Rivista "IBC" XIV, 2006, 2

Dossier: Oltre il Codice

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /

La riorganizzazione del Ministero e le disposizioni correttive e integrative

Girolamo Sciullo
[docente di Diritto amministrativo alla Scuola di specializzazione in studi sull'amministrazione pubblica dell'Università di Bologna]

Siamo oggi chiamati a riflettere su quanto è avvenuto, come recita il titolo del seminario, "Dopo il Codice", ossia dopo l'emanazione del Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il riordino della disciplina dei beni culturali e del paesaggio. Nel mio intervento prenderò in considerazione due ambiti: la riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali e le misure normative adottate dallo Stato in attuazione o in modifica delle previsioni del Codice.

Necessaria peraltro appare una premessa. In base all'articolo 10, comma 4, della Legge 137/2002, entro due anni dall'entrata in vigore del Decreto legislativo 42/2004 (intervenuta l'1 maggio 2004) il Governo è autorizzato a emanare disposizioni correttive e integrative.1 Il breve lasso di tempo trascorso dalla sua emanazione e la possibilità di apportare modifiche alle sue previsioni spiegano almeno in parte la circostanza che il Codice non ha conosciuto per i profili concernenti le relazioni fra lo Stato e le autonomie territoriali significative attuazioni. Il metodo della concertazione istituzionale, che rappresenta uno dei tratti fondamentali del Decreto legislativo 42 non ha avuto occasioni di implementazione, complice se vogliamo anche il rinnovo delle amministrazioni regionali e l'avvicendamento al vertice del Ministero. Deve comunque registrarsi, come dato di fondo, l'assenza di iniziative volte a dar seguito e sostanza a quei raccordi fra soggetti territoriali in mancanza dei quali la distinzione fra tutela e valorizzazione rischia, sul piano dei concreti assetti istituzionali, di manifestare effetti problematici.

Ciò non esclude che possano segnalarsi la prosecuzione delle esperienze di programmazione negoziata fra Stato e singole autonomie territoriali e l'accensione di specifici accordi. Al riguardo va segnalata anzitutto la costituzione della "Fondazione museo delle Antichità Egizie di Torino", avvenuta nell'ottobre del 2004, che vede lo Stato per la prima volta partecipare, con il conferimento di beni museali, a un organismo di diritto privato, insieme a enti territoriali (Regione Piemonte, Provincia e Comune di Torino) e fondazioni bancarie (Compagnia di San Paolo e Cassa di risparmio di Torino).

In secondo luogo è da menzionare l'intesa sottoscritta dal ministro Urbani e dal presidente della Conferenza episcopale italiana il 26 gennaio 2005 e resa esecutiva con il Decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 2005, n. 78. L'intesa si riferisce ai beni culturali d'interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche. Vengono disciplinati gli interventi d'inventariazione, catalogazione e conservazione, nonché l'accesso e il prestito relativi a tali beni. L'intesa sostituisce quella sottoscritta nel 1996 e, nel rispetto degli indirizzi che esprime, può essere sviluppata a livello locale da accordi fra Regioni ed enti ecclesiastici.

 

In un'ideale sequenza di interventi, nel campo dell'amministrazione, al riordino delle funzioni si accompagna quello relativo alle strutture. È quanto avvenuto per il Ministero per i beni e le attività culturali. Il Decreto legislativo 42/2004 ha visto l'emanazione, solo per alcuni giorni precedente, del Decreto legislativo 8 gennaio 2004, n. 3, recante la "riorganizzazione" del Ministero, cui ha dato attuazione in sede regolamentare il Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2004, n. 173.

