Rivista "IBC" XIV, 2006, 4

Dossier: Una rete di cataloghi - La catalogazione informatizzata nei musei

musei e beni culturali, dossier /

Fotografare per il catalogo

Marcello Rossini
[Centro regionale per il catalogo e la documentazione, CRC srl, Bologna]

L'opera di catalogazione dei beni culturali è svolta da molte professionalità diverse: schedatori, archeologi e storici dell'arte dipendenti o collaboratori dei musei; in Emilia-Romagna, in particolare, dai collaboratori dell'Istituto regionale per i beni culturali (IBC) e del Centro regionale per il catalogo e la documentazione (CRC). Anche nell'attività di documentazione fotografica è necessario il lavoro di più persone di provenienza diversa (oltre all'utilizzo, previa digitalizzazione, di immagini già presenti negli archivi di alcuni musei). Per chi si occupa del coordinamento delle attività di catalogazione, uno dei compiti più importanti è senza dubbio quello di organizzare e mettere in relazione tra di loro questi ruoli operativi e una grande quantità di informazioni testuali e visive.

L'introduzione dell'informatica nel processo catalografico ha messo in atto una modificazione profonda anche dei prodotti, in quanto la necessità di una gestione automatizzata ha reso indispensabile un'organizzazione uniforme dei dati secondo criteri rigorosi che consentano di ottenere risultati univoci. Il lavoro è diventato notevolmente più complesso, mentre tutte le operazioni sono condivise contemporaneamente da più soggetti: è chiaro che per realizzare il catalogo digitale è richiesto un lavoro di squadra fortemente integrato con la capacità di aggiornarsi professionalmente in modo rapido e coerente, individualmente e in gruppo.

La documentazione fotografica deve pertanto essere realizzata con metodo, attraverso il controllo delle operazioni di ripresa e l'utilizzo di tecniche adeguate, e con conoscenza degli oggetti da schedare e del contesto in cui si trovano. L'immagine fotografica, se realizzata con criterio oltre che in modo tecnicamente corretto, è in grado di tradurre le valenze formali e superficiali di un oggetto attraverso un'operazione di sintesi in cui il fotografo seleziona, fra le innumerevoli riprese possibili, quelle che possono evidenziare caratteristiche morfologiche, materiali, tecniche e di texture oltre che del colore.

L'importanza (e la difficoltà) di raggiungere uno standard comune nella documentazione fotografica viene messa a fuoco meglio se si considerano, da un lato, la varietà di tipologie dei musei e degli oggetti da fotografare, e, dall'altro, le esigenze di uniformità e chiarezza di visualizzazione necessarie alla riconoscibilità e differenziazione degli oggetti, a una corretta elaborazione informatica e a un'efficace pubblicazione sul Web.

Prima di iniziare il lavoro vero e proprio di documentazione fotografica di un insieme di beni da catalogare, occorre conoscere perfettamente la documentazione esistente presso l'archivio del museo. Si trovano situazioni molto diverse: dalla assenza di documentazione, alla presenza di positivi o negativi bianco e nero, diapositive a colori, files digitali, di varie date e provenienze. C'è una scelta che si impone a questo punto: se utilizzare in tutto o in parte le immagini esistenti oppure rifarle ex novo. I criteri di scelta (a parte considerazioni economiche) sono l'"età" della documentazione esistente (se superiore ai dieci anni o comunque riproducente uno stato dell'opera ormai mutato, è senz'altro preferibile rifotografare il bene) e il livello di "leggibilità" (è importante che tutti gli oggetti siano stati fotografati singolarmente e con inquadratura e illuminazione sufficienti).

Una volta presa la decisione di utilizzare immagini esistenti, se non sono già digitali  - e in questo caso vanno valutati il formato (che dovrebbe essere non compresso) e le dimensioni (almeno di 3.000 pixel il lato maggiore) - le fotografie vanno digitalizzate tramite scanner, rispettando nell'acquisizione le definizioni per il Livello A della Normativa per l'acquisizione digitale delle immagini fotografiche, la pubblicazione dell'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (ICCD) che nel 1998 ha dettato gli standard a livello nazionale e rimane a tutt'oggi il testo di partenza e di riferimento (anche se con qualche necessaria correzione: per esempio, il formato PCD nel frattempo è scomparso ed è senz'altro preferibile il formato TIFF al PNG).

L'altro manuale di riferimento ministeriale su questi temi è La documentazione fotografica delle schede di catalogo. Metodologie e tecniche di ripresa (ICCD, 1998), a cui si rimanda per la normativa specifica da seguire per le varie tipologie di beni da fotografare, riconsiderando però la parte sull'uso delle fotocamere digitali, su cui all'epoca si mantenevano forti riserve, alla luce dell'enorme sviluppo ed evoluzione qualitativa in questo campo nel corso di neanche dieci anni. In questo testo si individuano "i due requisiti fondamentali a cui la documentazione fotografica della scheda di catalogo deve rispondere: requisiti da una parte di essenzialità e oggettività, intendendo come oggettivo quanto non mediato dalla cultura e dall'interpretazione del fotografo, ma ottenuto [...] attraverso la standardizzazione dei punti di vista e delle condizioni di ripresa [...]. D'altra parte la foto di documentazione deve fornire tutti gli elementi necessari a identificare le peculiarità che contraddistinguono il bene rispetto a dettagli significativi dell'ornamentazione e dello stato di conservazione, così come per quello che riguarda la definizione dei volumi, l'andamento delle superfici, la tecnica esecutiva [...]".

