Rivista "IBC" XV, 2007, 1

musei e beni culturali / restauri, storie e personaggi

A Cesena un recente restauro consente di conoscere l'opera di Caterina Baratelli, pittrice dotata e donna coraggiosa. Si affermò in Sudamerica, ma non dimenticò la sua Romagna.
Caterina va in Brasile

Maria Martelli
[laureanda in Storia dell'arte all'Università di Bologna]

Lo spunto per riparlare della pittrice Caterina Baratelli si è ripresentato in occasione della recente riconsegna alla Pinacoteca civica di Cesena di un piccolo nucleo di opere della sua produzione, restaurate a cura dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) nell'ambito dei programmi della Legge regionale 18-2000 riguardante i musei, le biblioteche e gli archivi degli enti locali. Si tratta di quindici dipinti raffiguranti personaggi femminili che fanno parte di una più ampia collezione di lavori dell'artista, sessanta per l'esattezza, donati per volontà testamentaria della pittrice al Comune di Cesena nell'anno 1989. L'intervento appena terminato ha rappresentato un ulteriore importante momento di collaborazione tra l'IBC e il Comune per la valorizzazione del patrimonio artistico locale, soprattutto di quello riferito all'arte moderna e contemporanea conservata negli spazi della Pinacoteca.

Risale a un anno fa, infatti, il restauro della serie dei dipinti di Anselmo Gianfanti (pittore montianese, ma cesenate d'adozione, assai noto sul finire dell'Ottocento, precocemente scomparso nel 1903) che ora costituiscono il cuore della sezione otto-novecentesca della Pinacoteca, grazie a un intervento che ha messo in evidenza aspetti interessanti sui materiali impiegati e sulle particolari tecniche esecutive dell'artista. In precedenza, altri significativi momenti di rivalutazione del patrimonio cesenate avevano riguardato il riordino dell'intero corpus di opere grafiche e pittoriche di Gino Barbieri (pittore allievo di Adolfo De Carolis, tra i maggiori incisori e xilografi italiani del primo scorcio del Novecento) e, più in generale, un'azione di riqualificazione e manutenzione aveva coinvolto dipinti, sculture e disegni di noti artisti romagnoli della prima metà del secolo scorso.

Nel caso di Caterina Baratelli viene dunque resa fruibile dal pubblico una serie di opere mai prima esposte, ma di indubbio valore artistico, nonostante la scarsa notorietà fin qui riservata all'artista nella sua città e nella sua regione d'origine. Ma è anche la figura della Baratelli donna e insieme artista del primo Novecento a poter essere meglio tratteggiata lungo il corso di una vita segnata da eventi e circostanze abbastanza particolari. Nata a Cesena nel 1903, si è accostata giovanissima alla pittura, pur non frequentando scuole di formazione artistica fino all'età di circa diciassette anni, quando la madre acconsentì a iscriverla all'Accademia di Belle Arti di Milano. Una decisione maturata grazie all'incontro tra Caterina e Giuseppe Palanti, allora titolare della cattedra di Decorazione presso l'Accademia di Belle Arti di Brera, durante un soggiorno marittimo a Cervia. Il professore seppe riconoscere nella mano ancora acerba della giovane Caterina la capacità di cogliere nel profondo la personalità dei personaggi che andava ritraendo, mediante ampie pennellate ricche di colori.

Una potenzialità ancora sopita che aspettava solo di essere affinata e istruita a dovere, guidata da una mente brillante, curiosa, pronta a cogliere e a riportare sulla tela la vita circostante. Ciò che dovette colpire maggiormente Giuseppe Palanti fu proprio quest'ultima capacità evidentemente innata; egli stesso notevole ritrattista, dovette vedere in lei un valore non comune ad altri giovani pretendenti artisti. Per qualche tempo istruì personalmente Caterina nell'arte pittorica, trovando in lei un carattere forte, animato da sicurezza e curiosità, da cui sicuramente derivava l'acutezza nell'individuazione psicologica dei suoi soggetti. Gli altri insegnamenti contribuirono a definire e affinare le capacità della cesenate; l'ambiente vivace e ricco di spunti artistici dell'Accademia accrebbe sicuramente le sue conoscenze. Il viaggio e il soggiorno di Caterina a Milano, lontano dall'ambiente familiare e cittadino suscitarono non poco scalpore, ma l'appoggio della madre fu deciso e incrollabile nel sostenere il desiderio della figlia. Ritornata nella città natale sposò un colonnello dell'Esercito italiano, e dovette quindi trasferirsi spesso attraverso l'Italia per seguirne gli spostamenti. Diradatisi i legami con l'ambiente culturale di Cesena, accrebbe le sue conoscenze in campo artistico durante i lunghi soggiorni a Roma e a Palermo.

Dopo una crisi matrimoniale culminata con il divorzio, libera da impegni e legami, nel 1938 tornò a Cesena, dove visse con la madre. Al clamore suscitato dalla sua giovanile andata a Milano si aggiunse quindi anche lo scandalo sollevato dalla scelta di separarsi dal marito, e Caterina dovette non poco subire malignità e pettegolezzi sulla propria vita privata. A causa della diffidenza e talvolta anche dell'ostilità nei suoi confronti, restrinse a pochi intimi la cerchia delle amicizie, tra le quali vanno però ricordate figure note in campo culturale e artistico (come nel caso di Giannetto Malmerendi, già protagonista del movimento futurista romagnolo, pittore, ceramista, ispettore locale per le belle arti).

