, e che hanno pensato a dei menù ad hoc sul mondo antico, ma ciò è avvenuto più in base a contatti personali che a una politica organica.

Manca, soprattutto, l'interazione con le strutture turistiche e con gli uffici per il turismo. Di Bella affronta con franchezza questo tema senza negare un certo disappunto: "Sì, con l'Azienda di promozione turistica ci sono dei rapporti. Del resto, non a caso l'agenzia regionale per il turismo ha sede a Rimini. Devo dire che, però, a parte un appoggio degli uffici, un supporto nell'aiutare la comunicazione verso la stampa, non è stata investita neanche una lira da parte di loro. Penso che la ritengano un'iniziativa assolutamente marginale". La scissione fra le due anime della città (centro storico = cultura / Marina Centro = divertimento) si avverte nelle parole di moltissimi intervistati; e la mancata sinergia fra le varie strutture preposte al turismo riminese sembra in effetti costituire uno dei maggiori problemi del Festival. Ma quanto è dovuto, come afferma Di Bella, a una mancata sensibilità dei circuiti del "grande turismo" verso le iniziative culturali? E quanto invece a una sorta di titubanza, da parte dell'organizzazione del Festival, ma forse anche dei suoi stessi frequentatori, a entrare nelle logiche massificate del turismo popolare?

Certo è che nelle interviste agli organizzatori abbiamo più volte incontrato una rivendicazione esplicita della vocazione culturale del Festival, quasi in opposizione alla Rimini più turistica. E anche molti visitatori (soprattutto riminesi), non nascondono un certo fastidio (fino in certi casi allo snobismo) verso la città del "divertimentificio": "Rimini si deve generalmente rivalutare da un punto di vista culturale, cambiare un po' la sua fama, il suo aspetto, di luogo di mero divertimento, e dare alla gente anche altre prospettive" (Maria Cristina, docente di filosofia); "Sì! Ce n'era bisogno! Perché non è solo spiagge!" (Annamaria, pensionata); "Era ora! Rimini è vista solo come città balneare, e i turisti non si rendono conto del grande patrimonio che abbiamo" (anonima, impiegata riminese). Il termine che emerge con più frequenza è "sfida". La Rimini balneare è vista, se non proprio come un nemico da combattere, quanto meno come un mito da sfatare, non come un alleato dal quale poter trarre vantaggiosi sostegni.

Colpisce, nelle parole sia dei promotori sia di molti dei frequentatori del Festival, una rappresentazione dell'industria turistica del riminese forse più schematica di quanto ci si aspetterebbe da intellettuali che conoscono assai bene il loro territorio. Vengono in mente in proposito le pagine scritte oltre vent'anni fa da Pier Vittorio Tondelli: "Molti snobbano la nostra riviera. Ma più per sentito dire che per altro. Dici Rimini, o Riccione e subito quelli pensano alla pensioncina, alla piadina e alla mazurka sull'aia. E dicono Rimini per carità, l'Adriatico, via! Poi li porti qui per un weekend e non si toglierebbero mai più. Ho visto un sacco di gente con la puzza sotto il naso implorarmi poi di cercargli una camera anche alla pensione Elvira, anche un sottotetto senza bagno. Disposti a tutto, pur di consumare qui qualche notte". Il "luogo faticosissimo" di cui parla Tondelli, il "distretto del piacere" di un libro pubblicato qualche anno fa dal sociologo Aldo Bonomi, certo non presentano a prima vista grandi affinità con l'offerta culturale del Festival, ma neppure possono essere banalizzati a "posto di villeggiatura". Sono già indici di un pubblico complesso, stratificato, che per un'iniziativa culturale essa stessa articolata può costituire anche un'occasione.