Prima di indicare i punti salienti del riordino operato, è utile sottolineare che dalla fine degli anni Novanta il Ministero è stato sottoposto a un continuo processo di ristrutturazione: al Decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 (istitutivo del Ministero per i beni e le attività culturali) ha fatto seguito, sia pure su un piano più ampio, il Decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 e a livello regolamentare i Decreti del Presidente della Repubblica 441/2000 e 307/2001, relativi rispettivamente alle strutture gestionali e agli uffici di diretta collaborazione con il ministro. Questo processo di ristrutturazione ha visto una crescita continua in termini di strutture dirigenziali generali (dalle iniziali 2 nel Decreto del Presidente della Repubblica 805/1975 alle attuali 14 a livello centrale e 17 a livello periferico) e di personale (in questo caso, negli ultimi anni, la crescita si è verificata solo quanto ad addetti a compiti di vigilanza).

Sempre in termini preliminari va ricordato che fra il Ministero dei decreti del 1998-1999 e quello risultante dagli atti normativi del 2004 vi è una continuità quanto a compiti (tutela dei beni culturali e valorizzazione di quelli statali) e a impianto organizzativo. Il Ministero per i beni e le attività culturali si conferma come ministero "pesante", di stampo tradizionale, connotato da strutture consultive (Consiglio superiore per i beni e il paesaggio) e tecniche (istituti centrali, autonomi e scuole) e con una ramificata amministrazione periferica. Rispetto alle previsioni "funzionali" del Codice vi è dunque una piena coerenza degli assetti organizzativi.

La riforma del 2004 interviene sulle strutture centrali e su quelle periferiche. Le prime vedono la sostituzione del modello imperniato sulla figura del segretario generale e sulle direzioni generali con quello centrato sulle sole strutture dipartimentali. Il nuovo articolo 54 del Decreto legislativo 300/99 ne annovera 4: beni culturali e paesaggistici; beni archivistici e librari; ricerca, innovazione e organizzazione; spettacolo e sport. La scelta appare in sé corretta. Il Ministero ha macroaree funzionali (o "linee di produzione") distinte. L'applicazione concreta appare però discutibile: vi è una certa "ridondanza" fra il primo e il secondo dipartimento, inoltre i compiti affidati al terzo in realtà sarebbero dovuti spettare agli altri dipartimenti. Il rischio di appesantimento nelle procedure operative risulta evidente.

Significativo è altresì l'intervento sulle strutture periferiche. Resta la maggior parte di quelle esistenti (archivi di Stato, biblioteche statali, soprintendenze territoriali e autonome), ma vengono introdotte, in sostituzione delle soprintendenze regionali, le direzioni regionali, nel territorio delle 15 Regioni ordinarie, in Friuli - Venezia Giulia e in Sardegna (articolo 7, comma 2, Decreto legislativo 368/1998 e articolo 20, comma 1, Decreto del Presidente della Repubblica 173/2004). Sul piano organizzativo, alle direzioni regionali, che fanno capo al Dipartimento per i beni culturali e il paesaggio, sono ricondotte le sole soprintendenze territoriali (escluse però quelle archivistiche) e quindi non il complesso delle strutture sul territorio. Ne deriva il "singolare" assetto di un'amministrazione periferica, non del ministero unitariamente inteso, ma di distinte strutture centrali.

Sul piano funzionale le direzioni regionali, rispetto alle soprintendenze regionali, si segnalano per una caratura direzionale ("coordina[no]" e "dirig[ono]", articolo 7, commi 5 e 4, Decreto legislativo 368/1998) e non di mero coordinamento, connotandosi per compiti soprattutto amministrativi e organizzativi gestionali, in prevalenza sottratti alle strutture centrali, senza significative elisioni di quelli tecnico-scientifici spettanti alle soprintendenze territoriali.

Da questo punto di vista la critica, manifestata contro le nuove strutture, di aver inciso sulle tradizionali competenze dei soprintendenti, appare eccessiva. È però indubbio che la presenza di una struttura sovraordinata sul territorio, con compiti gestionali quanto a risorse umane e strumentali, tocca il contesto relazionale che si delineava in precedenza.

La costituzione delle direzioni regionali segna un consolidamento dell'amministrazione periferica del Ministero verso una dimensione intersettoriale e regionale. Da questo punto di vista esse "doppiano" l'assetto funzionale delineato dal Codice. In particolare vengono a costituire l'ideale "interfaccia" sul territorio delle amministrazioni regionali e locali.

