Rivista "IBC" XIII, 2005, 1
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / mostre e rassegne
9 nazioni, 36 musei per altrettante città, 109 giovani artisti. Ecco, in cifre, "Gemine Muse 2004", rassegna d'arte contemporanea giunta quest'anno alla terza edizione, la prima a livello internazionale ( www.giovaniartisti.it/Gm/2004). All'Italia infatti si sono affiancate Grecia, Francia, Russia, Repubblica Ceca, Olanda, Romania, Finlandia e Croazia, adesioni destinate ad aumentare visto il successo crescente dell'iniziativa. Duplice e doppiamente lodevole l'obiettivo perseguito dagli ideatori della rassegna, promossa da GAI (Giovani artisti italiani), con CIDAC (Città d'arte e cultura) e MiBAC (Ministero per i beni e le attività culturali): valorizzare l'arte contemporanea attraverso la promozione di giovani artisti, facendola nello stesso tempo dialogare con l'arte antica preesistente, mediante l'integrazione con i monumenti simbolo delle nostre città e la riflessione sui loro reciproci significati.
I nostri centri storici, secolari musei a cielo aperto, si sono dunque arricchiti d'inedite installazioni situate sul punto esatto dove presente, passato e futuro s'incrociano. Ne deriva un'idea di arte concepita non come qualcosa di statico o definitivo, ma come una sorta di work in progress in perenne mutazione, un continuum che partecipa all'inevitabile e incessante fluire dell'esistenza, un unico luogo di stratificazioni e influenze culturali dove il nuovo si assomma al classico per diventare classico a sua volta. Come ha scritto nel catalogo Giacinto Di Pietrantonio, "è il confronto tra le identità del passato con quelle del presente ciò da cui nasce ogni civiltà e, con essa, la sua raffigurazione simbolica, l'arte".
Ma quello con il passato non è l'unico confronto possibile. Non per forza appartenenti alla città nella quale sono stati chiamati a intervenire, gli artisti incontrano e si confrontano anche con altre culture e altre tradizioni, diversi modelli di vita e diversi modi di percepirli. Così i numerosi interventi sparsi per l'Europa possono trasmettere orgogli campanilistici ma parimenti contenere lo spaesamento di chi si trova a vivere in un paese straniero, la semplice curiosità del turista voglioso di conoscere, l'atteggiamento sradicato dell'apolide, la riconoscenza di colui che in quella terra ha trovato ospitalità o il malessere di chi sogna con ansia il ritorno a casa. Chi parte, chi torna e chi resta. Conoscere l'altro significa sempre conoscere se stessi. "Gemine Muse" incarna tutto questo: approfondire relazioni tra paesi e istituzioni, sperimentare nuove forme di comunicazione, sostenere giovani di talento, avvicinare nuove tipologie di pubblico attraverso un contatto più diretto con l'arte antica e contemporanea.
A Modena, in particolare, i tre artisti invitati alla mostra, curata da Luca Panaro e allestita in Piazza Grande dal 27 novembre 2004 al 9 gennaio 2005, si sono confrontati con i monumenti storici della città, affrontandoli ciascuno da una prospettiva fortemente personalizzata. Anna Lisa Bondioli, modenese dal 1975, in una vecchia foto al mare sostituisce al tradizionale castello di sabbia la famosa Ghirlandina, celebrando la dimensione iconica del campanile e l'amore che i modenesi gli portano. Silvia Ferri, a Modena per uno scambio culturale, rovescia la propria condizione di turista trasformando in turisti i tanti modenesi che vivono abitualmente la piazza, facendo loro scoprire dettagli del Duomo mai osservati prima. Per Luca Lumaca, invece, un singolo capitello del Duomo, dove è raffigurata una coppia di centauri soggiogati da due cerberi, diventa il pretesto per una considerazione sociale su come il potere utilizzi, oggi come ieri, i mass media come strumento di dominio e di manipolazione.
Oltre a Modena, per l'Emilia-Romagna, hanno partecipato anche Ferrara, Forlì e Ravenna. A Ferrara sono le foto digitali di Massimo Festi, classe '72, ad essersi introdotte nel silenzio sacrale del Civico lapidario dei Musei d'arte antica, interrogandosi sulla funzione del museo come luogo in cui "l'arte va a dormire". A Forlì, nell'oratorio di San Sebastiano, Daniele Angelini, Angela Maltoni e Cristiano Tassinari hanno reinterpretato, ognuno a suo modo, L'Annunciazione di Marco Palmezzano (1511-1512), conservata presso la Pinacoteca della città. A Ravenna infine Gianluca Costantini costruisce un intervento etico-estetico sulle testimonianze della Seconda guerra mondiale del Museo della battaglia del Senio, ad Alfonsine, gettando su un passato rimosso per troppo dolore uno sguardo incisivo, talvolta dissonante, sempre d'incommensurabile affetto.
Il messaggio di queste opere, rappresentative dell'intera rassegna, è chiaro: il rapporto col passato è imprescindibile. Ancor più in una cultura postmoderna che ha innalzato la commistione dei generi a cifra stilistica. Il che però non deve equivalere a un passivo ripiegamento su se stessi quanto a una ricerca di spunti da cui ripartire per rinnovarsi, senza dimenticare ciò che è stato e che, giustamente, ci siamo lasciati alle spalle.
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