C'è in effetti una minoranza degli intervistati che coglie questo aspetto. Carlo Tovoli, giornalista e funzionario dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, dichiara: "Sul litorale non ci sono manifesti, non ci sono programmi. Si poteva avere un'attenzione un po' più mirata, magari ricordando qualcuno degli eventi - penso ad Angela - che possono coinvolgere di più il grande pubblico e colpirlo. Usare anche gli altoparlanti, fare anche queste cose un po' pacchiane. Che però forse funzionano. Perché secondo me, se tu dici a un pubblico che ignora - non che è ignorante, ma che non sa - che ci sono Alberto Angela o Massimo Cacciari, questi personaggi che interessano perché sono sempre in televisione, magari si riesce a coinvolgere anche un altro tipo di pubblico, che non sia solo quello emiliano-romagnolo". E nota un'organizzatrice di eventi intervistata a Verucchio: "Non si lavora più solo con la costa, si lavora molto con l'entroterra, quindi anche sulla cultura, che prima qui era molto bistrattata. E credo che questo paghi, perché il turista è mediamente di una certa età. Non sono tutti ragazzini quelli che vengono in vacanza. Così se i ragazzi trovano comunque le discoteche, quello che vogliono, chi ha l'età mia o è più grande riesce a trovare il modo di fare delle cose un po' più interessanti". Sintetizza Claudio, insegnante di filosofia: "Rimini non deve diventare una città culturale per forza. Deve in qualche misura assorbire tante dinamiche. Una di queste può essere il Festival del Mondo Antico, come può esserlo un altro festival".

Tutte le criticità appena ricordate non debbono fare trascurare un dato: nell'insieme la presenza del Festival riesce a farsi sentire, almeno per quanto riguarda gli eventi di maggiore richiamo, molto oltre la cerchia di coloro che sono generalmente interessati a questi temi. Dice Stefano, intervistato dopo il commento magistrale di Umberto Galimberti: "Ho vissuto 23 anni a Roma e sono qui da poco, da 6-7 anni. Queste iniziative le trovo molto positive e caratterizzanti anche il posto. Iniziative di questo genere per esempio, in piazza, a Roma io non le ho mai viste. Che si riesca a mettere in piedi una lezione di filosofia in una piazza mi sembra una cosa molto bella, che nelle grandi città non è possibile, anche se lì poi ci sarebbero le forze, ci sarebbero i personaggi che potrebbero farlo, e non ci si riesce. Quindi la cosa che a me piace è che la provincia per alcuni versi fa delle cose che le grandi città non riescono a fare".

Non è forse un caso che i grandi festival culturali abbiano attecchito in città dalle dimensioni perlopiù piccole o medio-piccole (Mantova, Modena, Trento): la dimensione raccolta del centro probabilmente aiuta ad accogliere l'evento in maniera più spontanea e totalizzante, mentre i festival culturali collocati nelle grandi città, a cominciare da Roma, risultano generalmente meno visibili.


Far conoscere il Festival

Resta un problema di promozione nazionale del Festival. Arianna De Nicolò, responsabile della comunicazione attraverso l'ufficio stampa, ha invece fatto notare che in questa edizione l'interesse da parte dei media è notevolmente aumentato, soprattutto grazie alle ricostruzioni storiche del processo e dell'accampamento. Questo tipo di eventi, secondo De Nicolò, funziona anche dal punto di vista della comunicazione, soprattutto con la radio: "Abbiamo avuto interviste in diretta con 'Fahrenheit' su Radio 3. Radio 24 farà quattro collegamenti in diretta. Stamattina, su Radio 2, c'era il programma di Luca Crovi, e domani sullo stesso canale ci sarà la trasmissione 'L'altro lato', in diretta dal CaterRaduno di Senigallia. Anche la stampa nazionale, a livello di quotidiani, quest'anno ha risposto. Anche il Corriere della Sera: terza pagina. Non è mai successo in questi tre anni. Da quest'anno ce l'abbiamo fatta. Quindi, dal mio punto di vista, posso dire che c'è stata sicuramente una scelta più mirata degli eventi, che ha permesso anche a noi di promuoverci meglio. L'interesse, insomma, è cresciuto tantissimo". E aggiunge un cambio strategico, a suo avviso fruttuoso, nel media planning: "Per esempio quest'anno abbiamo allargato anche alle radio locali, quelle che vengono ascoltate nei bar, eccetera. Proprio perché l'intento è quello di avvicinare un pubblico sempre maggiore a degli argomenti che possono essere trattati anche in maniera molto semplice, amena, divertente, quindi alla portata di tutti".

