Rivista "IBC" XII, 2004, 2
biblioteche e archivi / convegni e seminari, mostre e rassegne, pubblicazioni, storie e personaggi
È stato da poco pubblicato Il territorio emiliano e romagnolo nella Descrittione di Leandro Alberti. Ristampa anastatica parziale della Descrittione di tutta Italia (Venezia, Lodovico degli Avanzi, 1568). Il volume, realizzato dalla Leading Edizioni di Bergamo1 in collaborazione con l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, è curato da Massimo Donattini e introdotto da saggi di Adriano Prosperi, dello stesso Donattini, di Stefano Ugolini e di Zita Zanardi. Al frate domenicano è stato anche dedicato il convegno internazionale di studi "L'Italia dell'Inquisitore. Storia e geografia dell'Italia del Cinquecento nella Descrittione di Leandro Alberti", tenutosi a Bologna tra il 27 e il 29 maggio 2004 presso l'Aula "G. Prodi" di San Giovanni in Monte. Tra il 27 maggio e il 26 giugno 2004 la Biblioteca Universitaria di Bologna ha ospitato la mostra "Un domenicano da Bologna all'Italia. Leandro Alberti tra storia e geografia". Al professor Donattini abbiamo chiesto un contributo sui motivi e sulla fortuna editoriale della Descrittione albertiana.
Il grosso volume in folio che il tipografo Anselmo Giaccarelli finiva di
stampare, a Bologna, il 19 gennaio del 1550, presentava ai lettori il suo
autore, con solennità compiaciuta, come "Frate Leandro Alberti Bolognese,
dell'ordine dei predicatori". In uno dei componimenti poetici premessi al
testo dell'opera, fra Leandro veniva addirittura paragonato a Pausania, il
Pausania della Descriptio Graeciae. Solennità e compiacimento erano
tangibili anche nella scelta dei dedicatari del libro, uno più dell'altro
illustri: il duca d'Este, Ercole II, e il re di Francia, Enrico II.
L'Alberti non aveva tutti i torti a usare questi toni: non solo perché la stampa coronava un lavoro di lunga lena, iniziato, con ogni probabilità, più di vent'anni prima; ma soprattutto perché oggetto dell'opera era, come recita il titolo, la Descrittione di tutta Italia: ossia una narrazione piacevole, ma altresì precisa ed esauriente, di tutte le particolarità geografiche e storiche del territorio che, tra le Alpi e il mare, aveva cullato la civiltà latina e che, anche per questo, veniva tradizionalmente osservato con ammirato rispetto da tutti gli altri paesi d'Europa.
Nei termini usati dal domenicano bolognese, "descrivere" significava congiungere "con la Geografia, et Topografia, la Historia et Antropologia" (Descrittione, Venezia, Lodovico degli Avanzi, 1568, c. 4r della parte relativa alle isole): ossia, potremmo dire, raccordare la visione d'insieme di un grande paese con l'attenzione per le particolarità locali, senza mai perdere di vista gli uomini che vi avevano impresso i loro segni nella prospettiva lunga del tempo, nel succedersi di popoli e di gesta degne di memoria. Insomma, il progetto albertiano dava conto del dispiegarsi di un'intera civiltà, politicamente divisa ma culturalmente unita, mettendola in stretta relazione con lo spazio geografico su cui si era espressa.
Non si trattava di un progetto originale. Il primo a porsi quell'obiettivo era stato un grande rappresentante dell'Umanesimo italiano, Flavio Biondo da Forlì, esattamente un secolo prima dell'Alberti: l'Italia illustrata del forlivese aveva fornito il modello in cui gli intellettuali italiani e stranieri si erano rispecchiati, dalla metà del Quattrocento in poi. Della sua Italia, Biondo aveva esaltato i legami con l'età antica e le sue eredità, ma senza trascurare il molto di nuovo che col tempo si era accumulato: le nuove città, per esempio, nate durante i secoli del Medioevo, o i nuovi potenti, protagonisti di una storia che, pur restando ad un livello inferiore rispetto all'antica, tendeva tuttavia a misurarsi con essa, proponendo ai contemporanei, come modello etico e politico, un remoto passato. Tutto ciò il Biondo l'aveva distribuito nel percorso di un'opera che ovviamente non poteva sistemare l'Italia entro la cornice di uno Stato unitario, ancora di là da venire; se le regioni in cui egli divideva il territorio riprendevano le denominazioni d'epoca romana, i loro confini coincidevano in buona parte con quelli delle diverse realtà politiche del suo tempo. Le profonde divisioni che dilaniavano l'Italia non potevano dunque essere negate: ma nonostante tutto, l'opera del forlivese finiva per accentuare l'unità e la coesione di una civiltà che a lui pareva in grado di proiettarsi ben al di là dei problemi del presente.
Dato tutto ciò, proporsi di emulare Biondo era un obiettivo certamente ambizioso, e tuttavia non privo di giustificazioni. Durante gli anni Venti del Cinquecento fra Leandro aveva percorso l'Italia in lungo e in largo, e aveva potuto rendersi conto delle vistose lacune del testo biondiano: che trascurava, di fatto, le parti meridionali della penisola, e si limitava poi all'Italia continentale, tralasciando la menzione delle isole, che per Alberti erano invece parte integrante del territorio italiano. A un secolo di distanza si poteva insomma fare di più e meglio, anche in termini di aggiornamento del quadro. Perché, indubbiamente, molte cose erano avvenute tra l'età di Biondo e quella dell'Alberti: che registra con puntiglio, accanto a monti e fiumi, gli ultimi accadimenti importanti, censisce le modificazioni subite dalle strutture urbane, aggiorna l'elenco degli uomini illustri, fino alle soglie della stampa.
