Rivista "IBC" XIII, 2005, 1

territorio e beni architettonici-ambientali / interventi, leggi e politiche, pubblicazioni

Dopo la mostra fotografica realizzata nel 2003 prosegue in ambito regionale la riflessione sulle "incongruità" presenti nei nostri paesaggi: per evitare gli stereotipi occorre valutare le diverse interpretazioni del fenomeno.
Leggere le dissonanze

Ilaria Casatello
[collaboratrice dell'IBC]

Proseguendo idealmente l'esperienza della mostra "Paesaggi dissonanti. Fotografia e opere incongrue: una ricerca per la legge regionale 16/2002", promossa nel 2003 dalla Regione Emilia-Romagna e dall'Istituto regionale per i beni culturali, nei mesi scorsi è stata effettuata presso l'Assessorato alla programmazione territoriale una breve ricerca bibliografica sul tema dell'"incongruo" in ambito paesaggistico. Anche in questo caso l'occasione è stata fornita dalla legge regionale 16/2002 "Norme per il recupero degli edifici storico-artistici e la promozione della qualità architettonica e paesaggistica" che, nel titolo III, prevede "Interventi per l'eliminazione di opere incongrue" a vantaggio della qualità paesaggistica, definendo incongrue "le costruzione e gli esiti di interventi di trasformazione del territorio che per impatto visivo, per dimensioni planivolumetriche o per caratteristiche tipologiche e funzionali, alterano in modo permanente l'identità storica, culturale e paesaggistica dei luoghi" (articolo 10).

L'intento della ricerca è stato dunque indagare la molteplice declinazione dell'"incongruo" nel complesso panorama del paesaggio contemporaneo, per evitare la semplificazione di un concetto stereotipo. Tuttavia la questione appare particolarmente problematica, considerando che l'accertamento stesso dell'identità dei luoghi è problematico, se ormai da alcuni decenni la comunità dei ricercatori e degli studiosi parla di "morte del paesaggio" nel senso di perdita della sua immagine identitaria tradizionale, a seguito delle profonde modificazioni socioeconomiche avvenute nel nostro paese (e non solo) dal dopoguerra a oggi.

È senz'altro utile allora fare riferimento alla nozione di paesaggio indicata dalla Convenzione europea del 2000: "'Paesaggio' designa una determinata parte del territorio, così com'è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni". La maggiore novità dell'attuale nozione consiste nell'affermazione dello stretto rapporto esistente tra le forme e l'immagine del paesaggio e l'azione degli uomini che lo abitano, un rapporto che non definisce solo le condizioni materiali ma che, nella manipolazione intenzionale e progettuale dello spazio, affida al paesaggio anche la rappresentazione cosciente della soggettività territoriale che lo abita. Si rivela così l'ambiguità intrinseca al paesaggio, nel suo manifestarsi a noi sia come dato materiale sia come forma culturale e simbolica.

E tuttavia proprio quest'ambiguità ci libera dall'obbligo di una conoscenza oggettiva e da un criterio d'analisi che potremmo dire scientifico, per aprire il campo dell'indagine all'interpretazione. Si giunge così alle molteplici letture del paesaggio che interpretano variamente il paesaggio come sistema di rapporti, entro cui rinvenire anche la circostanza dell'"incongruo".

In quest'ottica critica, l'"incongruo" non pare identificare solo o esclusivamente un singolo elemento spurio posto entro un contesto coerente, ma soprattutto sembra manifestare il momento di crisi che interviene all'interno di un sistema di rapporti. Ad esempio, nell'evoluzione del rapporto tra uomo e natura, come propone il geografo umanista Eugenio Turri nel suo testo Il paesaggio come teatro.1 L'ampia trattazione del testo è imperniata sul concetto fondamentale che il paesaggio sia forma del rapporto uomo-natura, ossia della capacità umana di insediarsi e abitare (acquisire a proprio habitat) l'ambiente naturale. Il paesaggio può considerarsi la forma di conciliazione dell'originario rapporto antagonistico tra uomo e natura dal momento che la trasformazione del territorio in paesaggio-teatro consegue alla capacità umana di "assumere alla cultura la natura".