La sensazione generale emersa dalle interviste col pubblico, comunque, è che la comunicazione sia stata efficace soprattutto verso chi già sapeva dell'evento, o verso chi era motivato a cercare attivamente l'informazione, decisamente meno verso chi, pur potenzialmente interessato, non era già incluso nell'area di riferimento. Comunicare bene con chi è già almeno in parte informato, meno bene con chi non lo è: il problema non riguarda, naturalmente, solo il Festival del Mondo Antico, ma ogni tema generalmente veicolato dai mass media. Gli studi di comunicazioni di massa parlano, a questo proposito, di "esposizione selettiva": "I componenti dell'audience tendono a esporsi all'informazione congeniale alle loro attitudini e a evitare i messaggi che sono invece difformi".3 Una comunicazione strutturata efficacemente dovrebbe andare proprio a "colpire" coloro che non sarebbero potenzialmente interessati all'informazione, ma che una volta informati possono manifestare interesse a partecipare all'evento.

D'altra parte, la nostra indagine ha dimostrato un alto livello di quella che un orrendo termine del marketing chiama "fidelizzazione" dei visitatori: in altre parole, chi c'è stato tende, se può, a tornarci. Le interviste dimostrano che lo zoccolo duro degli appassionati conosce il Festival, vi partecipa da diverse edizioni ed è molto ricettivo per quanto riguarda le informazioni (molti intervistati hanno dichiarato di "aspettare" il Festival: "Be', ci stavo attenta. È una cosa molto risaputa, quindi è un appuntamento che mi aspettavo" dice Cecilia, 30 anni, impiegata), ma si tratta, per certi versi, di un pubblico circoscritto e in parte autoreferenziale.

Silvia, insegnante di Diritto ed economia aziendale, all'uscita dal commento magistrale di Luciano Canfora aggiunge: "Per quello che vedo, ci sono facce note. Persone già attente a questo tipo di manifestazioni, che si informano un po' per passaparola, un po' perché già venuti gli anni scorsi". La natura non certo popolare dell'evento, inoltre, impone un'azione più attenta per coinvolgere il pubblico dal punto di vista motivazionale. "A livello culturale ci vuole un interesse di partenza", dice Caterina, 21 anni. "A livello di fruibilità, magari andrebbe sponsorizzato ancora di più. Perché la gente è pigra. Se non la trascini per mano è pigra".

Un altro aspetto importante legato alla promozione del Festival riguarda la comunicazione diretta, ovvero l'invio (per posta tradizionale o per e-mail) di brochure informative e inviti alle famiglie, alle scuole e ai club archeologici. Questo metodo si è rivelato efficace, tant'è che moltissimi intervistati dichiarano di essere venuti a conoscenza del Festival proprio grazie all'invito recapitato a casa. La strategia del contatto diretto mostra, tuttavia, almeno due limiti. In primo luogo si lavora sempre sulle persone con cui si è già stabilito un contatto: le famiglie sono quelle presenti nell'indirizzario dei musei comunali o del Comune per avere già partecipato a iniziative analoghe. In secondo luogo, i singoli musei hanno spedito tramite i loro indirizzari informazioni relative alle singole iniziative che li riguardavano, e non sull'intero Festival del Mondo Antico.

Così le scuole sono state informate delle attività didattiche previste per i bambini, i club archeologici dell'inaugurazione della mostra "Le ore e i giorni delle donne", gli istituti religiosi del ciclo di incontri "Biblia. Il libro della sapienza", ma in alcuni casi non sapevano neppure che queste iniziative fossero parte di un tutto più complesso, il Festival del Mondo Antico. Ciò è emerso soprattutto dalle interviste svolte all'inaugurazione della mostra al Museo archeologico di Verucchio, dove diversi archeologi intervistati (e provenienti da varie parti d'Italia) dichiaravano di essere venuti a Rimini appositamente per la mostra e poi di ripartire in serata senza fermarsi per altre iniziative del Festival, del quale non erano a conoscenza. Si è trattato, dunque, di una comunicazione frammentata, che ha contribuito a creare nel pubblico una percezione non sempre unitaria.


