Rivista "IBC" XV, 2007, 3

biblioteche e archivi / convegni e seminari, progetti e realizzazioni, storie e personaggi

Giorgio Valgimigli ha donato la sua raccolta di libri e lettere alla Biblioteca comunale di Bagno di Romagna, in memoria di suo padre Manara.
Di padre in figlio

Roberto Greggi
[direttore del Centro studi valgimigliani, Bagno di Romagna (Forlì-Cesena)]

Il 7 luglio 2007 è stata presentata al pubblico la donazione di Giorgio Valgimigli alla Biblioteca comunale di Bagno di Romagna (Forlì-Cesena). Il figlio del grande filologo e scrittore Manara Valgimigli (San Piero in Bagno, 1876 - Vilminore di Scalve, 1965) ha destinato alla biblioteca gli oltre 2.000 volumi della propria raccolta di libri e riviste, e 74 faldoni contenenti preziosi carteggi. Pubblichiamo l'intervento pronunciato nell'occasione da Roberto Greggi, direttore del Centro studi valgimigliani.

 

Sfogliando i libri di Giorgio Valgimigli ci viene incontro l'immagine di un flautista giovinetto con le spalle appoggiate a un albero le cui fronde ombreggiano parole latine: felix qui potuit rerum cognoscere causas, o per dirla in altro modo: felice chi ha potuto conoscere il perché delle cose. Sono il motto e l'immagine, disegnata da Franca Ghitti, che Giorgio scelse per i suoi ex-libris, quei cartellini che un tempo si incollavano ai libri e valevano a indicarne la proprietà. Il motto è una citazione tratta dal secondo libro delle Georgiche (è il verso 490); esso rispecchia bene la serenità consapevole del mistero delle cose (comprese le ultime), e l'accettazione laicamente composta di questo mistero che chi ha avuto il privilegio di conoscere Giorgio riesce a decifrare dalla sua persona.

Tra le tante cose che avrei potuto chiedergli - e che mi sono dimenticato di chiedergli, ma vi assicuro che gliene ho chieste davvero parecchie - una è la storia della sua biblioteca, che oggi ovviamente ci assilla. Ma qualche preziosa indicazione ci è giunta da Paola, la figlia minore di Giorgio e Aurelia, che ci ha raccontato la storia di una biblioteca che ha cominciato a diventare tale negli anni in cui la famiglia Valgimigli viveva a Darfo Boario Terme (Brescia), dove Giorgio è stato per tanto tempo primario ospedaliero. Sono libri che subiscono una prima, provvisoria scissione quando la famiglia si trasferisce a Brescia nella casa di via Crocifissa di Rosa; qui trasloca una parte della libreria, restando il grosso per il momento a Darfo, dove Giorgio continuava ad abitare durante i giorni lavorativi.

Una particella meno cospicua subirà una ulteriore scissione finendo a Vilminore di Scalve (Bergamo); qui, nel frattempo, Giorgio aveva acquistato per le vacanze estive una casa, "Villa Erse" (così chiamata a ricordo dell'amatissima sorella), casa nella quale il 28 agosto 1965 si spegnerà Manara Valgimigli (www.scalve.it/manaravalgimigli/). Mi avverte Paola che a Vilminore, in accordo con la funzione di casa per le vacanze giocata da "Villa Erse", confluirono soprattutto libri di amena lettura, libri di svago, non di studio. Questi rivoli, scaturiti da Boario in direzione di Brescia e Vilminore, finiranno per confluire a Brescia quando, lasciata Darfo e venduta "Villa Erse", la sola casa della famiglia sarà finalmente Brescia. Oggi questi libri, scaturiti da una sorgente termale, riemergono da un'altra sorgente termale, quella di Bagno di Romagna, grazie all'inestimabile dono che Giorgio ci ha voluto fare e che Aurelia e i figli, Renata, Enrico e Paola ci hanno aiutato a realizzare. Un dono delle cui esatte dimensioni cominciamo a renderci conto appena ora.

Questa è sì la biblioteca di Giorgio, ma in molti angoli dei suoi scaffali si nascondono libri appartenuti al padre e libri appartenuti a Erse, libri cioè che almeno sulla carta ci si aspetterebbe di ritrovare nel fondo "Valgimigli" della Biblioteca Classense di Ravenna, della quale Manara fu direttore dal 1947 al 1955 e alla quale, per lascito testamentario, donò appunto libri e carte. Ci siamo chiesti il perché di questa singolarità e ancora una volta una risposta più che plausibile ci è giunta da Paola. È quasi certo che Manara, a proposito della sua biblioteca, abbia detto a Giorgio quello che poi Giorgio, a proposito dei suoi libri, ha detto ai figli: "Prima che vadano a Ravenna, scegli e tieni per te quelli che ti sono più cari o ti intessano di più". E questo spiega bene il motivo di tante presenze che in origine erano senza dubbio nella biblioteca di Manara, a lasciar stare poi che i libri sono un po' come gli uomini: a volte si muovono e cambiano residenza e a volte invece sono pigri e dove trovano un rifugio provvisorio, lì finiscono per accasarsi.

