Rivista "IBC" XV, 2007, 1

musei e beni culturali / convegni e seminari, progetti e realizzazioni, restauri

Madonne vestite: un restauro e due convegni restituiscono la dovuta attenzione a una particolarissima tipologia di manufatto, a metà tra arte e antropologia.
Gli abiti della festa

Lidia Bortolotti
[IBC]

L'intervento di restauro della statua vestita raffigurante una Madonna con il Bambino e appartenente alle collezioni del Museo d'arte sacra "Beato Amato Ronconi" di Saludecio (Rimini) è stato formalmente avviato alla fine del 2004; tuttavia, prima di essere affidata alle cure delle restauratrici, la statua è stata esposta al XII Salone del restauro di Ferrara, nell'ambito della mostra "Cantieri culturali" realizzata per l'occasione dall'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC).

Qualche tempo prima - durante un sopralluogo al Museo di Saludecio effettuato dai funzionari del settore restauro dell'IBC (tra cui chi scrive) e finalizzato all'erogazione di un finanziamento derivante dalla Legge regionale 18/2000, "Norme in materia di biblioteche, archivi storici, musei e beni culturali" - fu individuato nei depositi del museo un singolare e pregevole manufatto devozionale raffigurante una Madonna odegitria, ossia in piedi, con Bambino sorretto dal braccio sinistro. Realizzata in cartapesta, tela gessata e abbigliata, versava in pessimo stato di conservazione: fu quindi finanziato un intervento di restauro, insieme al recupero delle due tele per cui era stato chiesto in origine il sopralluogo (San Leone tra due angeli e Madonna col Bambino e i Santi Cristoforo e Beato Amato).

Il gruppo plastico, esaminato dallo storico dell'arte Pier Giorgio Pasini, sarebbe ascrivibile alla fine del XVII secolo, sia per le proporzioni eleganti e slanciate della figura della Madonna sia per la morfologia delle parti realizzate in cartapesta e la fisionomia delle figure che si direbbero ispirate a un classicismo cignanesco. È possibile che si tratti di un'opera di fattura emiliana e - dato il carattere del manufatto, abbastanza leggero da poter essere portato agevolmente in processione - è ipotizzabile che provenga dalla chiesa di San Girolamo, già dei padri Gerolomini, dove ancora esiste un altare ligneo del 1723 dedicato alla Madonna del Carmine, attualmente privo del simulacro originale.

Vista la costituzione polimaterica dell'oggetto è stato necessario affidare l'intervento a due distinte ditte di provata esperienza e affidabilità, nonché tra di loro affiatate, individuate nella "R.T. Restauro Tessile" di Albinea (Reggio Emilia) per quanto riguarda i due abiti, quello della Madonna e quello del Bambino, e in Roberta Notari di Reggio Emilia per il modellato. Si è quindi potuto studiare a fondo il manufatto. La Madonna risulta costituita da una semplice struttura in legno formata da un sostegno verticale a cui sono ancorate traverse lignee ricoperte di stoppa e crine per dare volume alla figura, mentre il volto, le mani e i piedi sono interamente realizzate in cartapesta, come pure il Bambino, mentre l'abito originale che la riveste è stato modellato con grande maestria in tela gessata; entrambi sono abbigliati con vesti in cotone operato rifinite con pizzi a fuselli, databili alla metà dell'Ottocento; la Madonna è inoltre ornata con monili: orecchini a pendente e collier in metallo e vetro.

Le condizioni conservative risultavano, come si è detto, assai precarie: numerose fratture interessavano le dita della mano destra della Madonna e di entrambe le mani del Bambino e l'umidità degli ambienti aveva causato numerose lacune nella tela gessata della veste. Gli abiti inoltre presentavano una forte scoloritura, numerosi strappi, lacerazioni, tagli e abrasioni diffuse. All'avvio del restauro, dopo un'accurata documentazione fotografica delle due statue, sia vestite che senza abiti, si è proceduto a un'accurata pulitura. Gli abiti - opportunamente smontati e lavati con prodotti idonei, dopo aver effettuato i test di tenuta del colore - sono stati consolidati ad ago con supporti in tessuto adeguatamente colorato, quindi sono stati rimessi in forma a vapore. Per la parte plastica, dopo la pulitura con solventi idonei e la rimozione delle ridipinture, si è proceduto al consolidamento della tela gessata e della struttura. Sono state inoltre riposizionate le parti staccate e ricostruite le parti mancanti. Successivamente si è proceduto alla stuccatura delle lacune, sia della veste della Madonna sia degli incarnati; il ritocco finale e la stesura di una vernice protettiva semiopaca hanno completato l'intervento.