L'evento e gli eventi

Già a una prima lettura del programma, l'aspetto che più colpisce l'attenzione è sicuramente la varietà, unita all'elevato livello degli argomenti trattati. L'impressione di estrema varietà è stata confermata anche dall'osservazione partecipante: varietà che è da intendersi riferita sia ai format, sia ai linguaggi, sia ai contenuti trattati che ai pubblici di riferimento.

Il Festival del Mondo Antico, per citare le parole dell'assessore Pivato, si basa su "una formula che sta dando frutti ovunque, per quello che riguarda il pubblico. Cioè: concentrare nell'arco di qualche giorno, appunto, tutti gli eventi. Il che non va assolutamente a detrimento del pubblico, perché il pubblico è incuriosito da questa formula che è inedita per Rimini e per la Romagna". Il format "festival", dunque, punta a un'offerta molto ampia e vasta di eventi (in questo caso ben 107) concentrati in un arco di giorni circoscritto (4). Questa scelta, secondo il pubblico intervistato, vanta molti punti di forza e anche qualche elemento di criticità.

Il problema fondamentale legato al format "festival" concerne il rischio di una percezione poco unitaria da parte del pubblico, che trova sulla carta una mole enorme di iniziative ma fatica, talvolta, a ravvedervi un senso unitario, al di là dell'ovvio (ma talvolta vago) rimando al mondo antico. Una concezione come quella sintetizzata nel già ricordato "sguardo antropologico" citato dal direttore Di Bella, per quanto sicuramente suggestiva, non è forse comunicabile in modo immediato a un pubblico generico.

A questo proposito Marco, geologo, afferma: "Il filo conduttore non è che sia chiaro da identificare. Mi sembra comunque, come tutti gli anni d'altra parte, che l'età romana sia un po' quella che fa da padrona, perché Rimini sappiamo quello che possiede in termini di monumenti romani". È interessante, peraltro, valutare come la maggior parte delle persone parli di "filo conduttore" ma, interrogata sulla natura di questa continuità, si fermi a osservazioni abbastanza generiche, come l'ovvio "contatto col mondo antico". Osserva, per esempio, Simone: "Dà spazio a molti ambiti, però... sì, ci può essere anche un filo conduttore. L'unione, il cercare quello che dal mondo antico sia arrivato ai giorni nostri". La continuità dunque si avverte, resta però da domandarsi se sia sufficiente a connotare l'anima del Festival con la forza dovuta, se oltre al "filo" vi sia un contenitore forte e dotato di precisa identità ad accogliere in sé le varie manifestazioni, un'integrazione vera non solo fra i diversi eventi, ma fra gli eventi e il pubblico, e fra gli eventi e la città.

L'altro aspetto da considerare è la difficoltà con cui, talvolta, il pubblico riesce a intravedere la dimensione allargata del Festival al di là della sequenza dei singoli eventi, anche per la difficoltà a seguire tutti gli eventi a cui si è interessati o anche solo una parte considerata sufficiente. Questa rimostranza è emersa da parte di moltissimi intervistati. Solo per citarne alcuni, Luciana, pensionata riminese, dice: "Il fatto è che sono contemporanei. Io l'ho detto agli organizzatori. A me sarebbe piaciuto anche seguire quello della guerra contro Annibale. Ma uno non può essere ubiquo. E loro hanno detto che nei festival è così. Secondo me anche a Brizzi dovevano dare un pochino più di tempo". Analogo il commento di un'organizzatrice di eventi romana residente a Rimini (peraltro entusiasta del Festival nel suo insieme): "L'unica difficoltà, per me, è che alcune cose sono la mattina, e quindi sono un po'... molto per i turisti in vacanza, oppure per chi è pensionato, perché altrimenti è un po' difficile seguirli la mattina. Solo questo. È un controsenso: è chiaro ormai che il pubblico è fatto di riminesi, ma allora perché fissare le date in un orario proibitivo per i riminesi?".