Magari sarà pure accaduto che Manara, ospite del figlio, della nuora e dei nipoti a Vilminore o a Brescia, abbia portato con sé libri necessari al suo lavoro, collocandoli pro tempore nella biblioteca del figlio e questo pro tempore, come capita spesso, si sarà trasformato in un in perpetuum. Ma ho l'impressione che si diano casi più complicati. È singolare il caso della prima, preziosa edizione dei Lirici greci tradotti da Salvatore Quasimodo con il saggio introduttivo di Luciano Anceschi. Questo libro era certamente nella biblioteca di Manara (nel foglio di guardia campeggia la dedica autografa "A Manara Valgimigli / Quasimodo", così breve e laconica da sembrare anch'essa un frammento fortunosamente sopravvissuto su un ostrakon o su un frustolo di papiro) e se si sfogliano le sue pagine le si sorprende ricche di marginalia.

Questo esemplare è stato attentamente letto e postillato, a tratti anche severamente postillato, da Valgimigli, che a volte si trova in disaccordo con le traduzioni di Quasimodo. In alcune di queste pagine ci si imbatte anche in un'altra grafia ed è quella di Maria Vittoria Ghezzo, l'allieva prediletta di Valgimigli, che spesso postilla le postille di Manara. La Ghezzo infatti aveva osservato da vicino il lavoro di traduzione dei lirici greci eseguito e via via messo sempre meglio a punto dal maestro e l'ultima edizione di Saffo, Archiloco e altri lirici greci, a cui Valgimigli aveva atteso fino all'ultimo, uscì postuma nel 1968, per i tipi di Mondadori, proprio a cura della Ghezzo, sebbene le pagine di quell'edizione non le accreditino la curatela. E la Ghezzo sicuramente si servì della copia del Lirici greci di Quasimodo appartenuta a Valgimigli per la stesura del suo saggio dal titolo Valgimigli traduttore, quando annota che al maestro non erano sfuggiti, in quella prima edizione, gli errori e i fraintendimenti di inesperienza filologica commessi da Quasimodo.

Alla luce di questa stratificazione di postille si può concludere che questi Lirici greci sono giunti nella biblioteca di Giorgio passando da quella del padre a quella della Ghezzo, che infine restituì al figlio il libro appartenuto a Manara. Mi chiedo quale volume si potrebbe confezionare mettendo insieme il carteggio Quasimodo-Valgimigli con il carteggio Anceschi-Valgimigli e l'edizione delle postille manoscritte alla traduzione dei lirici di Quasimodo consegnate da Valgimigli alle pagine della sua copia personale. Un volume che documenterebbe un capitolo importante nella storia degli studi classici in Italia connessa al delicato problema della traduzione.

Il dono di Giorgio non è fatto solo di libri e di carte, è fatto anche di cose, di oggetti. Appena due giorni fa, rovistando tra le scatole che Enrico ci ha portato da Brescia, ne abbiamo aperta una. Al suo interno c'erano un soldatino di legno con la sua garitta e una piccola locomotiva di metallo con tanti vagoncini: i giocattoli di Bixio, il secondogenito di Manara, scomparso a soli otto anni. In quel momento si è letteralmente materializzata davanti ai nostri occhi una pagina tra le più belle di Valgimigli ed è bastato allungare una mano, togliere dalla libreria di Giorgio una copia del Mantello di Cebète e leggere:

 

Un giorno un bimbo si ammala e se ne va. Io non dico che allora cambi la faccia del mondo, ma la faccia della casa e delle cose di casa sì. Allora le cose diventano quelle di ieri. Dal giorno che la morte è entrata e poi uscita con quella piccola cassa portata sulle spalle da quattro scolari miei, che me la vollero portare giù per le lunghe scale e poi su fino ai Boschetti davanti al Golfo della Spezia, da quel giorno le cose erano divenute diverse. Erano cose che c'erano prima. Che erano state toccate in un modo. Non si poteva più buttarle via alla leggera, anche se non servivano più. La storia è fatta così, quella grande e quella piccola; è la morte che la costruisce. Anche la storia di un soldatino dentro la sua garitta, o di una sciabola di latta, o di un trenino di ferro coi vagoncini che si sganciano ogni momento, e io ho davanti agli occhi quelle povere manine, sul lenzuolo bianco, impazienti e incapaci di riagganciarli, e il babbo arriva con una pinzetta. "Ecco, ora vedrai che non si staccano più". Anche un bimbetto di sette anni è un impeto di vita che nelle viscere della madre séguita a battere con eguale violenza.