Nel corso del restauro sono emersi una serie di dati inequivocabili che hanno indotto - sia in Armanda Pellicciari (che ha diretto i lavori per la Soprintendenza ai beni storico-artistici e demoantropologici di Bologna) sia in chi scrive (responsabile dell'intervento per l'IBC) - la decisione di non esporre il gruppo plastico rivestito con gli abiti ottocenteschi. Dall'accurata eleganza del modellato si è dedotto che il simulacro non era stato realizzato come manichino da abbigliare, bensì come opera in sé compiuta con una precisa connotazione stilistica e temporale: gli abiti furono probabilmente adottati con l'intento di abbellire la statua e coprire evidenti segni del tempo. Il recupero ha consentito di riproporre il gruppo plastico alla fruizione pubblica nel suo aspetto originario, evidenziandone la pregevole fattura. Gli indumenti, giustamente restaurati, sono comunque conservati in museo: per essi sarà in futuro ricercata un'idonea modalità di esposizione.

La singolarità del manufatto, l'intrinseco pregio, uniti allo stato conservativo in cui versava, hanno sollecitato grande interesse negli operatori che hanno avuto modo di occuparsene. L'IBC - da sempre attento all'individuazione di particolari percorsi di conoscenza volti al recupero, intellettuale prima ancora che materiale, della complessa e sedimentata realtà culturale che ha prodotto nel territorio un patrimonio ricco ed eterogeneo - ha promosso due diversi momenti di studio dedicati alle specifiche problematiche conoscitive e conservative di questi particolari beni, polimaterici per eccellenza, pregevoli per il loro alto profilo storico, artistico e antropologico. I convegni "Virgo Gloriosa: percorsi di conoscenza, restauro e tutela delle Madonne vestite" e "Virgo gloriosa e Santi: restauro e tutela dei simulacri vestiti" hanno avuto luogo rispettivamente il 9 aprile 2005 e il 2 aprile 2006, nell'ambito della XII e della XIII edizione del Salone di Ferrara.

Il tema iconografico mariano è stato nei secoli il più ricco e significativo dell'arte cristiana. All'origine di questo complesso fenomeno c'è la raffigurazione della madre di Dio, la Theotokos, rilevabile nei mosaici absidali delle più antiche chiese cristiane (V-VI secolo), che sviluppandosi dà luogo a un vasto repertorio: dalle Madonne oranti alle "conduttrici" dette "odegitrie" (ossia in piedi con il bambino in braccio) che, protettrici e misericordiose, sono parte integrante del complesso decorativo bizantino fino alle successive raffigurazioni di tradizione occidentale. E se nell'ambito dell'Oriente cristiano la rappresentazione è sostanzialmente ieratica, ripetitiva e iconica, in Occidente risulta più libera e si rinnova profondamente, arricchendosi di specifici attributi. Si rammentano in proposito le raffigurazioni della Madonna della Misericordia rilevabili dal XIII secolo, quelle della Madonna dell'Umiltà, del Parto, della Cintura e così via, fino alla raffigurazione della Immacolata Concezione, immagine che conosce grande diffusione in tutto il mondo cattolico, soprattutto in Italia e Spagna, e in particolare durante l'età barocca, quando Maria Immacolata diviene allegoria della Chiesa stessa.