Va detto peraltro che i promotori sono consapevoli che la formula scelta comporta una sensazione a volte fastidiosa di offerta "eccessiva", ma che la considerano una contropartita inevitabile al richiamo che solo la ricchezza stessa dell'offerta garantisce: insomma, dovrebbe essere vissuta come un'opportunità e non solo (e non tanto) come un limite. Spiega a questo proposito Di Bella: "È un mosaico, che compone però una figura, piuttosto articolata. Spero che non sia vissuto come una congerie. Ma in realtà uno poi all'interno, siccome sono tantissime le iniziative, può ricamarsi un percorso. Perché molte sono in conflitto l'una con l'altra, in termini di tempo, e allora ognuno si deve scegliere la sua strada: può scegliere la strada del mito, della filosofia, della politica". La varietà impone una scelta, una selezione attiva da parte del pubblico che stabilisce il proprio percorso all'interno delle diverse alternative del Festival.

Una proposta per risolvere (almeno in parte) il problema, senza snaturare il format festivaliero, potrebbe essere quella suggerita da Carola, studentessa riminese: "I giorni sono pochi. Ci vorrebbe almeno un giorno in più. Anche per avere modo di vedere più avvenimenti. Perché per esempio alle cinque inizia questo, alle cinque e mezza ci sarebbe un incontro con degli archeologi che parlano di Cirene, quindi molto interessante. Ma o segui uno o segui l'altro. Magari con un giorno in più si riuscirebbe a dipanare meglio i vari eventi". È anche vero che Carola è una studentessa dotata di tempo libero nel corso della settimana, e che molti non possono partecipare (come le interviste mettono bene in luce) non tanto perché il calendario è troppo fitto, ma perché hanno impegni di lavoro. Resta da capire se il ritorno di pubblico potrebbe giustificare la programmazione di una giornata aggiuntiva, tenendo invariato il numero di eventi: cosa che non è affatto scontata. Poiché, però, gli incontri serali funzionano anche in giorni infrasettimanali (come ha dimostrato il successo del commento magistrale di Galimberti), si potrebbe forse pensare a una via ibrida, programmando (per esempio) una sola serata in più, aprendo il Festival, cioè, di mercoledì sera anziché di giovedì mattina. Questa ipotesi permetterebbe di sciogliere i nodi critici come quelli evidenziati da un geologo di Savignano: "Ieri sera c'erano tre incontri, tutti molto interessanti, in contemporanea, quindi ho dovuto rinunciare a Massimo Cacciari, che avrei avuto piacere di sentire".

Detto tutto questo, l'altra faccia della medaglia sta nel fatto che la varietà della proposta rappresenta, naturalmente, anche un punto di forza dell'evento, ed è sicuramente questo l'aspetto più evidente. In primo luogo, la varietà risponde all'esigenza di andare incontro a un pubblico diversificato. Di Bella: "Questa è un'osservazione, un'obiezione che in genere si fa: 'Ma perché tante cose insieme?'. Ma l'idea è proprio questa: di creare una massa tale da muovere gente anche da lontano. Uno non si muove da lontano, a mio giudizio, se non ha una notevole massa critica di potenziali elementi di interesse. Perché se no uno fa una cosa al mattino, una cosa al pomeriggio, una cosa alla sera, è fatta. Non credo che le cose funzionino così. Almeno non funzionano così nel format festival". Il Festival si configura così come una sorta di self service aperto a diversi tipi di pubblico, anche perché, come ancora fa notare Di Bella, il programma "l'abbiamo messo in una maniera tale per cui ogni cosa ha la stessa dignità, anche graficamente. Però, dopo, uno capisce quello che forse ha più peso o meno peso". Ilaria Balena, a questo proposito, aggiunge che un calendario così articolato dà l'opportunità agli adulti di avere cose alternative da fare mentre i figli seguono i laboratori: c'è dunque una strategia precisa, ritagliata sulle diverse tipologie di pubblico, che consente anche ai diversi membri della famiglia di potere programmare al meglio la visita al Festival.