Peccato però che la riorganizzazione non implementi, prevedendo apposite sedi, il metodo concertativo presente, come si ricordava, nel Codice. I raccordi si riducono ai 3 membri designati dalla Conferenza unificata nel Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici (articolo 17, comma 2, Decreto del Presidente della Repubblica 173/2004) - mentre viene meno nei Comitati tecnico-scientifici la presenza dell'esperto designato dalla stessa Conferenza (articolo 18, Decreto del Presidente della Repubblica 173/2004) - e alla non soppressione delle Commissioni regionali per i beni e le attività culturali (ex articolo 155, Decreto legislativo 112/1998) e della Conferenza dei presidenti delle stesse commissioni (ex articolo 3, comma 2, Decreto legislativo 368/1998), organi questi la cui operatività non si è però segnalata molto all'attenzione.

Come ultimo dato organizzativo va registrata una certa instabilità sia degli incarichi dirigenziali sia delle soprintendenze di settore: i primi interessati da un lasso temporale di durata ridotto e dal ricorso allo strumento della reggenza, le seconde da processi di accorpamenti e di scissioni, talora con ritorno all'indietro.

 

Relativamente alle misure normative adottate dallo Stato in attuazione o in modifica delle previsioni del Codice vanno ricordati il Decreto ministeriale 9 febbraio 2005 e il Decreto legge 63/2005, convertito nella Legge 109/2005.

Con il Decreto ministeriale 9 febbraio 2005 si regolamenta la possibilità, prevista dal Codice (agli articoli 48 e 71), che lo Stato assuma la copertura dei rischi derivanti dal prestito di beni culturali per mostre o manifestazioni da tenersi in Italia o all'estero, quando siano promosse o vedano la partecipazione del Ministero. La garanzia statale tende a facilitarne la realizzazione, perché solleva gli organizzatori dagli oneri assicurativi, in genere assai ingenti sul piano finanziario. Agli oneri derivanti dal rilascio della garanzia di Stato si provvede con l'utilizzazione delle risorse disponibili nell'ambito di un fondo di riserva istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia. Non viene pertanto gravato il "magro" stato di previsione della spesa del Ministero per i beni e le attività culturali.

Il Decreto legge 63/2005 presenta un duplice profilo. Per un verso, all'articolo 2-decies si occupa di collezioni numismatiche e di monete, in sostanza escludendole, a certe condizioni (peraltro non felicemente indicate), dal novero e dal regime dei beni culturali. Le modifiche al Codice in corso di realizzazione ne inseriscono le previsioni all'interno del Codice medesimo, con formulazioni più idonee sul piano tecnico. Per altro verso, il Decreto legge dà corpo alla cosiddetta verifica preventiva dell'interesse archeologico, in attuazione dell'articolo 28 del Codice. La misura, che ha suscitato vasti consensi, ma che è ancora in attesa per la sua operatività di linee guida applicative e della definizione dell'elenco dei soggetti qualificati a validare le indagini archeologiche, tende a far emergere tempestivamente la presenza di evidenze archeologiche e a rendere compatibili con esse, già in fase progettuale, l'opera pubblica, evitando che ritrovamenti non previsti ne paralizzino la realizzazione in corso. A tal fine la misura prevede che il progetto preliminare dell'opera sia trasmesso alla competente soprintendenza archeologica insieme agli esiti d'indagini archeologiche preliminari relative all'area interessata. A queste faranno seguito, se disposte dal soprintendente, indagini più approfondite, che potranno condurre anche a modifiche sostanziali o, al limite, alla cancellazione del progetto.

 

Nota

(1) Dall'articolo 1, comma 2, della Legge 23 febbraio 2006, n. 51, di conversione del Decreto legge 30 dicembre 2005, n. 273 (il cosiddetto "milleproproghe"), il termine di 2 anni è stato portato a 4.

 

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