In questo ambito una specifica collocazione spetta alle effigi destinate a essere "abbigliate": si tratta di un fenomeno legato in particolare alla ritualità delle devozioni popolari, che attraversa i secoli dal Medioevo ai giorni nostri e che interessa buona parte dell'Europa, in particolare l'Italia, la Francia e la penisola iberica.1 La consuetudine di abbigliare le statue è antichissima e, per l'area di nostro interesse, in età medioevale il fenomeno si rinnova: nella Spagna del XIII secolo, per esempio, è documentato l'uso di porre sulle statue della Vergine manti e corone, ma possono altresì ritenersi vestimenti delle effigi sacre anche le applicazioni di elementi in metallo, sulle raffigurazioni sacre bidimensionali oltre che sulle sculture; ma è soprattutto dal Cinquecento che il fenomeno si sviluppa notevolmente per giungere nel Settecento al massimo splendore e, con alterne fortune, fino a oggi.

Questa specifica statuaria può presentare caratteristiche tipologiche diverse a seconda dell'epoca di produzione, dell'area geografica di provenienza nonché del culto a cui è destinata. Solitamente si tratta di veri e propri manichini, generalmente rifiniti nelle sole parti del corpo destinate a restare visibili una volta completata la vestizione (testa, mani e piedi), mentre le parti nascoste dagli abiti sono tendenzialmente poco rifinite e in genere realizzate con materiali diversi, ma con una particolare attenzione per gli aspetti funzionali: le eventuali articolazioni e la capacità di sostenere opportunamente il corpo e le vesti spesso sontuose. Non mancano comunque statue lignee dipinte, concepite in origine per essere esposte senza la sovrapposizione degli abiti, e adattate in un secondo tempo alla vestizione, uso che ne ha determinato inevitabilmente modifiche, talvolta minime, ma che in certi casi hanno comportato addirittura un completo smembramento dell'opera.

È evidente che le raffigurazioni tridimensionali, dedicate quasi sempre alla Madonna e al Bambino, insieme o separati (un discorso a parte spetterebbe ai Bambinelli), ma talvolta anche ai Santi, offrono numerosi spunti di analisi interdisciplinare. Realizzate quasi sempre in legno intagliato e dipinto, o in gesso o in cartapesta, sono oggetto di studio per lo storico dell'arte e per i tecnici specialisti nel restauro del polimaterico; quanto alle vesti, il più delle volte realizzate con materiali pregevoli, caratterizzati da straordinari filati e da bei ricami, e cuciti con particolare cura, sono oggetto di riflessione per gli studiosi della storia delle mode e dei tessuti. Mentre gli aspetti legati alla cura e al culto dei simulacri, esercitati il più delle volte da gruppi di donne o da confraternite appositamente costituitesi, sono di sicuro interesse per l'antropologo, che analizza i comportamenti relativi al rapporto tra fedeli e divinità, in particolare quelli con cui si prepara e si compie la donazione, degli abiti soprattutto, solitamente a fini votivi, ma anche la "dotazione" del simulacro, i riti di vestizione, l'ostensione dell'effigie.2

Tutti questi aspetti venivano affrontati a Ferrara nel corso del convegno del 2005 (gli atti sono disponibili on-line sul sito dell'IBC: www.ibc.regione.emilia-romagna.it/virgo), in particolare attraverso gli interventi di Riccarda Pagnozzato, Elisabetta Silvestrini e Paola Goretti. Quest'ultima, in apertura, ha segnalato alcuni degli aspetti più problematici di una non facile convivenza, quella tra ritualità antenate di tipo animistico, legate al culto delle antiche dee madri e ai processi di simbolizzazione di una vita matrilineare, "e quella più prossima alla figurazione misterica del dogma cristiano". La statuaria votiva d'età preistorica (studiata con grande attenzione da Maria Gimbutas) e il tema del perpetuo rinnovamento della vita legato a questi simulacri, costituirebbe, in forma ovviamente arcaica, un antecedente delle sacre icone della Vergine. Tuttavia l'ortodossia religiosa è sempre stata poco propensa a valutare favorevolmente questi intrecci: in nessun modo il dogma mariano dell'intercessione sarebbe assimilabile al culto delle più antiche dee madri.