Il punto forte dell'offerta, comunque, resta la grande ricchezza complessiva, aspetto messo in luce e apprezzato sia dai relatori che dai visitatori. Questo significa, innanzitutto, che esistono diversi livelli di complessità pensati per diverse fasce di audience. Dice Valeria Cicala, giornalista e funzionaria dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna: "Prendiamo in mano un attimo il programma. Ho l'impressione che qualcosa di nuovo si sia aggiunto. E che la dimensione divulgativa, di alta divulgazione, sia sempre più radicata. Cioè, c'è la capacità di avere momenti più alti, più complessi, con altrettanti in cui veramente c'è la voglia, il desiderio, di accostare, di rendere percepibile, e godibile, l'antico, a tutti".

Diversi livelli di complessità, dunque, ma anche diversi temi e argomenti, indirizzati verso gli interessi più vasti. Questo aspetto è stato particolarmente apprezzato: Laura, pensionata: "Io credo che più proposte ci sono meglio è, nel senso che si trova spazio e pubblico per tutti". Anche la varietà degli appuntamenti è stata sottolineata da più parti; come osserva Filippo, insegnante: "Sono strutturati bene come programma... È bella questa idea del festival, anche con diverse sfaccettature: visite guidate, presentazioni di libri, conferenze".

Merita un cenno, poi, la chiarezza del calendario, che pur nell'estrema complessità degli eventi riesce a scandire con precisione i vari appuntamenti della giornata. È quanto nota una studentessa riminese di Giurisprudenza: "Secondo me è stata ben distribuita. Perché chi voleva assistere alla lectio magistralis sapeva che era in un momento preciso della giornata, alle nove e mezza tutte le sere".

Indiscusso vanto del Festival, infine, resta l'alta qualità degli interventi, punto su cui concorda la totalità degli spettatori intervistati. Non sono rari i casi di vere e proprie dichiarazioni d'entusiasmo, come quella dell'impiegata riminese: "L'evento si sente. Io parlo per me. L'avverto. Sono molti gli eventi ed è un peccato dover rinunciare a qualcosa. Io sto facendo una full immersion. Da stamattina alle undici. Ho aperto con la Maioli. Chiudo stasera con... Non so se Cacciari o il film". Il Festival, quindi, da molte persone è stato vissuto in ogni sua sfaccettatura, sia nell'esperienza dei diversi eventi che nella dimensione più ampia di full immersion, godibile di per sé e al di là delle sue componenti.


Il pubblico

Una delle finalità della ricerca era tracciare una classificazione per tipi del pubblico incontrato. Quella che segue è una prima sintesi schematica delle categorie, che meriteranno poi di essere ulteriormente articolate e approfondite.

C'è innanzitutto una forte presenza di pubblico con alto livello di istruzione e ampio bagaglio culturale (in genere liberi professionisti) o dedito a vario titolo al lavoro intellettuale (insegnanti di tutti i gradi del sistema scolastico). È un pubblico che ha frequentato principalmente le iniziative più immediatamente identificabili come culturali, nel senso in cui questo termine è declinato, per esempio, nelle pagine culturali dei quotidiani: in particolare, i commenti magistrali, i convegni, i cicli di lezioni, la serie di presentazioni di novità editoriali "Libri nuovi per l'antico".

È poi identificabile una categoria ancora più ristretta di spettatori che potremmo definire "addetti ai lavori". L'offerta del Festival prevedeva, infatti, alcuni eventi di carattere specialistico, come i due cicli di quattro incontri giornalieri "Biblia" e "Una vetrina sul museo". Un altro evento che ha incontrato una risposta da parte degli addetti ai lavori è stato il laboratorio di due incontri sulle "Tecniche di pittura classica su tavola". Tra i pochi presenti (8 in tutto), abbiamo incontrato due insegnanti di educazione artistica, che partecipavano con l'intento di accrescere il loro bagaglio di competenze tecniche. È importante ricordare che per questo tipo di eventi era prevista la possibilità di richiedere un attestato di frequenza: un modo per fidelizzare il pubblico, ma anche un'incentivazione per chi intendeva partecipare al Festival per scopi formativi.

