Rivista "IBC" XIV, 2006, 1
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Credo che la maggior parte di coloro che operano nel settore dei beni culturali abbia sperimentato almeno una volta nella sua vita professionale l'imbarazzo di dover dichiarare il proprio ruolo lavorativo. Imbarazzo che poteva accrescersi se tale dichiarazione doveva avvenire per iscritto, magari sul foglio delle presenze di incontri a cui partecipavano colleghi stranieri, i quali, soprattutto in ambito anglosassone, possono fregiarsi di titoli così specifici come "audience development officer" o "head of access and learning", accanto a quelli più tradizionali e scontati di "curatore" o "direttore".
Perché la questione dei titoli professionali - e dei ruoli lavorativi che essi riflettono - non è meramente nominalistica. Dire "ispettore" o "funzionario", non solo non rivela nulla di ciò che le persone fanno, ma, in una prospettiva più ampia, non aiuta né il singolo a individuare propri percorsi di qualificazione e crescita professionale, né il mercato del lavoro a orientare le proprie scelte nella ricerca di determinate competenze o professionalità.
Questa convinzione sta alla base del lavoro di ricognizione delle professionalità nel settore dei beni culturali intrapreso da Emilio Cabasino in modo ampio, puntuale ed esaustivo nel suo libro I mestieri del patrimonio. Professioni e mercato del lavoro nei beni culturali in Italia. Il libro si rivolge ai giovani, che volendo intraprendere una professione nel settore dei beni culturali sono disorientati di fronte all'ampiezza dell'offerta formativa e alle scarse garanzie della sua qualità ed efficacia in termini occupazionali, ai responsabili di istituti culturali, che nella selezione del personale devono valutarne curricula e competenze, e infine a chi progetta attività formative a qualsiasi livello e deve avere ben presente caratteristiche e spendibilità dei titoli che si appresta a rilasciare.
Dopo avere analizzato la domanda - e cioè i settori di intervento, la committenza pubblica, privata, statale, di organismi religiosi o internazionali, e le attività che essa svolge - l'autore passa a una disamina articolata dell'offerta, letta attraverso le attività formative che concorrono a formare le professionalità operanti nel settore. Compito assai arduo, quest'ultimo, dato il numero elevato dei corsi di laurea pertinenti e delle altre occasioni di formazione offerte da master e corsi professionali.
Chiarito in modo assai ben documentato il contesto organizzativo e formativo dei beni culturali, l'autore procede a una vera e propria mappatura delle professioni, ordinate secondo una tassonomia precisa e tuttavia non statica, ma orientata a favorire l'incontro domanda-offerta. Di ciascun profilo infatti, oltre alla denominazione e a una descrizione in termini di attività mansioni e conoscenze, viene data l'indicazione dei percorsi formativi qualificanti e rispondenti alle esigenze del mercato del lavoro. Il libro colma sicuramente un vuoto conoscitivo, contribuendo a mettere in valore il lavoro nel settore del patrimonio culturale.
Altre operazioni recenti di redazione di carte delle professionalità, per esempio in ambito museale, testimoniano che il tema della definizione di profili unanimemente riconosciuti è molto sentito e che della loro mancanza soffre in ultima analisi la gestione e la valorizzazione del patrimonio. Mettere ordine in questo settore significa offrire un contributo al suo migliore funzionamento e al tempo stesso restituire una identità a una comunità professionale, rendendola in tal modo più consapevole e più forte.
E. Cabasino, I mestieri del patrimonio. Professioni e mercato del lavoro nei beni culturali in Italia, Milano, Franco Angeli, 2005, 352 p., _ 29,00.
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