Rivista "IBC" XVI, 2008, 2

biblioteche e archivi / pubblicazioni, storie e personaggi

"Ho cominciato a lavorare in una specie di scantinato, poi sono passato in un appartamento accidentato, quindi finalmente in locali spaziosi a pianterreno con una discreta fuga di sale dalle grandi volte...".
Le avventure di un bibliotecario

Giuseppe Guglielmi
[funzionario pubblico e poeta, già direttore dell'IBC]

Il 18 giugno 2008, nel cinquecentesco Palazzo Bonasoni, sede bolognese dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC), è stato presentato al pubblico il volume La prassi delle parole. Giuseppe Guglielmi organizzatore culturale e traduttore, curato da Enzo Colombo e Andrea Toscani. Dedicato a uno dei fondatori e dei primi dirigenti dell'Istituto, il libro raccoglie scritti, riflessioni e interventi apparsi su riviste e volumi nell'arco di quasi un trentennio ed è suddiviso in due sezioni: la prima ripercorre l'attività di Guglielmi come direttore, negli anni Sessanta, del Consorzio di pubblica lettura della Provincia di Bologna, e poi come animatore dell'IBC; la seconda ripropone il lavoro di critico letterario e traduttore (soprattutto dell'opera di Céline). Per ricordare la voce di un intellettuale che aveva scelto di mettere la sua intelligenza a servizio della funzione pubblica, riproponiamo ai nostri lettori un articolo comparso nel 1979 sulla rivista "Rinascita", in cui Guglielmi, partendo dal racconto della sua esperienza di bibliotecario, prefigura l'istituzione della futura Soprintendenza per i beni librari e documentari.1


"Ho cominciato a lavorare in una specie di scantinato, poi sono passato in un appartamento accidentato, quindi finalmente in locali spaziosi a pianterreno con una discreta fuga di sale dalle grandi volte, e lì sono riuscito a installare un paio di doppi piani per l'immagazzinamento". Chi parla non è un pellicciere, un orafo, né un grossista di calzature a cui ha poi arriso la buona fortuna dei profitti, ma un bibliotecario di un ente pubblico che si trovò a istituire, nella sua parte di direttore, il primo sistema bibliotecario territoriale non solo in Emilia ma forse anche in Italia. Ora [nel 1979, ndr], a vent'anni di distanza dalla sua istituzione, il sistema comprende una trentina di biblioteche e sale di lettura disseminate nei vari comuni della provincia di Bologna, la sola del resto tra quelle emiliane e romagnole a disporre di una rete di servizi così estesa.

Eppure, va detto d'altro canto, questo sistema si compone di un reticolo ultraleggero di biblioteche quasi tutte adattate, e talvolta anche bene, ora in locali o negozi vuoti, ora, e sono i casi migliori, in uffici comunali che si sono resi felicemente vacanti. Così anche il più espanso sistema territoriale bibliotecario italiano non ha potuto realizzarsi se non in forme precarie e provvisorie almeno per quanto concerne il problema, in senso proprio le fondamenta, delle sue strutture materiali. Ma viene amaramente da ricordare che mentre il Consorzio di Bologna apprestava con animosa speranza i primi adattamenti - si era intorno alla metà degli anni Sessanta -, Alvar Aalto, il massimo architetto di biblioteche del mondo, costruiva proprio lì accanto la sua chiesa sull'Autostrada del Sole.

Non è solo un apologo sulle nostre sorti personali, rassicuriamoci. Ciò che non vuole essere taciuto è una certa prassi di comportamenti imitativi - favoriti dall'idea più semplice e più verbale di attualità - che, nel decennio Sessanta e dopo, ha condizionato con i suoi clichés la politica bibliotecaria promossa dalle pubbliche amministrazioni, grandi o piccole, nel segno di un moderno e civile decentramento. Intanto, ecco il risultato: una rete, nella maggior parte dei casi, superleggera di biblioteche di quartiere o di paese, per lo più strette in sistema e alimentate da un centro o da una grande biblioteca urbana.

Si dirà che si è fatto molto rispetto a regioni meno privilegiate: ed è un dato di cui bisogna positivamente prendere atto. Resta tuttavia vero che anche nel privilegio i bisogni continuano a essere superiori ai servizi prestati. Un breve ragguaglio sulle biblioteche storiche, grandi e meno grandi, ne viene subito a dare una conferma. Chiediamoci per esempio quante biblioteche vere e proprie sono attive in una regione estesa e popolata come l'Olanda, dal momento che taluno si compiace di paragonare l'Emilia-Romagna, non solo per l'estensione, al paese dei tulipani. Se dobbiamo stare all'Annuario delle biblioteche italiane, aggiornato al 1976, si constata che su 343 comuni solo 54 dispongono di biblioteche storiche, sorte cioè prima dell'Ottocento o agli inizi del secolo XIX. Si dovrebbe concludere allora che un comune su 6 possiede una o più biblioteche, mentre 5 comuni su 6 mancano di servizi bibliotecari di ogni sorta, se non ci fossero qua e là, come certi segnali di sopravvivenza nel deserto, le biblioteche di fortuna di cui si è detto.