Eppure, nel complesso, egli non sembra possedere la lucidità sufficiente per dar conto in modo soddisfacente del principale processo storico avvenuto proprio lungo i decenni in cui si era dipanata la sua stessa vita: nato nel 1479, Alberti aveva potuto seguire con piena consapevolezza le tristi vicende conclusesi nel 1530 con la pace di Bologna, con l'imporsi della potenza spagnola sul territorio della penisola, con la perdita della "libertà italiana". Ma le lamentazioni sulla "misera Italia" dei tempi suoi sanno di maniera, e si accompagnano del resto ad affermazioni francamente sorprendenti, come quando fra Leandro, nell'introduzione all'opera, conclude la rassegna dei popoli stranieri scesi recentemente in Italia per conquistarla osservando che "per maggior parte vi sono rimasti uccisi, ovvero poco fermati" (Descrittione, c. 5v).
Sul piano della lucida percezione dei processi storico-politici, insomma, non si può chiedere al domenicano bolognese lo straordinario contributo di chiarificazione affidato da Francesco Guicciardini alla sua Storia d'Italia (1538-39, I edizione 1561). Del resto, neppure sul terreno da lui rivendicato come suo - quello della puntuale rassegna dei luoghi - Alberti va del tutto esente da difetti. Percorrere le strade polverose dell'Italia del Cinquecento non poteva bastare a produrne la descrizione: per quanto la sua esperienza in materia, di frate che poteva contare su di una rete di conventi sparsi su tutto il territorio della penisola, sia incomparabilmente superiore a quella del Biondo, aree intere restano sfocate.
Certo, bisognerà guardarsi dall'imputare a fra Leandro difetti non suoi. La genericità a cui egli impronta la descrizione dei distretti montani, per esempio, risente della viva avversione dei contemporanei per gli ambienti inospitali e selvaggi (sarà il Settecento a scoprire il fascino delle cime); del resto, gli strumenti tecnici che avrebbero potuto facilitargli il compito, come la cartografia, erano ai suoi tempi ancora inadeguati. L'Italia descritta da Alberti non si dipana entro la griglia matematica delle coordinate tolemaiche, ma in quelle, fortemente irregolari, risultanti da una serie di fenomeni: in primo luogo la rete fondamentale dell'idrografia, che Alberti usa per definire la sequenza delle maglie territoriali da lui passata in rassegna (prima il territorio tra Adda e Oglio, poniamo, poi quello tra Oglio e Mincio, e così via); poi il reticolo delle antiche strade consolari che la attraversano, e su cui il viandante costruisce le proprie relazioni e organizza le proprie conoscenze (si legga la descrizione albertiana dell'Emilia, che proprio nella via romana individua uno degli assi fondamentali della trattazione); infine l'ultima, fittissima rete, quella delle città che sostanziano la civiltà a cui Alberti sente di appartenere. Questa, in buona sostanza, l'Italia in cui i suoi contemporanei potevano riconoscersi: che fra Leandro riuscisse per tal via a intercettare il gusto del tempo è indubbio, e ne fanno fede a sufficienza le undici edizioni pubblicate, dopo la prima, lungo il Cinquecento: fino a quella veneziana dell'Ugolini, nel 1596.
Tuttavia, la storia editoriale non racconta compiutamente il successo dell'opera. Per riuscire a percepirne i contorni reali, occorre spostare l'attenzione dalla Descrittione alla folla dei testi che, dal Cinquecento in poi, si dedicarono a descrivere l'Italia. Si può iniziare da quel testo particolare che è la serie di carte geografiche delle realtà italiane dipinta (1580-1581) sotto la direzione di Egnazio Danti nella Galleria vaticana detta appunto "delle carte geografiche", per constatare che i brani relativi alle varie figurazioni derivano dal libro dell'Alberti; e proseguire con l'atlante geografico dell'olandese Abramo Ortelio, il Theatrum Orbis terrarum (pubblicato decine di volte, dal 1570 in poi), per trovare, anche qui, che Alberti è fonte preferenziale, citata ad ogni piè sospinto quando, nei testi premessi a ogni carta, il discorso riguarda il territorio della penisola; e spingersi poi più avanti ancora, fin nel Settecento, per verificare la presenza continua della Descrittione nelle sillogi geografiche all'Italia dedicate. La constatazione che si impone è semplice e doverosa: all'Alberti, all'immagine da lui assemblata della terra chiamata Italia, grazie alla fatica dei suoi viaggi e delle sue infinite letture, attinsero più o meno tutti, lungo i secoli dell'età moderna. Su questo piano, il frate e inquisitore Alberti distaccò di molte lunghezze l'umanista Biondo: e a ben riflettere, sempre su questo piano, occorrerà riconoscere alla storia una certa coerenza di sviluppo, dato il ruolo fondamentale assunto dalla Chiesa, dal Concilio di Trento in poi, nella guida della società italiana.
Nota
(1) Leading Edizioni, Officina Scrittoria di Bergamo (www.leadingedizioni.com), ha fatto precedere la monografia relativa all'Emilia-Romagna dalla ristampa integrale della Descrittione di tutta Italia di Leandro Alberti, un'opera in due volumi, di 1.600 pagine complessive, con un apparato critico di 244 pagine.
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