Rivista "IBC" XIII, 2005, 3
immagini, inchieste e interviste, mostre e rassegne, progetti e realizzazioni
"T2 studio" è il nome che sigla il sodalizio professionale e artistico di Ermanno Bongiorni e Davide Rossi. I due fotografi di Piacenza, dopo una lunga esperienza sul campo, hanno dato vita a "Emozioni in movimento", un singolare reportage "a puntate" che di anno in anno, dal 2000, racconta i volti e i momenti dei maggiori eventi culturali organizzati sul territorio piacentino, e non solo. Nel settembre del 2002 e del 2003 finisce nel loro obiettivo "Carovane", la rassegna organizzata nel capoluogo per incontrare la letteratura, la poesia, la musica e i fumetti dei paesi del Sud del mondo. Nel 2004 le incursioni dei due reporter ritagliano in lungo e in largo la pianura padana e accumulano un archivio di oltre 20.000 scatti: il "Festival della filosofia" a Modena, "Artelibro" a Bologna, il "Festival dell'architettura" a Parma e quello della "Letteratura" a Mantova.
Dopo i clamori di tante piazze, l'edizione 2005 di "Emozioni in movimento" è stata dedicata, quasi per contrappasso, a Marco Bellocchio: come dire? un maestro della discrezione e dell'understatement. Da diversi anni il regista ha scelto la sua Bobbio per ospitare, durante l'estate, "Fare cinema" un laboratorio di perfezionamento diretto e organizzato personalmente. Un gruppo numeroso di aspiranti attori, registi, montatori, sceneggiatori si ritrova nel borgo medievale per essere guidato da Bellocchio nella creazione di un film "sperimentale", ma anche per guardare e discutere le pellicole di altri registi. Le immagini di Bongiorni e Rossi che vedrete in questo numero di "IBC" raccontano le edizioni 2004-2005 del laboratorio. Una parte di queste foto è stata esposta a Bobbio, nel luglio di quest'anno, nell'ambito della mostra "Fare cinema 2004: sguardi in bianco e nero".
In queste immagini si può leggere il racconto per istantanee della passione di un grande autore, la capacità (propria delle "anime-guida") di riunire intorno a sé i talenti e dare loro una direzione sensata, il fermento che accompagna il miracolo misterioso e quotidiano della creazione artistica. Sullo sfondo si intuisce il calore casalingo che la provincia sa dispensare quando le viene accordato un ruolo attivo: quello raccontato dai fotografi di "T2 studio" è infatti un felice esperimento di incontro tra il genio e la sua terra d'origine, uno di quegli esperimenti che fanno grande la nostra regione al di là dei primati economici. Di traverso, ossia proprio dalla parte di chi stava dietro la macchina fotografica, si indovina una discrezione d'altri tempi: l'umiltà di chi costruisce sapientemente un reportage senza darsene le arie, con il desiderio di capire e di far capire, ma senza la smania di esserci a tutti i costi.
In occasione della nostra visita alla mostra di Bobbio abbiamo rivolto tre domande a Marco Bellocchio. Innanzitutto gli abbiamo chiesto quali sono state le sue prime sensazioni guardando le fotografie "rubate" durante il corso, se si sia "riconosciuto" o se abbia scoperto, attraverso queste immagini, aspetti inediti dell'esperienza di "Fare cinema":
"Mi
sono riconosciuto, è vero, ma la qualità, il bello, di queste foto è che
vanno oltre il valore documentario. Chi le ha scattate lo ha fatto in modo molto
personale. Non sono delle istantanee fatte solo per documentare ma dei ritratti
che cercano di dare un'interpretazione, e questo mi ha colpito molto
favorevolmente. Il fotografo (come il regista, in fondo) è un artista nella
misura in cui riesce a trasformare quello che vede con l'occhio della macchina
da presa, cogliendo in modo essenziale quello che poi impressiona. Penso, per
fare un esempio, alle foto che mostrano me e gli allievi del laboratorio al
lavoro nella cappella del cimitero, alle immagini delle mie sorelle, o a quelle
degli attori e dei registi intervenuti. Insomma:
il fotografo fa lo scatto ma è l'artista che cerca di interpretare
quello che ha di fronte".
A proposito del laboratorio di "Fare cinema": cosa la fa arrabbiare di più nelle prove d'autore dei registi esordienti, e cosa invece rivela, ai suoi occhi, le tracce di un talento autentico?
"Mi succede sempre più spesso di osservare nei giovani registi una certa trascuratezza nella gestione degli attori. Ed è una cosa che non mi piace. La scelta, e poi la guida, di chi darà un volto alle nostre storie sono due funzioni fondamentali, tra le tante che un regista deve saper affrontare. Bisogna avere la forza e la personalità sufficienti per ricoprire un ruolo che dà molte gratificazioni ma a volte può diventare scomodo. E non è detto che si debba imparare a farlo quando si hanno a disposizione degli attori professionisti".
E infine: che senso e che valore ha, dal suo punto di vista, mettere in piedi un corso di perfezionamento cinematografico sulle colline piacentine, anziché, per fare un esempio, a Roma o a Milano?
"Farlo qui è molto più interessante. Per me è come un ritorno alle origini, mi offre l'occasione di realizzare un approfondimento artistico nello stesso contesto da cui sono partito. Non dimentichiamoci che qui a Bobbio ho girato il mio primo film, quello che mi ha dato un'identità, che poi ho conservato, costruito, elaborato. E quindi ripartire da Bobbio, ritornare qui non 'da pensionato' ma portando il mio lavoro, è stato il modo migliore per ritrovare il mio paese di nascita. Di corsi di cinematografia, oramai, ce ne sono tanti e in tutto il Paese, ma questo è unico nel suo genere, perché nasce da un rapporto d'amore".
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