Un terzo tipo di pubblico che possiamo individuare è quello dei giovani, e in modo particolare degli studenti, sia universitari che liceali. Anche se numericamente ridotto rispetto al pubblico adulto e anziano, il pubblico giovanile è stato tuttavia presente trasversalmente in tutte le diverse tipologie di eventi del Festival: da quelle di carattere ludico o maggiormente divulgativo, a quelle dal tono più specialistico. È un pubblico che abbiamo percepito come curioso e attento, che ha selezionato gli eventi secondo i propri interessi didattici e culturali, manifestando nelle interviste la propria approvazione per l'iniziativa del Festival.

Il pubblico dei bambini e dei ragazzi (la fascia d'età interessata dalle iniziative va dai 3 ai 14 anni) merita particolare attenzione per due motivi. Innanzitutto perché è stato individuato dagli stessi organizzatori del Festival come specifico target: è stato elaborato un programma di incontri, giochi e laboratori proprio pensando a loro. Un programma inviato poi via posta ordinaria a tutte le famiglie inserite nell'indirizzario del Museo della città. D'altronde questa particolare attenzione ai bambini si inserisce in un più ampio rapporto già instaurato con questo pubblico da parte del Museo, che non a caso possiede molte aree adibite allo svolgimento di giochi e laboratori.4 È importante tenere conto del pubblico dei bambini e dei ragazzi anche perché, come abbiamo avuto modo di osservare, la risposta da parte loro - e da parte dei loro genitori - è stata molto positiva. Innanzitutto, l'organizzazione ha dovuto superare il limite massimo di iscrizioni per via delle moltissime richieste, pur senza (pare) riuscire a evaderle tutte. Inoltre, dall'osservazione e dalle interviste è emerso che molti bambini e ragazzi hanno partecipato a più di un evento del Festival, e che avevano partecipato al Festival anche negli anni precedenti.

Un'ultima fascia di pubblico è quella che potremmo definire dei "curiosi". Si tratta di una categoria di persone meno preparate culturalmente, che non svolgono professioni di tipo intellettuale, che sono attratte in modo particolare dagli eventi dal tono più divulgativo, e ancora di più da quelli che abbiamo definito "spettacolari". Possiamo definirli curiosi, perché da un lato sono spinti da un interesse più generico ed effimero, dall'altro preferiscono quelle iniziative che mettono in luce, del mondo antico, gli aspetti più legati, appunto, alla curiosità: i confronti brucianti con l'oggi, le esperienze visive e sonore e magari anche gustative, le pratiche e i riti che potremmo definire più "esotici", anche se la loro lontananza non si misura in chilometri ma in secoli. Su un ipotetico asse ideale, potremmo quindi collocare questo tipo di pubblico all'estremo opposto rispetto alla categoria di pubblico colto e intellettuale. Gli eventi del Festival più seguiti dal pubblico dei curiosi sono stati - oltre ai commenti magistrali, su cui hanno influito nomi di richiamo di alcuni dei relatori - la gita sotto il Ponte di Tiberio, la ricostruzione dell'accampamento romano con la relativa conferenza di Alberto Angela e Giovanni Brizzi, la rappresentazione del processo romano all'anfiteatro, la presentazione del documentario sul chirurgo di Ariminum al Museo della città. Sarà banale, ma dobbiamo ricordare che tali incontri hanno riscosso successo con questo specifico pubblico anche perché collocati in fascia serale e nei giorni festivi.


Conclusioni

Le osservazioni che seguono sono ovviamente molto schematiche. Tendono a sottolineare soprattutto gli aspetti problematici della manifestazione, più che i molti e importanti risultati positivi, al fine di favorire la discussione su questo e altri festival che crediamo sia essenziale promuovere oggi nel sistema culturale nazionale.