Ora, anche ammesso che si arrivasse a registrare la presenza di biblioteche comunque efficienti in 100 comuni, la situazione resterebbe largamente insoddisfacente. Del resto lo scarso grado di fruizione pubblica e sociale delle grandi concentrazioni bibliografiche, che pure sono numerose, insediate per lo più nei grandi centri urbani della regione, assottiglia il numero delle biblioteche attive, siano esse statali, civiche, universitarie o d'istituto, di enti religiosi o di altre fondazioni, a una cinquantina al massimo. È da aggiungere poi che su tali biblioteche grava per di più il disarmante destino di servire quasi esclusivamente a una folla emergente di studenti che, spinti dalla fame funzionale, che viene da bisogni pratico-intellettuali, vi bivaccano in turni permanenti trasformandole in "pre-esamifici" ovvero in tavole calde per esami.

D'altronde, sembra proprio della nostra scuola, non uscita ancora da una lunga crisi di riassetto culturale, indurre bisogni transitori e perciò impellenti, trascurando la formazione di durevoli abitudini intellettuali a vantaggio di un'informazione rapida e senza azione profonda sul soggetto del processo autoeducativo. E mentre da una parte le nostre biblioteche storiche denunciano così l'inadeguatezza del nostro sistema scolastico, subendo a loro volta un degrado abbastanza analogo a quello patito dal territorio per le spoliazioni e gli sradicamenti di ogni sorta, dall'altra, una domanda dirompente di nuovi posti di lettura, di manuali di ricerca di vario tipo, di opere, diremo così, di repertorio o d'obbligo scolastico universitario, sconvolgendo l'organizzazione ordinaria della biblioteca illustre e aristocratica, per lo più umanistica, nelle sue antiche strutture, fa sì che si pongano con urgenza piani di rifondazione scientifica, di ordinamento e riqualificazione sociale della stessa biblioteca secondo modi di accessione moderna alla lettura e dunque alla conoscenza.

Ci si consenta per intanto un breve commento, che non vuole essere un epicedio, sui nostri ricchi patrimoni. Sparse in una serie di monumenti illustri, e talora di gran pregio architettonico, riposano collezioni insostituibili: quelle dei manoscritti, degli incunaboli, delle cinquecentine in genere e delle aldine in specie, delle edizioni bolognesi (pochi sanno che il primo libro popolare, il noto Viazo da Venesia al Sancto Jherusalem, fu stampato dai Rubiera proprio a Bologna nel 1500), delle edizioni ferraresi, modenesi del Quattrocento, del Cinquecento e dei secoli XVII e XVIII, le raccolte dantesche, le collezioni bodoniane e l'intera raccolta degli strumenti che servirono al Bodoni per l'incisione e la fusione dei suoi caratteri, con i punzoni, i torchi e tutto il resto.

Per approssimazioni e discontinuità di ragguagli si è cercato sin qui di rispecchiare certe approssimazioni e discontinuità, e disquilibri della nostra organizzazione bibliotecaria in Emilia. Ora, in tema di programmazione, sviluppo, ordinamento, una parola decisiva spetta per legge alla Regione. E solo una volontà politica coerente con le fiduciose iniziative del passato può preparare davvero un'inversione di tendenza. Come è possibile tutto questo? Intanto, occorre ricostituire gli uffici di Soprintendenza trasferiti dallo Stato alla Regione, e ripristinare in tutte le loro modalità i compiti tecnico-scientifici e anche di programmazione che è obbligo di legge esercitare. Giacché riqualificare tali compiti non significa soltanto riqualificare i propri funzionari tecnici, esaltarne le capacità intellettuali e le competenze specifiche, a giusto detrimento di un amministratore generico e spesso improduttivo, ma soprattutto riempirne le funzioni in parità e livello esercitate dalle altre soprintendenze della tutela statale, artistiche, archeologiche, eccetera. D'altro canto, le soprintendenze ai beni librari fanno parte insieme a quelle statali con uguali diritti, e si pretende con uguale autorità culturale, del comitato paritetico (fra Stato e Regione) per la programmazione nel campo delle istituzioni culturali.

