Rivista "IBC" XIV, 2006, 3
Dossier: Facile a dirsi - Come divulgare la cultura
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /
Chi non si è mai annoiato a scuola? Che io conosca nessuno. Ciascuno di noi ricorda il tedio di spiegazioni insistite e incomprensibili, relative a teorie ed eventi dei quali sfuggivano il senso e la natura. Ma soprattutto risultava difficile da capire la loro importanza, il rapporto che potevano avere con la nostra vita.
Eppure, in via teorica, tutto ciò dovrebbe apparire strano. È facile dar ragione di come e perché a scuola si possa essere stati preda del terrore in attesa di un'interrogazione quando non si aveva studiato; della disperazione di fronte a un compito in classe di matematica che non si riusciva a risolvere, di un testo greco o latino al quale non si era in grado di fornire una traduzione; della stanchezza quando troppe ore di spiegazione si erano succedute. Ma perché sorgeva la noia, a fronte della presentazione della storia del mondo e del distillato del sapere di tutta l'umanità, delle sue riflessioni e delle sue scoperte, concentrato per noi e per essere offerto alla nostra curiosità di giovani? Informazioni, scoperte e curiosità, teorie scientifiche e racconti del passato, il meglio della poesia e della letteratura, le radici del bello e i rudimenti di quello che sono i grandi sentimenti di ogni uomo. Tutto questo dovrebbe divertire, non annoiare.
Eppure la noia c'era. Si trattava di un'esperienza indiscutibile. Non il semplice desiderio di essere altrove a fare qualcos'altro, la comprensibile preferenza per il pallone o per la timida e pudica scoperta dell'altro sesso. Proprio la noia, quella che appesantisce le palpebre e fa perdere il filo del discorso che pure si tenta di seguire, se non altro per sfuggire alla necessità di studiare a casa sui libri quello che forse si può imparare già in classe.
Il problema della divulgazione sta anche lì, nel mantenere agli eventi della storia e del sapere il loro sapore genuino e intrigante. Originario. E la sua soluzione è molto più difficile di quanto si creda. Si tratta di un carattere insito nell'atto stesso del comunicare, che non è mai neutrale. Arricchisce o impoverisce il contenuto della comunicazione stessa, che dell'insieme della trasmissione costituisce peraltro sempre una parte minima. Decisiva sì, ma molto ridotta.
Secondo Jean Bodin la cultura non si può trasmettere. Per transitare da un individuo a un altro l'evento culturale ha bisogno di una reinterpretazione, altrimenti la sua natura si degrada in fretta e la sua sostanza scompare. Ne rimane solo il simulacro, la scorza vuota. A pensarci bene questo fenomeno è presente nelle attività umane più qualificanti. La trasmissione mitologica avviene solo nella forma di un rinnovamento del racconto, di un passaggio vitale, dove l'attualizzazione prevale sull'autenticità. Nella narrazione storica si manifesta lo stesso fenomeno, anche se in forma diversa, con la necessità di rivisitare di continuo il passato per tenere in vita la nostra memoria collettiva. Né si può amare, o solo apprezzare, riconoscere meriti o valori per interposta persona.
Quello che è necessario in una catena umana che trasmette cognizioni ed emozioni qualificate è la condivisione. Per essere raggiunta essa richiede spesso il compimento di un percorso, a volte arduo. Raccontare la storia deve significare riviverla. E questo è vero anche per qualsiasi altro ramo del sapere, dalla poesia alla matematica, dalla filosofia alla fisica astronomica. La trasmissione della cultura non ammette l'esistenza di fiori recisi, né di imitazioni in carta o plastica. Solo le piante vive e attraversate dalla linfa sono ammesse.
Credo che questo dipenda dall'impossibilità di distinguere forma e sostanza, come pensava Aristotele, o dall'evidenza più moderna del fatto che il mezzo è il messaggio, secondo la lezione di McLuhan. Il secondo consapevole di ricalcare il messaggio cristiano in merito alla fondazione del mondo sulla base del Mistero dell'Incarnazione. In termini di comunicazione di un sapere questo significa che solo chi ha studiato può presentare il risultato di uno studio, anche se non suo. L'aver fatto ricerca, come si dice nel gergo dell'università, rappresenta una sorta di iniziazione a quello che noi consideriamo il sapere scientifico, qualunque cosa voglia dire questo termine. In questo caso condiviso solo sul versante culturale. Nel senso che noi occidentali moderni tendiamo a rifiutare la conoscenza di natura sciamanica o estatica preferendole forme basate sull'impegno personale e l'apprendimento.
Comunicare sapere, senza crearne di nuovo, rappresenta però l'oggetto proprio di una precisa attività: la divulgazione, e già in questa affermazione sono contenuti tutti i dubbi sulla liceità dell'attività stessa. In base a quello che abbiamo detto sin qui, se manca creazione di conoscenza, la trasmissione di materiale culturale ricorda molto da vicino il trasporto di acqua nello scolapasta. Non perché l'acqua non si possa trasportare, ma perché per essere effettuato il trasporto richiede lo strumento adatto, che nella sua forma migliore è rappresentato da una conduttura.