Il pubblico a cui il Festival del Mondo Antico si rivolge è in parte ambiguo. Da un lato i promotori sottolineano l'intento di rivolgersi a un target diversificato, dall'altro le scelte organizzative evidenziano una polarizzazione tra eventi destinati a pochi (per linguaggio, tematica, collocazione) ed eventi "di massa" pensati per un grande richiamo, mentre risulta meno praticato, nell'insieme, un evento "medio" per target e complessità. Buona parte degli eventi risulta destinata a un pubblico non solo colto, ma professionale (insegnanti o guide turistiche); una seconda fascia è costituita dalle persone di cultura, generalmente locali, che "seguono" il Festival come prestigioso appuntamento cittadino. Il Festival, inoltre, non sembra puntare sui flussi turistici né sul pubblico internazionale, restando un evento locale a forte potenzialità nazionale. Nonostante il suo indiscutibile successo, il Festival conferma la contrapposizione tra la Rimini "dei riminesi" e quella "vacanziera".

La comunicazione dell'evento resta in parte problematica a causa soprattutto dell'esiguità di risorse e della sordità di una parte delle istituzioni. Anche la percezione del format festival nel suo insieme presenta qualche problema: molti frequentatori spesso si concentrano sul singolo evento, riconoscendo solo marginalmente l'unità dell'insieme. Ciò è in parte conseguenza del carattere "a mosaico" della manifestazione, ma dipende anche dalla già ricordata polarizzazione tra diversi tipi di evento e dalla sovrapposizione nel Festival di diversi modi di concepire il tema "mondo antico": una sovrapposizione di per sé feconda, ma difficile da comunicare in modo unitario.

Le ricadute del Festival sul territorio riminese sono positive, anche sul medio e lungo periodo. Significativo è l'effetto di "riscoperta del passato" sulla popolazione locale, mentre risulta più ridotto al di fuori del territorio, anche perché i media nazionali tendono a puntare più sul già noto che non su fatti suggestivi ma che si teme abbiano scarsa presa, come il passato di Rimini. La soddisfazione del pubblico è generalmente elevatissima. Il fatto che molte delle critiche registrate riguardino non la qualità dell'iniziativa ma semmai la sua scarsa pubblicizzazione o la difficoltà di seguire tutto indica quanto l'evento risponda alle aspettative del suo pubblico, o le superi; quanto insomma i frequentatori siano desiderosi non di un "altro" Festival, ma per così dire di "più" Festival: più conosciuto, spalmato magari su più giorni, più facile da seguire nella varietà degli eventi. È un buon patrimonio di partenza per le prossime edizioni.


Note

(1) L'indagine è stata curata da Peppino Ortoleva (professore straordinario di Teoria e storia dei media all'Università di Torino e presidente di Mediasfera, la società di ricerca e produzione culturale incaricata dello studio) con la collaborazione di Nicoletta Verna (laureata in Scienze della comunicazione all'Università di Siena, da tempo impegnata in attività di ricerca nel campo dei media) e Luca Zanette (specializzando in Scienze della comunicazione all'Università di Torino). Il gruppo di ricerca si è valso del prezioso lavoro di coordinamento di Giovanni Cordoni (Mediasfera).

(2) La versione integrale della ricerca è consultabile sul sito web dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (www.ibc.regione.emilia-romagna.it/Report/index.htm). In questa sintesi, nel riprendere brani delle interviste, abbiamo in diversi casi eliminato parole o frasi senza introdurre ogni volta i puntini sospensivi, che, utili a fini filologici, alla lunga avrebbero compromesso la leggibilità: ce ne scusiamo con gli intervistati.

(3) M. Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, Milano, Bompiani, 1995, p. 33.

(4) Si veda in proposito: A. Fontemaggi, O. Piolanti, Rimini: la didattica fa centro, "IBC", XV, 2007, 3, p. 102.

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