Non si deve credere che si vogliano così resuscitare privilegi, quanto piuttosto un adeguato carico di funzioni e di responsabilità. Il compito che attende coloro che sono preposti alle sorti delle nostre biblioteche è, per l'appunto, di lavorare con tenacia e competenza alla stesura dei repertori e cataloghi generali, che oggi ci mancano (e questo sembra ora possibile con l'Istituto regionale per i beni culturali [istituito nel 1974, ndr], che ha già un suo primo programma); e inoltre di predisporre mezzi e metodi unificanti di catalogazione; di emanare infine una legge normativa, adeguata a tali compiti nuovi, e concretamente collegata alla legge finanziaria dei centri culturali. Questa legge ha già prodotto almeno un unicum nella nostra regione: il progetto di Cattolica che prevede la costruzione di una biblioteca-tipo, e ci auguriamo esemplare, che possa servire da modello edilizio, e soprattutto di comportamento politico e amministrativo per quanti comuni, sin qui storicamente esclusi da ogni servizio bibliografico, vogliano muovere nella direzione imposta dai tempi.2

Ormai sulle soglie degli anni Ottanta, solo l'intervento pubblico può attenuare le disparità di una società classista come la nostra. Ecco perché per adottare una strategia con cui procedere al rinnovamento delle nostre istituzioni bibliotecarie, occorre avere presente le esigenze non solo di chi non ha ancora potuto provvedere in nessun modo a dotarsi di servizi bibliografici sia pure precari, ma anche le esigenze di rifondazione di quegli istituti che si riconoscono nella "leggerezza". Spezzare la struttura ultralieve dei nostri sistemi biblioteconomici è nell'auspicio degli stessi enti che li hanno promossi, i quali sono forse i più consapevoli delle angustie finanziarie in cui hanno dovuto operare in alternativa a una grigia inazione di routine.

Anche la nuova normativa regionale sulle biblioteche nel fissare indirizzi generali senza porre limiti di esperienza, se convenientemente finanziata, consente ai grandi e piccoli comuni di modificare nei prossimi due decenni la situazione attuale e adeguarla agli standard internazionali. La normativa regionale mira a determinare una buona volta una precisa tipologia sia per i servizi della biblioteca, sia per i modelli edilizi che da noi, purtroppo, non sono ancora sufficientemente studiati. Essa non può dire come si deve fare. Elenca una serie di condizioni normative che aiutano le nascenti biblioteche a proiettare il proprio sviluppo verso gli anni Duemila. Oggi è impensabile infatti costruire biblioteche con spazi che risultino inadeguati a pochi anni dalla loro costruzione. Quante biblioteche, diciamo così, più che lievi e fragili, nascono già morte perché inadeguate ai bisogni reali e crescenti della comunità!

Ma è tempo di mutare di registro, di dare la forza della materia - pietra e cemento - alle nostre antiche fatiche. Le regioni, come è noto, dispongono di notevoli fondi che talvolta non riescono a spendere per gli inceppi e i ritardi che ancora scontano dalla gestione statale, e che danno origine a cospicui residui. Perché non utilizzare allora una parte di queste somme non indifferenti per una qualche iniziativa esemplare in correlazione con programmi di edilizia abitativa, in cui potrebbe trovare posto anche un capitolo di edilizia civile per le biblioteche?

Ogni tempo registra progressi e mutazioni quando interviene un supplemento di immaginazione politica. Anche il bibliotecario che aveva cominciato in locali di fortuna crede di averlo appreso nel corso delle sue avventure bibliografiche.


Note

(1) G. Guglielmi, Le avventure di un bibliotecario, "Rinascita", XXXVI, 1979, 46, p. 32; ora in La prassi delle parole. Giuseppe Guglielmi organizzatore culturale e traduttore, a cura di E. Colombo e A. Toscani, Bologna, IBC - Editrice Compositori, 2008, pp. 27-29. Il testo è stato riportato integralmente, con la sola esclusione dell'occhiello originale ("Il primo sistema bibliotecario territoriale d'Italia nasceva vent'anni fa in Emilia. Un reticolo che utilizza negozi vuoti e uffici comunali") e con l'aggiunta delle note infra e paratestuali.

(2) Sul Centro culturale polivalente di Cattolica, che quest'anno ha compiuto 25 anni, si vedano: il volume Biblioteamus. Il Centro Culturale Polivalente di Cattolica, a cura di A. Bernucci, O. Piraccini e A. Toscani (Bologna, IBC - Bononia University Press, 2008), catalogo della mostra documentaria allestita dal 5 aprile al 30 settembre 2008; il contributo di Andrea Emiliani tratto dal suddetto volume e pubblicato in questo fascicolo di "IBC".

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