Rivista "IBC" XV, 2007, 3

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / editoriali

Chi legge un libro, o un documento, lo conserva, poiché lo ricrea, lo invera nella propria vita, nei propri desideri, nelle proprie speranze. Così un censimento, nel suo ordine esatto, ha sempre in mente, alla fine, un universo di lettori.
Conservare e inventare

Ezio Raimondi
[italianista, presidente dell'IBC]

Ha scritto Carlos Fuentes, un narratore che ha un senso vivissimo del presente e della sua condizione antropologica, che un futuro vivo non si può dare con un passato morto e ha poi aggiunto che il passato non è qualcosa di concluso e di compiuto perché ha bisogno sempre di essere riproposto dall'immaginazione del presente, dalla sua acutezza inventiva, dalla sua capacità di rapportarsi al mondo in modo nuovo e attivo. È un pensiero che conviene ricordare allorché si parla di beni culturali, tra musei, biblioteche e archivi, e della loro conveniente conservazione e valorizzazione. Di solito, infatti, noi abbiamo del passato un'immagine convenzionale, che si riflette immediatamente nel nostro rapporto con gli oggetti e le forme creati in altri tempi. Dimentichiamo che ciò che si conserva esige di essere investito dalla nostra vitalità, dal nostro presente, e va sempre interpretato, trasformato in una forza viva del nostro essere, della nostra esperienza. In altre parole, i segni del passato vogliono essere rivissuti dalla nostra capacità inventiva, a confronto con lo stile di altre epoche e di altri uomini. Per questo, soprattutto in un paese di tradizioni molteplici come l'Italia, i beni culturali rimandano anche a un sentimento civile, al riconoscimento di un'appartenenza comune, di un destino condiviso e solidale.

Il nostro tempo, si sa, è quello della spettacolarizzazione e dell'effetto clamoroso, dell'eccellenza, come si usa dire oggi, visibile e opulenta; e anche i beni culturali non possono sottrarsi a questo modo di essere, a questa grande retorica, che sembra realizzare in forme stupefacenti il sogno barocco di un grande teatro del mondo quotidiano. Ma i beni culturali, nella varietà dei luoghi e delle istituzioni di cui sono parte, appartengono nello stesso tempo a un'esperienza più comune, al livello di quella cultura "media" che definisce nella sua forma più solida una civiltà e una tradizione. Occorre che tutto questo divenga un esercizio concreto, un dialogo, un confronto con il passato, una tensione inventiva, con la consapevolezza che un patrimonio culturale si conserva soltanto se diviene nostro, momento attivo della nostra storia, della nostra dimensione umana e delle sue stesse vitali contraddizioni.

Non è un caso dunque che il dossier di questo numero sia dedicato alle strutture e ai servizi delle biblioteche e degli archivi storici della nostra regione, con un nuovo rilevamento che trasforma la vecchia "conservazione passiva" in "cultura del servizio", tutta dalla parte dei lettori e della loro comunità geneticamente complessa. È bene ricordare, tanto più con il trionfo inarrestabile dell'immagine e dei nuovi linguaggi digitali, che anche il libro, come il documento d'archivio, è un bene culturale, una creatura misteriosa che per prendere nuova vita attende la fiducia, la costanza, la dedizione di quel coautore particolare che è sempre il lettore: il quale deve poi esercitare la sua responsabilità di interprete e dare così un senso e una risposta alla voce di un altro tempo e di un'altra storia. L'interprete conserva un libro in quanto lo ricrea, lo invera con l'ansia della propria vita, dei propri desideri, delle proprie speranze. Così un censimento, nel suo ordine e nella sua esattezza impeccabile, ha in mente alla fine l'universo mobile e polifonico dei lettori, a cui è affidata una custodia che deve insieme essere sempre una trasformazione, una invenzione e una consonante ma libera integrazione di senso. Di qui il futuro vivo a cui pensa, anche in tempi difficili per la letteratura, l'intelligenza affabulatrice di Carlos Fuentes.

 

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