Rivista "IBC" XII, 2004, 2

musei e beni culturali / inchieste e interviste

La Facoltà di Lettere dell'Alma Mater ha conferito la laurea ad honorem a Pierre Rosenberg, storico direttore del Louvre. Qualche sua considerazione sullo stato dei musei era d'obbligo.
I musei? Questione di scuola

Valeria Cicala
[IBC]

Pierre Rosenberg, ovvero colui che parafrasando un eminente e coronato conterraneo, potrebbe dire "Le Louvre c'est moi", sebbene ne abbia lasciata la direzione nel 2001. E lo direbbe con la leggerezza ironica di cui è capace un'intelligenza colta e per nulla autoreferenziale. Attualmente è presidente-direttore onorario del museo a cui ha dedicato la sua vita dal 1962, anno in cui entrò in qualità di assistente al Département des Peintures, ma è anche accademico di Francia e accademico dei Lincei (per citare solo alcune delle sue benemerenze).

Le preziose ricerche storico-artistiche a cui si è dedicato, da specialista della pittura e del disegno italiano e francese dei secoli XVII e XVIII, lo hanno portato ad approfondire temi di storia dell'arte italiana e, dunque, a conoscere e a frequentare molto il nostro paese. A Bologna Rosenberg è legato da interessi di studio, dalle iniziative espositive che negli anni hanno coinvolto il Louvre, come pure dal fatto di essere membro del consiglio scientifico della Fondazione Federico Zeri, creata dall'Università felsinea per gestire l'importante lascito che lo storico le ha riservato. Un nuovo motivo di carattere personale si aggiunge, ora, a rinsaldare il legame con la città: la laurea ad honorem in Lettere che gli è stata conferita l'8 marzo 2004.

Lo abbiamo incontrato per un tempo rapido, grazie alla sua disponibilità, tra i tanti impegni che hanno composto il breve soggiorno bolognese. Impeccabile nell'abbigliamento già alle otto del mattino, non poteva mancare un accessorio, legato al suo stile, che lo identifica e ne connota il gusto per un classico sdrammatizzato: la lunga, inseparabile sciarpa rossa. La porta su eleganti abiti di taglio tradizionale, lo rende riconoscibile nei contesti più svariati e "ha fatto tendenza" quando questa espressione non era ancora in voga. Muovendo dalla sua lezione dottorale dedicata ai musei, su questo terreno, che per competenze e vocazione è di primario interesse per l'IBC, abbiamo avviato la conversazione.


Professor Rosenberg, a parte il Louvre, che accoglie sei milioni di visitatori all'anno, e alcune altre grandi istituzioni, come avverte oggi la situazione dei musei per quanto riguarda la presenza di pubblico?

Potremmo dire che i musei oggi sono tornati di moda, alcuni più di altri e non sempre nello stesso momento. Esistono circostanze che hanno contribuito a ravvivare l'interesse nei loro confronti, ad esempio gli allestimenti, gli interventi di grandi architetti che hanno ridisegnato la fisionomia di alcuni luoghi. Hanno contribuito a creare spazi e situazioni in cui il visitatore organizza in modo nuovo, più articolato e confortevole il tempo da trascorrere al museo. Penso, per citare alcuni nomi, a Peï, a Piano, a Rogers, a Gehry.

Ma è necessario tener conto che non tutti i musei godono di una trasversalità di pubblico. Chi frequenta i musei di arte contemporanea, spesso, è poco incline ad interessarsi di quelli archeologici, sebbene i grandi eventi espositivi, che hanno caratterizzato la seconda metà del Novecento e l'inizio del nuovo secolo, vi hanno riversato un'enorme quantità di persone, richiamate per lo più dall'eccezionalità delle manifestazioni, ma non per questo aduse a frequentarli con sistematicità. Ecco un limite del fenomeno "grandi mostre": se queste possono costituire un'occasione per scoprire una sede museale e per sentire l'esigenza di tornarci, il più delle volte sono l'unico momento in cui vi si entra, inquadrati in una visita guidata, senza avere la possibilità di apprezzare in alcun modo le collezioni permanenti, senza percepire ed essere coinvolti dalla storia, dai fenomeni artistici che quel contenitore propone.

Non è fuori luogo citare la frase di Thomas Bernhard: "La gente visita i musei perché ha sentito dire che per un uomo colto è un dovere". Questa battuta dello scrittore austriaco adombra il mutamento sociale ed antropologico che una serie di fenomeni quali la comunicazione e il turismo di massa hanno creato; la spinta imitativa dei comportamenti che questi hanno prodotto non è di per sé sinonimo di crescita educativa.


