Rivista "IBC" XIV, 2006, 3
musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni
Sono sei i dipinti esposti fino al mese di settembre 2006 nella Sala Urbana delle Collezioni comunali d'arte di Bologna, dove saranno definitivamente collocati nella Sala XIV dell'Ala Rusconi del percorso espositivo (www.comune.bologna.it/iperbole/MuseiCivici/). Una bella raccolta, proveniente dalla recente donazione Agostini e dalla collezione Ceschi. Tre le opere di Gaetano Gandolfi: Autoritratto all'età di ventinove anni e Ritratto della moglie Giovanna Spisani all'età di vent'anni, del 1763, Sacra Famiglia con San Giovannino, e un Ritratto di giovane donna riconosciuto all'ambito del maestro. A queste si aggiungono due tele di Giovanni Antonio Burrini: Busto di paggetto e Fanciulla con gioielli.
Grazie all'acquisizione, la cultura dei Gandolfi emerge con la centralità dovuta nel contesto settecentesco del museo. Opere ignote alle fonti, in quanto destinate all'ambito di casa, ma tra i capolavori del pittore, i ritratti li avevamo visti alla mostra storica del "Settecento emiliano", ventisette anni fa (1979) e di nuovo a Cento, nella rassegna delle "Opere scelte" dalla produzione dei pittori allestita in San Lorenzo da Donatella Biagi Maino, con la collaborazione di Luca Ciancabilla (2002; net.comune.cento.fe.it/gandolfi//opere.htm). "Allegria del dipingere" e un fare ben poco d'accademia contraddistingue i due dipinti, di dignità europea, tanto da stare al pari con i grandi nomi di quel tempo, da Fragonard agli inglesi, da Batoni a Mengs. Piacevolissimi anche i quadretti Ceschi: la Sacra Famiglia restituita dalla Biagi a Gaetano, cui venne tolta a favore di Mauro nell'esposizione del '79, esito raffinatissimo nel catalogo dell'artista che qui si allinea al Settecento centroitaliano, e il Ritratto di giovane, replica dell'ambito gandolfiano (Biagi Maino) del viso femminile, dolcissimo, sempre eseguito da Gaetano e conservato nella Pinacoteca nazionale di Bologna.
Alla Biagi si deve inoltre l'aver riconosciuto alla mano del Burrini gli altri due quadri di casa Agostini, "teste di carattere" come il pittore era solito dipingere: in quattro e quattr'otto, e sbozzandole in fretta. Nella villa di Zola Predosa ne contò quarantacinque, l'Albergati Capacelli, di questi scherzi pittorici "bizzosi", e del resto le case del patriziato dovevano esserne piene. Un genere di moda, alla fine del Seicento, che Burrini teneva in poco conto e che invece oggi vale: per la rapidità del tocco, quasi da schizzo a penna, che nell'artista fu proverbiale; la usò persino nell'autoritratto ora agli Uffizi, o nelle opere che dipingeva in palazzo Ranuzzi, dove, non a caso, lavorò con Sebastiano Ricci.
Quindi, un cospicuo incremento, e sembra inutile ribadire quanto sia provvido questo ulteriore innesto nel segmento delle Collezioni del palazzo d'Accursio, nate per l'appunto sulla base delle donazioni dei privati al Comune. In rapporto dialettico e complementare con la Pinacoteca, di formazione soppressiva e di connotazione marcatamente chiesastica. Come sottolinea Carla Bernardini nel catalogo di presentazione (con scritti di Eugenio Riccòmini e Milena Naldi), la donazione Agostini "risalendo all'affondo nella cultura settecentesca bolognese che è la prima radice del museo", ne costituisce insomma una nuova sezione; e non è poco.
Gaetano Gandolfi e Giovanni Antonio Burrini. La donazione di Tristano Giorgio Agostini alle Collezioni comunali d'arte di Bologna, Ferrara, Edisai Edizioni, 2006, 47 p., _ 8,00.
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