A Radio2 ci siamo posti questi problemi quando abbiamo deciso, sette anni fa, che una radio, fosse anche leggera e dedicata in maniera largamente maggioritaria all'intrattenimento, aveva bisogno di un suo spazio di divulgazione culturale. Senza la pretesa che esso costituisse lievito al resto, ma perché la tavolozza non mancasse di uno dei colori fondamentali. Così nacque "Alle 8 della sera", la più evidentemente divulgativa delle nostre trasmissioni, quella che dichiara con maggior forza il proprio intento originario. E che perciò stesso rischia di cadere nella più grave colpa di chi si occupa di comunicazione di massa: la noia. Attorno a quale progetto si doveva quindi organizzare una convocazione, e a chi andava rivolta?
Date le premesse che avevamo elaborato la risposta a queste domande non era difficile: dovevamo rivolgerci a degli specialisti dei vari settori e chiedergli di attraversare in maniera originale un territorio che avesse per loro qualche cosa di sconosciuto. Questa è stata la sfida. A tutti gli amici che hanno avuto la cortesia di dedicare una parte del loro tempo all'ormai settennale trasmissione di Radio2 abbiamo proposto un tema che suscitasse la loro curiosità senza che essa fosse stata pienamente soddisfatta. È vero, il progetto non sempre è stato rispettato del tutto. È capitato che qualche studioso abbia attraversato per noi territori conosciuti, anche conosciutissimi. È accaduto per ragioni diverse, ma in quei casi un altro elemento ha contribuito a mantenere la tensione, a perpetuare la sfida: il formato della trasmissione. Perché se non altro c'era questo fatto a costringere a rinnovare l'esperienza di un incontro con temi anche molto approfonditi.
"Alle 8 della sera" propone cicli di venti puntate ciascuno, ogni puntata dura ventotto minuti suddivisi in cinque blocchi scanditi da quattro interventi musicali, nella convinzione che l'attenzione degli ascoltatori non deve essere messa alla prova, ma piuttosto accompagnata con affetto. La musica non si riferisce al testo, rappresenta invece una zona alternativa, di rilassamento e assorbimento di quanto detto sino a quel momento.
Il formato, nel suo essere costrittivo, ha una funzione creativa. Chi accetta di lavorare con noi in quel ruolo ha davanti un percorso preciso, scandito e ritmato. Sfruttarlo nel modo migliore è la sfida che offriamo e nello stesso momento lo strumento che consente di vincere la sfida stessa. "Alle 8 della sera" ha una veste editoriale precisa, che rappresenta il suo modo di rapportarsi con gli ascoltatori. Si tratta di un ponte fra noi e loro, che deve essere percorso nei due sensi perché l'incontro avvenga e sia fruttuoso. È lo strumento che mettiamo a disposizione di quanti realizzano i cicli della trasmissione. Un editore di libri non si comporta diversamente nel creare una collana quando decide corpo e giustezza della stampa, grammatura della carta, formato e numero delle pagine.
Capire se un programma radiofonico ha successo è difficile. Né chi lo ha progettato può proporsi come giudice imparziale. Valutare gli indici d'ascolto è difficile e secondo alcuni il fatto che da qualche tempo quelli di Radio2 siano particolarmente buoni dipende dalla presenza di "Viva Radio2" con Fiorello e Marco Baldini. Con sicurezza mi sento di dire che "Alle 8 della sera" ha una vocazione a trasferirsi sulla carta, e i cicli tendono a diventare libri, caratteristica che li fa ritenere prossimi a fatti culturali riconosciuti. Volumi sono usciti per i tipi di molte case editrici e con forme diverse di derivazione dall'originale radiofonico. A volte si è trattato di semplici trascrizioni, in altri casi la ricerca effettuata per la radio è stata la base per lavori di più ampio respiro. Di recente per raccogliere i testi è nata una collana, creata appositamente da uno dei più prestigiosi editori italiani, Sellerio. Sono usciti i primi tre volumi, altri seguiranno presto.1 Intanto la tecnologia ha consentito la messa in rete su internet di alcuni cicli della trasmissione in formato mp3, scaricabile e trasferibile su i-pod. "Alle 8 della sera" è fra i programmi più ricercati, dopo "Viva Radio2" di Fiorello e Baldini naturalmente.2
Immagino si potesse far meglio, anche molto meglio, ma mi compiaccio di credere anche che "Alle 8 della sera" sia una bella avventura della radio e in genere dei sistemi di broadcasting generalista; continuo a proporlo a me e ai miei collaboratori come modello divulgativo. Nella sua semplicità formale e nelle riflessioni che stanno alla base del suo esistere.
Note
(1) www.sellerio.it/merchant.php?catx=843&id_ctlg=1#Alle 8 della sera.
(2) www.radio.rai.it/radio2/alleottodellasera.cfm.
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