Spesso ci si ritrova, mostre a parte, a visitare straordinarie collezioni solo in compagnia della guardiania di sala! I musei sono, a suo avviso, "in buona salute" da un punto di vista gestionale?

Bisogna distinguere, innanzitutto, il tipo di pubblico che visita il museo e l'assiduità che questo determina. Se esuliamo da alcuni circuiti sempre frequentati, esistono persone che si recano al museo per loro piacere, per scelta e interessi autonomi, fuori dall'idea del "pacchetto" e indipendentemente dalla sollecitazione di tipo comunicativo. Ci sono, invece, quelli che definirei i "forzati" del viaggio: coloro che si muovono nei periodi deputati alle vacanze, in tour più o meno abborracciati, dilagando per i musei in un arco di tempo ben definito. In prospettiva questo stato delle cose creerà, a causa dei costi di gestione che le strutture museali comportano, una ricerca sempre più affannosa di quantità di pubblico. Sono i numeri che "contano" per poter chiedere finanziamenti, per ottenere sponsorizzazioni.

Un altro aspetto imprescindibile nell'attuale gestione museale sono quei servizi che permettono di prolungare la visita ad una collezione, la scoperta di un autore o di un'epoca storica: una caffetteria confortevole, un buon ristorante aggiungono, infatti, "sapore" e memoria gratificata al ricordo del tempo trascorso al museo, tanto quanto una fornita libreria o un negozio di oggettistica specializzata. È, dunque, necessario riempire il museo: questa è la priorità perché così si pareggiano i bilanci. In questa ottica le mostre, gli eventi di carattere fortemente mediatico sono un richiamo più efficace soprattutto sul turista.

Sono consapevole che si fanno ottime esposizioni e pregevoli cataloghi, che contribuiscono a coltivare la ricerca nell'ambito della storia dell'arte e a dare sistematicità alla conoscenza di autori e di scuole, ma l'esigenza di redditività potrebbe, a breve, incidere sulla qualità anche degli eventi e delle pubblicazioni. Un altro aspetto dell'attuale situazione gestionale, poi, contraddice una delle vocazioni basilari del museo: si rischia di non effettuare nuovi acquisti. Un museo che non acquista si impoverisce, perde identità. L'esigenza di renderlo "popolare" e affollato pone come prioritarie scelte che possono risultare riduttive. Il ruolo del direttore è minacciato. Ho trascorso la vita dentro ai musei e so cosa si chiede al museo: la democratizzazione della cultura. Ma non è questo il suo compito.


Vuol dire che non è questa la sede deputata a creare il tessuto di conoscenze e la sensibilità necessarie per un corretto approccio al discorso storico-artistico?

Proprio così. È compito della scuola educare a "vedere". Ma, oggi, questo aspetto è disatteso. La vostra compagine scolastica, il liceo, ha fornito una preparazione migliore agli studenti, ma sento dire che è in corso una riforma che rende meno efficace lo studio delle scienze umanistiche. Molte volte al Louvre mi è successo di riconoscere i visitatori italiani per il loro approccio alle opere d'arte. Si avverte una familiarità, una consuetudine che altri non hanno.

Una recente statistica documenta che il 99 per cento delle persone ha visitato una mostra prima dei vent'anni, non c'è la stessa percentuale per quanto attiene la visita ad un museo. Ritengo, comunque, che la scuola e l'università debbano essere i contesti in cui sviluppare l'interesse e la curiosità degli individui, al di là dell'opportunità che non tutti hanno di crescere in un ambiente familiare che orienti a questo approccio al patrimonio. Bologna ha le caratteristiche e la cifra culturale più appropriate per lavorare in questa direzione: i suoi musei, la ricchezza delle collezioni ed una tradizione di soprintendenti, direttori e studiosi che garantiscono un continuum che in altre realtà si è opacizzato.

Proprio per queste capacità mi fa piacere che la Fondazione Zeri abbia qui la sua collocazione [l'IBC sta realizzando la catalogazione della sua fototeca, ndr], una dimensione in cui i preziosi materiali di questo importante protagonista della cultura saranno fruibili, diverranno parte di un laboratorio di ricerca vivo per quanti operano nell'ambito della storia dell'arte.


E dal momento che proprio una riunione del comitato scientifico della Fondazione Zeri sta per cominciare, ci congediamo dal professor Rosenberg con la sensazione che il suo giudizio su Bologna corrisponda a un'idea della città che è stata tale e che tale vorremmo ritrovare al di là di temporanee défaillance.

 

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