 

Il dato più sconcertante è che neanche noi, come Bixio, siamo riusciti a riattaccare quei vagoncini, e credo che se in quel momento fosse entrato il vecchio Manara con un paio di pinze in mano a dirci: "Date a me, impiastri, che ve li riaggancio io codesti vagoncini", lo avremmo lasciato fare e non ci saremmo stupiti più di tanto. Per dirla in altre parole, questo ritrovamento dimostra, una volta di più, quanto le prose di memoria di Manara Valgimigli siano sempre filologicamente aderenti a ciò che davvero fu, a ciò che davvero accadde. C'è una filologia per i testi e c'è una filologia per le cose.

Anche solo da questi pochi accenni si comprenderà come i libri di Giorgio siano un autentico paradiso per chi si occupa di Valgimigli. Se questo accade è perché Giorgio ha sempre continuato ad accogliere nel corso degli anni attorno al nucleo centrale della sua biblioteca (i libri del padre e sul padre, un nucleo centrale anche dal punto di vista "topografico" e che la nuova collocazione nella saletta della biblioteca di Bagno ha ovviamente rispettato), i libri realizzati dall'ampia costellazione degli amici di suo padre, ma anche degli allievi e degli scolari di suo padre: Ezio Franceschini, Mario Untersteiner, Giuseppe Berto, Vittorio Enzo Alfieri, Iginio De Luca, Maria Vittoria Ghezzo, Marcello Gigante, Renata Fabbri e Luigi Meneghello che purtroppo è scomparso solo poche settimane fa e che anche a nome del Centro studi valgimigliani abbiamo salutato per l'ultima volta nella sua Malo venerdì 29 giugno.

Non vorrei che questo concentrare la nostra attenzione sul Valgimigli padre ci facesse perdere di vista il dato essenziale: questa è in primo luogo la biblioteca di Giorgio, sono i libri di un uomo che ha vissuto una lunga e intensa vita professionale in qualità di medico chirurgo e di primario ospedaliero (e una parte della sua libreria testimonia di questo impegno), che ha eseguito importanti consulenze per il Ministero della sanità, che si è a lungo impegnato in seno al Rotary Club. Un uomo di cultura che ha coltivato amicizie profonde. Tra le tante, quella con Manlio Cancogni, un'amicizia che risale agli anni difficili dell'Italia in guerra, con Giorgio mobilitato in qualità di sottotenente medico, esiliato, come Guido, a Sarzana. E Giorgio è più volte presente in uno degli ultimi libri dell'amico, Gli scervellati, e a proposito di quelle pagine rammaricava il fatto che Cancogni non avesse ricordato che loro due avevano adottato un bellissimo cane da caccia, sperso in quei giorni dubbiosi, un cane che aveva alleviato quelle loro giornate di naia stordita dall'orrore della guerra che bussava alle porte sempre più vicino e minaccioso.

Giorgio ha ordinatamente conservato tutto, compresi gli incartamenti che attestano le tante iniziative editoriali intraprese per ricordare il padre (Il libro delle dediche, le Lettere familiari, La scuola di Erse, il carteggio Baldini-Valgimigli, le nostre iniziative sampierane, la ristampa anastatica del carteggio Pancrazi-Valgimigli e delle Lettere a Francesca). Molti i faldoni occupati dalla corrispondenza e anche qui tante cose del padre: tutte le lettere ai familiari, di cui l'edizione Le Monnier si giovò solo in minima parte, le lettere di Concetto Marchesi a Manara e a Erse, e ovviamente le lettere dei tanti corrispondenti di Giorgio, sampierani compresi, e devo confessare che questa restituzione al mittente delle lettere dei sampierani alla biblioteca di Bagno (anche le mie a Giorgio) è stato un momento particolarmente doloroso.

Oggi questi libri e queste carte sono qui a segnare comunque, al di là della morte, una continuità, una eredità d'affetti che sarà sicuramente feconda. Ci sarà tanto da fare ed è anche per questa ragione che abbiamo chiesto l'aiuto della Soprintendenza per i beni librari e documentari dell'Istituto beni culturali della Regione Emilia-Romagna (nella persona di Rosaria Campioni) e del bibliotecario classense Donatino Domini, perché i libri di Giorgio dialogano strettamente con i libri di Manara conservati nella Biblioteca ravennate. Il lavoro è appena iniziato. Vedere, leggere, descrivere, ordinare, catalogare, per consentire, a chi lo vorrà, di attingere a questo grande patrimonio di carte. Personalmente posso dire che in questo dialogo quasi quotidiano con i libri di Giorgio riesco ogni tanto a godere l'illusione di proseguire il mio colloquio non con i suoi libri ma con Giorgio. E forse è proprio questo, almeno per me, il bene più prezioso nascosto nel suo dono al paese del padre e a tutti noi.

 

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