Rivista "IBC" XIV, 2006, 3

musei e beni culturali / mostre e rassegne

"Di Ulisse e d'altri viandanti", 1 giugno - 2 luglio 2006: Museo di Casa "Frabboni", San Pietro in Casale; Sala "Trenti", San Giorgio di Piano; Sala "Partecipanza", Pieve di Cento (Bologna).
Di Ulisse e d'altri viandanti

Maria Elena Barbieri
[ispettrice onoraria della Soprintendenza archeologica dell'Emilia-Romagna]

Secondo Bernardo di Chartres gli uomini sono come "nani sulle spalle di giganti". A questo fortunato aforisma si richiama il titolo di una delle cinquanta opere che Sergio Zanni ha esposto fra l'1 giugno e il 2 luglio 2006 in tre sedi della provincia di Bologna. "Di Ulisse e d'altri viandanti" era il titolo della mostra, che toccava in una sorta di "percorso plastico-simbolico" il Museo di Casa "Frabboni" a San Pietro in Casale, la Sala "Trenti" a San Giorgio di Piano e la Sala "Partecipanza" a Pieve di Cento. Oltre all'Ulisse del titolo, la rassegna ospitava equilibristi, uomini clessidra, giganti di sabbia, kamikaze: tutti coloro che, con una parola dolcemente evocativa, l'artista ha chiamato viandanti.

Il viaggio infatti - o, come scrive Nicola Miceli, "l'attraversamento del tempo storico e mitico" - è per Zanni una metafora iconica del nostro esistere. Spostandosi avanti e indietro nello spazio, affidandosi più alla digressione che alla linea retta, il viaggiatore riesce per qualche breve momento a sospendere il tempo, a tenerlo un po' in scacco, come il giocatore che lancia e lascia per qualche attimo sospesi in aria i dadi. I viandanti di Zanni, così gravi e fragili, bloccati nelle loro improbabili forme allungate, ci invitano a confrontarci con il tempo, aiutandoci a comprendere la durata che scorre in noi e, soprattutto, dandoci il coraggio di ricordare. Soltanto la memoria, intesa come recupero consapevole del nostro passato, può essere la base del sentimento della nostra identità e restituire coerenza alla nostra storia.

Ma non c'è solo questo recupero consapevole e fiero della tradizione nelle figure di Zanni. Le sue opere, che all'apparenza nascono nel seno greve e scuro della creta, ma che in realtà vestono la polverosa patina di una resina leggerissima, riflettono anche un'immaginazione lieve e persino giocosa. "Esplorare le macerie di casa nostra, alla ricerca di tracce, segni di vite anonime, perse nel tempo della mia immaginazione è un antico gioco, che non ho mai smesso", dice l'artista. Il viaggio diventa allora una sorta di archeologia del paesaggio: il viaggiatore scende come un archeologo nei vari strati della realtà per leggere i segni nascosti sotto altri segni, per cogliere quante più esistenze e storie possibili, per cercare risposte ai molteplici e contraddittori volti del passato.

E le sculture di Sergio Zanni assomigliano davvero ad antiche rovine: forme sospese fatte di una memoria che si perde nel passato e risorge nel presente acquistando significato grazie allo sguardo che vi posiamo sopra. La rovina è il tempo che accompagna la storia: un simbolo, dove è ancora possibile percepire una sorta di tempo puro che passa e che insieme dura. Come le pieghe, le rughe, non solo segnano un viso, ma sono quel viso, così i nostalgici personaggi di Zanni non solo riflettono, ma incarnano il senso di un tempo rappreso, o addirittura di un valore universale.

Ecco allora susseguirsi racconti surreali e stranianti dove un Ulisse avvinghiato all'albero maestro avvolge con la sua veste di onde l'intera nave, tutt'uno con essa. Ecco generarsi una galleria di personaggi aerei, stupiti di poter sfidare lo spazio mantenendosi ancora in equilibrio sul baratro. Ecco infine esplodere nostalgici moniti sulla Storia e sulla Tradizione (anche formale), oggi così minacciate dall'illusione di sapere tutto e, soprattutto, di non avere più nulla da scoprire, minacciate dal regno dell'evidenza e dalla tirannia del presente. Mentre noi non siamo che nani sulle spalle di giganti.

 

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