Durante gli anni della guerra, anche la famiglia di Caterina dovette subire le ristrettezze della povertà. Nel 1945, con l'arrivo delle truppe alleate, la liberazione di Cesena fu resa possibile anche per l'azione di un "commando" di polacchi. Ne faceva parte Alexander Janech: tra il militare e Caterina Baratelli nacque un'amicizia destinata a durare anche dopo la fine del conflitto, anche dopo il ritorno di Janech in Polonia, dalla moglie e dal figlio. I due, infatti, si erano reciprocamente scambiati gli indirizzi e così per qualche tempo poterono tenersi regolarmente in contatto. Intanto però Caterina dovette affrontare il suo primo grave lutto in famiglia. Il fratello, pilota di una compagnia aerea civile, scomparve dopo l'ultimo scalo per rifornimento sulla linea che percorreva di solito, la Roma - Rio de Janeiro, con sosta all'Isola del Sale, nell'Atlantico.

Spinta dalla difficile condizione economica a Cesena, ma soprattutto desiderosa di avere notizie del fratello, la pittrice decise di recarsi in Brasile, a Rio de Janeiro. Qui non trovò tracce del congiunto e per mantenersi fu costretta a vendere le sue opere o a eseguirne su commissione. Pur portando il peso del lutto, raggiunse presto la popolarità presso l'élite culturale e sociale cittadina, attestata dalle molte opere realizzate per il Palazzo del Governo di Brasilia. È a questo periodo che risale il nuovo incontro - fu casuale o si trattò piuttosto di un convegno concordato epistolarmente? - tra Caterina e Alexander, il quale, perduti moglie e figlio alla fine della guerra, si era trasferito in Brasile per sfuggire alla repressione russa. A Rio l'artista e l'ex militare vissero insieme. Qui Caterina ottenne significative commissioni sia private che pubbliche in campo artistico e si dedicò anche all'insegnamento di pittura e disegno per i giovani rampolli dell'alta borghesia metropolitana.

Frequenti i suoi ritorni a Cesena, forse anche per accostarsi di più alla vicenda artistica italiana, ma soprattutto per rivedere la madre e la sorella. Poco conosciuta in patria, a Rio ottenne un notevole successo e ottimi riconoscimenti da parte della critica fin dalle sue prime mostre personali, attorno al 1950. Piacque la sua pittura dalla tecnica figurativa ben fondata, la pastosità della materia, le tonalità vibranti e calde della terra (ocra, giallo scuro, rosso). A Rio Caterina Baratelli si spense nel 1988, all'età di 85 anni. La sua salma venne riportata da Alexander Janech a Cesena per essere tumulata, e con essa egli portò l'atto di donazione con cui la pittrice destinava al Comune sessanta delle sue opere con la sola condizione che le pitture fossero degnamente esposte, affinché il pubblico cesenate potesse conoscere e apprezzare l'opera della sua concittadina.

Con una preminente connotazione realista legata alla tradizione figurativa ottocentesca, Caterina Baratelli ha eseguito opere di vario genere, dalle nature morte alle scene d'interno, ai ritratti. E sono proprio questi ultimi soggetti quelli che l'hanno resa particolarmente celebre durante gli anni brasiliani: la resa viva e personale dello sguardo del soggetto ritratto cattura magneticamente l'occhio di chi guarda e lo invita a fermarsi, a penetrare il mondo interiore del protagonista della tela, mentre lo sfondo si perde in un pulviscolo indefinito. Fra i dipinti recentemente restaurati soprattutto i due ritratti che raffigurano bambine (due soggetti diversi) colpiscono per chiarezza e dolcezza di sguardo, terso come il cristallo ma leggermente languido, un po' corrucciato. Alcuni hanno riconosciuto nelle "teste" di Caterina l'espressione di una poetica personale, fondata sulla resa fedele del dato visivo ma anche sull'osservazione profonda del sentimento che anima il soggetto nel momento ritratto, della sua personalità; si potrebbe parlare così di un realismo psicologico. I risultati sono sorprendenti: la vita anima volti e lineamenti, mentre un'atmosfera dorata spesso circonda come un'aura le teste e i corpi; la resa è sempre sobria e la stesura è chiaramente "tirata al risparmio".

"La pittrice non aveva particolare preferenza per i supporti: spaziava dal cartone alla tela di poco spessore e fitta, a quella grossa e rada o grossolana, fino al compensato" scrive nella sua relazione Maria Letizia Antoniacci, la restauratrice di Cesena che ha esaminato i dipinti per sottoporli alle necessarie operazioni di recupero e che tra l'altro ha effettuato in questi anni interventi su altri dipinti dell'artista per conto della famiglia. "I dipinti meglio conservati sono quelli eseguiti su tavola. In essi non si evidenziano sollevamenti o cadute di colore [...]. I peggiori dal punto di vista conservativo sono i dipinti su tela a trama rada, con preparazione grossolana e con pellicola pittorica totalmente sollevata [...]. In generale il colore presenta un craquelé [una screpolatura, ndr] che denota la scarsità o addirittura la totale assenza di olio nell'impasto dei colori. Dall'osservazione con lampada di Wood, quasi mai si nota la presenza di vernice protettiva".

Colori stesi con parsimonia, quasi mai grassi, piuttosto granulosi (non per la scarsa qualità del materiale, ma per volontà dell'artista stessa), soprattutto la natura dei supporti utilizzati, sono anch'essi il segno d'una genialità, di un estro e di una personalità che oggi si può finalmente apprezzare appieno nei dipinti restaurati della Pinacoteca civica di Cesena.

 

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