Ma perché paesaggio-teatro? Turri scrive: "L'uomo e le società si comportano nei confronti del territorio in cui vivono in duplice modo: come attori che trasformano, in senso ecologico, l'ambiente di vita, imprimendovi il segno della propria azione, e come spettatori che sanno guardare e capire il senso del proprio operare sul territorio". Questa seconda fase riflessiva è particolarmente enfatizzata in quanto, attraverso di essa, l'uomo è guidato alla percezione e alla coscienza di sé e alla valutazione del proprio agire. Se, dunque, il paesaggio è teatro in quanto l'uomo vi agisce nella duplice attitudine dell'attore e dello spettatore, al paesaggio va riconosciuta la funzione di referente visivo fondamentale ai fini della costruzione territoriale, e non semplicemente di scenario o sfondo dell'azione umana.

Da queste premesse discende anche il carattere problematico e incongruo dei nostri paesaggi contemporanei, lungo l'evoluzione dell'habitat umano. La povertà tecnologica delle società arcaiche e preindustriali induceva un rapporto di condizionamento nei confronti della topologia naturale dei luoghi, stimolando a soluzioni diversificate che, in ogni caso, rispondevano a un criterio di corrispondenza tra l'organizzazione del territorio e quella del paesaggio. È quella che Turri chiama corrispondenza tra la geografia dei "coremi" (unità territoriali minime, identificate da precise condizioni climatiche, pedologiche e vegetali) e la geografia degli "iconemi", che sono i segni fondamentali del paesaggio, tutti quelli che a livello percettivo assumono un rilievo notevole per caratteri funzionali o simbolici. La potenza tecnologica delle moderne società industrializzate ha conferito autonomia all'azione umana, comportando però la frattura di quell'accordo armonico tra natura e cultura.

Secondo questa tesi, il carattere primo dell'"incongruo" - nel senso di "non armonico", "non corrispondente" al sotteso ordine naturale - pare essere di natura strutturale, quale frattura del rapporto diretto che legava gli uomini e le loro attività ai territori che abitavano. La modernità ha infatti introdotto un nuovo "ordine" nel paesaggio che, se ha apportato vantaggi socioeconomici, ha di fatto compromesso la stabilità del paesaggio-teatro come campo d'esperienza, creando paesaggi di difficile decifrazione e, al limite, d'alienazione. Dalla prima "incongruenza" strutturale discende, dunque, un secondario aspetto dell'"incongruo" paesaggistico, di carattere stilistico, dovuto "all'incoerenza delle sovrapposizioni storiche" degli iconemi, che produce la "non leggibilità del paesaggio". La scomparsa del paesaggio-teatro e la perdita dell'attitudine dell'uomo-spettatore sono considerate gravissime, se al "venir meno negli italiani del ruolo di spettatori, con il prevalere dell'azione sul rispecchiamento teatrale di essa", Turri imputa "il vero motivo della distruzione del nostro paesaggio".

L'esercizio della lettura del paesaggio è quindi considerato l'operazione culturale fondamentale per attribuire significati funzionali o simbolici agli oggetti paesaggistici e per riconoscere i valori storici e geografici su cui è fondata una società. La progettazione diviene lo strumento operativo mediante il quale rafforzare o restituire leggibilità ai nostri "paesaggi incongrui", in modo tale da affrontare l'accumulazione di oggetti paesaggistici (o "iconemi") secondo una politica che disponga la stratificazione nel tempo secondo una giustapposizione nello spazio, evitando "l'incoerenza delle sovrapposizioni storiche": "La progettazione e l'aggiornamento territoriale acquistano il senso di una giustapposizione di nuovi elementi. Ora la crescita per giustapposizione può salvaguardare, previa lettura dell'esistente, identità e memorie nel rispetto di un ordine diacronico".

Una teoria semiotica del paesaggio è svolta invece da Carlo Socco, semiologo che si è applicato all'urbanistica e ai modi di leggibilità del paesaggio. Nel testo Città, ambiente, paesaggio viene descritto il modello formale del paesaggio come testo, cioè come sistema di segni "la cui sola particolarità è di essere fatto direttamente con le cose".2 È qui inopportuno soffermarsi su questa "particolarità", vale a dire su come una "cosa" possa funzionare come "segno", e sulla teoria della "semiosi percettiva" che la spiega, ma certamente questo modello individua nel paesaggio un sistema di rapporti che riguardano il segno linguistico e che collocano l'"incongruo" entro la relazione tra significante e significato.