Nella fase di ripresa la scelta dell'inquadratura dovrà quindi essere fatta cercando di ottenere la migliore "leggibilità" complessiva dell'oggetto in esame. Non si ricorderà mai abbastanza l'importanza della qualità della luce disponibile (intensità, temperatura, colore e direzione) per la qualità dell'immagine fotografica, importanza ancora maggiore rispetto alla qualità della fotocamera o delle ottiche utilizzate. È la qualità della luce a fornire la plasticità e la perfezione nella riproduzione dei colori dell'oggetto fotografato. E questo vale ancora di più con il digitale, particolarmente sensibile in carenza di luce al fenomeno del "rumore" elettronico. Per la maggior parte dei beni è da preferirsi un'illuminazione uniforme e diffusa, a parte quelli che presentano decorazioni o lavorazioni superficiali, che possono essere evidenziate attraverso la disposizione di una illuminazione secondaria diretta e radente rispetto alla superficie, insieme a una principale di tipo diffuso.

La scelta di una singola ripresa (comunque requisito minimo necessario per ogni scheda), o di più riprese per oggetto, dipende da varie considerazioni e comunque spetta allo schedatore. Un fotografo esperto sa che con un'unica ripresa si deve rinunciare a qualcosa, ma è in grado comunque di trovare un'inquadratura "di sintesi" che consenta una rappresentazione complessiva del bene e soprattutto la sua identificazione inequivocabile.

Per l'economia dei tempi e l'uniformità dei risultati è quasi sempre necessario "decontestualizzare", in fase di ripresa, tutti gli oggetti trasportabili, allestendo un set dotato di fondale su cui riprendere l'oggetto, con l'avvertenza di utilizzare, almeno all'interno dello stesso museo, un unico fondale (neutro: servirà anche come riferimento per il bilanciamento del bianco in fase di postproduzione). Bisogna sempre tenere presente che le fotografie non resteranno singole "belle immagini" ma, prima, finiranno organizzate nella banca dati, e quindi visualizzate nel sito web. Se si pensa che con il fotoritocco digitale sia facile e veloce uniformare lo sfondo di una serie di immagini forse non lo si è mai fatto... (è anche questo uno dei motivi per cui conviene spesso rifare la documentazione fotografica di oggetti precedentemente fotografati in modo non corretto). Gli oggetti non spostabili dovranno comunque essere isolati in qualche modo da altri oggetti o elementi di disturbo, posizionando fondali o pannelli. Ci sono casi invece in cui l'oggetto va fotografato nel suo contesto decorativo o ambientale, o perché parte di un complesso, o per evidenziarne le condizioni conservative.

L'avvento della fotografia digitale ha portato notevoli vantaggi al lavoro del fotografo, tanto più nell'attività di catalogazione. La contrapposizione fotografia analogica versus fotografia digitale è un falso dilemma: non ha più senso, o ha un senso ormai solo storico. Oggi tutta la fotografia, professionale o amatoriale, è digitale. Viene in mente a questo proposito la decisione di un grande fotografo come Paolo Monti, che dal 1965 in poi, nei suoi famosi e insuperati lavori di rilevamento dei centri storici di molte città della nostra regione, usò fotocamere di piccolo formato a mano libera e obiettivi grandangolari e zoom, e la lucidità e la determinazione con cui difese questa scelta ("Bisogna abbandonare i metodi fotografici in uso soprattutto nel passato, ma che ancora oggi sopravvivono").

Si può immaginare che Monti non avrebbe esitato un attimo ad abbracciare il nuovo mezzo e ad apprezzarne gli indubbi vantaggi che, non solo nel campo della catalogazione, sono quelli di un controllo maggiore da parte del fotografo di tutte le fasi del lavoro, dalla ripresa alla postproduzione (che non è altro se non quello che una volta erano lo sviluppo e la stampa). La camera oscura di prima è diventata una camera chiara (o "luminosa": Lightroom, non a caso, è stato chiamato l'ultimo software Adobe in uscita, destinato a diventare il riferimento professionale dei prossimi anni), e quello che si è perso in suggestione e "mistero" si è guadagnato in qualità e agilità (senza però pensare a una facilità e "ignoranza" delle competenze fotografiche, che rimangono le stesse più il necessario continuo aggiornamento).

Dovrebbe essere chiaro a questo punto come sia d'importanza cruciale una sapiente organizzazione del flusso di lavoro sulla fotografia (effettuato sia dal fotografo sia da altri operatori che lavorano sulle immagini): dalla ricerca d'archivio al sopralluogo, alla ripresa, alla postproduzione, alle conversioni e ai collegamenti alle schede nella banca dati, alle ottimizzazioni per la pubblicazione sul Web.

 

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