La testimonianza di Cinzia Petrarota, docente all'Università di Bari e attiva presso il Centro ricerche di storia religiosa in Puglia, ha proposto modelli di grande pregio - l'Addolorata di Ruvo e il simulacro della Madonna con Bambino di Santa Maria Greca a Corato (Bari) - e la descrizione dei rituali canonici legati alla Settimana Santa per raccontare una liturgia tradizionale tuttora assai diffusa nell'Italia centromeridionale e nelle isole. Mentre l'accento sulla consistenza di questo particolare patrimonio in Emilia-Romagna - consistenza che, seppure non straordinaria nelle chiese e nei musei d'arte sacra, risulta comunque di una certa entità - è stato posto dagli interventi di Mariangela Giusto (Soprintendenza al patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico di Parma e Piacenza) e di Lorenzo Lorenzini (Museo civico d'arte di Modena). Purtroppo, con le debite eccezioni, le statue abbigliate sono state oggetto di un vero e proprio disconoscimento dal punto di vista liturgico e storico-artistico, con la rimozione dagli altari e la collocazione nei depositi, in cui rischiano un completo abbandono. Risulta quindi prezioso il lavoro di schedatura del patrimonio ecclesiastico condotto dalle Soprintendenze statali, intensificato e affinato in anni recenti, e affiancato da un'analoga campagna promossa dalla Conferenza episcopale italiana.

Questo primo convegno si chiudeva entrando nello specifico delle problematiche conservative, con la presentazione delle metodologie e degli esiti di alcuni restauri. L'intervento dell'Opificio delle pietre dure di Firenze - introdotto dal direttore del settore restauro tessile, Marco Ciatti - riguardava alcuni manufatti assai singolari: una statua vestita d'epoca settecentesca, raffigurante probabilmente una santa, donata da Alberto Pecci nel 1976 al Museo del tessuto di Prato, ove è tuttora esposta, e due madonnine ottocentesche, una Dormitio Virginis e un'Addolorata, in ceroplastica e vestite, provenienti dall'Abbazia di Spirito Santo di Caltanissetta (queste ultime rientrano in una peculiare tipologia di simulacri: un tempo assai diffusi e destinati originariamente al culto privato, venivano posti in particolari punti della casa a scopo apotropaico e propiziatorio). Il contributo del laboratorio "R.T. Restauro Tessile" di Albinea presentava infine i restauri relativi alla Madonna della Consolazione, detta anche "della cintura", conservata nella Chiesa di San Girolamo di Bagnacavallo (Ravenna, secolo XIX) e della Madonna appartenente alla Chiesa della Natività della Beata Vergine e San Prospero di Albinea (scultura, secolo XVIII; abiti, secoli XVIII-XIX).

Il positivo riscontro di questo primo convegno e la necessità di approfondire l'argomento con una serie di casi significativi e tra loro assai diversi hanno sollecitato l'organizzazione della seconda tornata di lavori. Se ogni restauro richiede, prima del suo avvio, un'attenta valutazione dei peculiari aspetti storici e materiali che connotano il manufatto, le scelte metodologiche di un intervento su questa tipologia polimaterica diventano estremamente significative: oltre agli aspetti più propriamente conservativi, infatti, è indispensabile valutare attentamente modifiche, integrazioni e stratificazioni che nel tempo hanno caricato l'oggetto di specifici valori devozionali e taumaturgici, oltre che estetici.

Riprendendo il filo del dibattito, il convegno del 2006 si è aperto con l'intervento di Marzia Cataldi Gallo (Soprintendenza per il patrimonio storico artistico della Liguria), che ha presentato una ricognizione di "Madonne vestite" in area ligure, a cui ha fatto seguito la restauratrice Mariolina Rella, che ha esposto le tecniche adottate e gli esiti del restauro di due abiti di una Madonna con Bambino e di una Vergine Immacolata, entrambe del XVIII secolo, provenienti dall'Albergo dei poveri di Genova. Marica Mercalli e Marisol Valenzuela dell'Istituto centrale del restauro di Roma, e la restauratrice Claudia Kusch, hanno illustrato la metodologia di un restauro che ha richiesto un'attenta riflessione sui materiali eterogenei di un complesso presepiale appartenente alla Pinacoteca civica di Imperia.3