C'è un problema di comunicazione, come dichiara l'autore, per il quale "vi è una condizione perché il paesaggio urbano possa divenire veicolo di un messaggio, ed è che la sua architettura di fondo abbia un carattere di unitarietà, altrimenti il paesaggio non comunica che rumore". L'"incongruo" è dunque il rumore che disturba la coerenza di un sistema unitario. Vi è poi un problema di fecondità semantica, di un "sovrappiù di senso" che il testo-paesaggio riesce a comunicare mediante la memoria e l'emozione: "Il problema sta nella struttura semiotica di quella strana e ambigua forma di testo che è il paesaggio, generato dall'incontro tra la materia del luogo e la memoria degli individui e della collettività".

Di conseguenza l'analisi semiotica non può limitarsi alle componenti formali e strutturali di questo speciale testo, ma deve soprattutto cercare di conoscere "il modo in cui la memoria, individuale e collettiva, applicandosi alla percezione del territorio come scena del vissuto, genera quel testo narrativo che è il paesaggio dell'identità culturale". In questo contesto, l'"incongruo" pare caratterizzato da un aspetto di povertà semantica che contrasta con quella fecondità cui si è accennato, prodotta dall'interazione tra le qualità spaziali del luogo e la sua risonanza nell'immaginario e nella memoria collettiva. In ogni caso, è affermata la necessità di una progettazione consapevole, interpretata secondo la logica della giustapposizione anche in Socco, che esplicitamente si richiama a Turri lamentando la mancanza di una "mappa degli iconemi" di rilievo nazionale, che possa orientare nella progettazione di paesaggi specializzati.

Non avendo qui modo d'illustrare ulteriormente i differenti orientamenti critici che interessano la questione paesaggistica, mi limito a citare il volume collettivo Paysage et crise de la lisibilité.3 Fra i molti interventi, un'intera sezione è dedicata all'analisi sociologica del paesaggio, e dunque alla relazione tra spazio e dinamiche sociali, con particolare attenzione alla situazione delle banlieues della provincia francese. In questo caso l'"incongruo" è interpretato come esito della crisi delle società industriali con lo spazio, manifesto soprattutto nella correlazione tra segregazione spaziale e disagio socioeconomico.

Per concludere, vorrei però riferirmi ancora una volta alla teoria semiotica del paesaggio come testo e all'interpretazione dell'"incongruo" come dissonanza formale, per evidenziarne questa volta le potenzialità nobili e la valenza estetica. È sufficiente infatti fare riferimento alla teoria linguistica dei cosiddetti "formalisti russi", risalente ormai ai primi decenni del secolo scorso, per trovare ragione del potenziale creativo e innovativo dell'"incongruo" formale, capace di produrre un effetto di straniamento che conferisce autonomia funzionale e rilievo estetico alla forma linguistica. Del resto, esistono testimonianze in tal senso. Il paesaggio della periferia urbana o quello d'impresa, spesso indici d'"incongruo", sono da taluni apprezzati come paesaggi di una nuova estetica, liberata dalla memoria dei luoghi, nei quali l'architettura può agire liberamente rispetto alle convenzioni e sperimentare nuove soluzioni mediante la stimolazione degli spiazzamenti estetici.

Queste considerazioni, poste a conclusione di questo breve articolo, possono confutare in apparenza molto di quanto precedentemente scritto. E invece non lo fanno necessariamente. Nella complessità dei nostri paesaggi è forse importante non ridurre la problematica dell'"incongruo" a una discussione ideologica, ma cercare d'interpretarne la criticità all'interno della nostra società, ponendolo in rapporto con i due poli inscindibili dell'esistenza umana: natura e cultura.

 

Note

(1) E. Turri, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Venezia, Marsilio, 1998.

(2) C. Socco, Città, ambiente, paesaggio. Lineamenti di progettazione urbanistica, Torino, UTET, 2000.

(3) L. Mondada, F. Panese, O. Söderström (editors), Paysage et crise de la lisibilité, Lausanne, Presses de l'Université, 1992.

 

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