Paola Refice - curatrice, con Valentina Conticelli e Secondino Gatta, del volume Madonnine agghindate. Figure devozionali vestite dal territorio di Arezzo,4 catalogo della mostra allestita nell'aprile 2006 ad Anghiari, poi a Cortona e ad Arezzo - si è soffermata sugli aspetti conservativi di un patrimonio che comprende, tra le figure devozionali, antiche statue lignee successivamente adattate per la vestizione, Madonne vestite di varie dimensioni, Bambinelli e alcune Marie bambine. Un patrimonio di circa sessanta pezzi, molti dei quali recuperati per la prima volta in sacrestie, depositi e intercapedini di chiese e conventi di ordini femminili.

Sulla tecnica, la diagnostica e la conservazione delle sculture "da vestire" di Nero Alberti da Sansepolcro ha relazionato Cristina Galassi dell'Università di Perugia, curatrice della mostra tenutasi a Umbertide nel 2006.5 Si tratta di un consistente patrimonio di manichini "da vestire" realizzati magistralmente con un particolare procedimento polimaterico in un'importante bottega del Cinquecento, dedita anche alla produzione di manufatti lignei e pittorici di tipologie diverse quali carpenterie lignee, altari, crocefissi e quanto era possibile produrre grazie all'abilità di un artista-artigiano del Rinascimento.

Le complesse vicende relative a un sontuoso abito risalente alla metà del XVI secolo, appartenuto forse a Eleonora da Toledo, sono state esposte da Mariagiulia Burresi, direttrice del Museo nazionale di Palazzo Reale di Pisa, alle cui collezioni il vestito attualmente appartiene.6 La veste, con altri due abiti tardorinascimentali, componeva il prezioso guardaroba di una Madonna lignea (forse un'Annunciata di Andrea Pisano ormai perduta) ed era custodito dalle monache del Convento di San Matteo di Pisa. L'intervento conservativo, affidato a Moira Brunori, ha richiesto anche l'apporto di Thessy Schoenholzer Nichols, studiosa specializzata nella ricostruzione di abiti d'epoca: entrambe hanno relazionato sul restauro.

Il convegno del 2006 è stato infine l'occasione per presentare l'esito del restauro della statua della Madonna con Bambino appartenente al Museo d'arte sacra "Beato Amato Ronconi" di Saludecio, di cui si è detto all'inizio. Come per il primo appuntamento, è nostra intenzione pubblicare anche questi atti sul sito web dell'IBC. L'argomento è di estremo interesse e, in particolare per quanto riguarda il patrimonio conservato in Emilia-Romagna, richiederebbe un'attenzione maggiore che potrebbe tradursi in una rigorosa ricognizione e in un'appropriata valorizzazione, per trarre questi beni da quella sorta di limbo che li colloca tra l'arte vera e propria e l'etnografia.

 

Note

(1) M. Albert-Llorca, Les Vierges miraculeuses. Légendes et rituels, Paris, Gallimard, 2002.

(2) E. Silvestrini, G. Gri, R. Pagnozzato, Donne Madonne Dee. Abito sacro e riti di vestizione, gioiello votivo, "vestitrici": un itinerario antropologico in area lagunare veneta, Padova, Il Poligrafo, 2003; Madonne della Laguna. Simulacri "da vestire" dei secoli XIV-XIX, a cura di R. Pagnozzato, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1993.

(3) Il presepe di Imperia. Metodologia di un restauro, Imperia, Città di Imperia, 2003.

(4) Madonnine agghindate. Figure devozionali vestite dal territorio di Arezzo, a cura di P. Refice, V. Conticelli, S. Gatta, s.l., s.e., 2005.

(5) Sculture da vestire. Nero Alberti da Sansepolcro e la produzione di manichini lignei in una bottega del Cinquecento, a cura di C. Galassi, s.l., Electa - Editori Umbri Associati, 2005.

(6) L'abito della Granduchessa. Vesti di corte e di madonne nel Palazzo Reale di Pisa, a cura di M. Burresi, Pisa, Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici per le province di Pisa, Livorno, Lucca, Massa Carrara, 2000.

 

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