Rivista "IBC" XII, 2004, 1

territorio e beni architettonici-ambientali / interventi, progetti e realizzazioni

Bologna, oggi: il ritratto di una città confusa e irrequieta, le parole di un poeta che l'ama senza perdono.
Bologna e Bologna

Roberto Roversi
[poeta e libraio]

È un pomeriggio di tardo autunno, la luce del tramonto, immutabile, offre toni di rosso alle strade di Bologna. In via dei Poeti, entrando al piano terra di un vecchio palazzo, dove da anni si è trasferita la libreria "Palmaverde" di Roberto Roversi, si avverte il respiro dei libri, il loro odore. Una quiete antica e il freddo che le stufe non riescono a cacciare stimolano il desiderio di ragionare, la curiosità di "percorrere" i volumi e le riviste che si dispongono come in un grande studio privato. Qui il libro è destinato a durare; si apprezza la qualità della carta, si fa attenzione alla linea dei dorsi.

Forse è più corretto dire che siamo entrati nella biblioteca di Roversi, in un luogo dove si continua a leggere, a conversare, a non perdere le buone abitudini che nascono dalla capacità di osservare, di elaborare, in modo sistematico, ma senza sovraesposizioni. Le nuove tecnologie, qui, sono assenti. C'è ancora una Olivetti, si avverte il gusto di prendere appunti, di usare la penna e la matita. Si consultano i cataloghi per trovare emozioni e sorprese legate a un nome, a un editore, a una tipografia. Una lunga e fervida stagione di Bologna si ricompone tra gli scaffali, nel rigore amabile e leggero di questo intellettuale per il quale i libri e la scrittura costituiscono un osservatorio animato dal quale accedere al quotidiano e attingere alla realtà.

Il "passo" di Roberto Roversi attraversa Bologna e la coglie nei suoi umori e nei suoi attuali disagi. Le ideologie si sono spente, ma questa è ancora una città di scrittori. Vorrebbe ritrovare le caratteristiche di progettualità, di accoglienza, che la identificavano fino a non molto tempo fa. Al momento incontra "una città confusa", dissonante. E commenta: "Dalla confusione si esce quando c'è un salto complessivo della società: dobbiamo stabilire in che mondo vogliamo vivere". Intanto continua a offrire il suo contributo a Bologna con pagine e riflessioni che considerano il passato senza malinconie uggiose, per realizzare piuttosto "un nuovo catalogo" della città.

Siamo usciti dalla libreria di via dei Poeti con alcune pagine di questo "catalogo", quelle scritte appositamente per Bologna e Bologna, uno dei quattro film del progetto Via Emilia, prodotto nel 2003 da Movie Movie e curato da Francesco Conversano e Nene Grignaffini. A loro e a Roberto Roversi va il nostro ringraziamento per averci concesso di pubblicare una parte di queste pagine.

[Valeria Cicala, Vittorio Ferorelli]


Tanti e tanti anni fa, quando ero un ragazzino, si correva in Italia una gara automobilistica su strada aperta, la Mille Miglia, che partiva da Brescia e arrivava, lungo la via adriatica, a Roma; per ritornare subito a Brescia passando per Firenze, per il passo della Futa, per Bologna.

A Borgo Panigale, seduto tutto solo su un muretto, davanti al cancello di una villa molto vicino alla strada, aspettavo con emozione.

Alle mie spalle si protendeva il ramo di un albero di fichi.

Al passaggio delle macchine più veloci e potenti - che a me, quella prima volta, sembrò quasi di poter sfiorare con le mani - per le zaffate dell'aria, alcune foglie e alcuni fichi ancora in fiore mi scivolarono, in un certo momento, sulla schiena.

Un ricordo. Un ricordo da niente naturalmente.

Ma anche allora ho pensato, con la infantile meraviglia che mi accompagnava in tante occasioni, che le macchine velocissime lì passavano perché Bologna era al centro del mondo.

Era il centro del mondo.

Un passaggio obbligato, dovuto alla signora del regno.

A quel tempo, da noi, c'era ancora un re.


Mi sentivo, non so come, partecipe di un tale insigne destino.

Così che la città, ritornandoci verso sera, mi sembrò ancora una volta bellissima.

Bologna è ancora bella, bellissima? È ancora il centro del mondo?


Intanto, una breve antologia di commenti di visitatori dei secoli passati.

Un giureconsulto a metà del Cinquecento: "Grandissima città... La piazza è vastissima e piana, e nessun'altra d'Italia può paragonarsi con questa".

Un erudito francese a metà del Seicento: "Vi si trovano dappertutto delle grandi strade, delle graziose fontane, delle belle piazze e molti magnifici palazzi".

Un libraio francese a fine Seicento: "La città di Bologna è così rinomata per le sue belle pitture, che il forestiero deve farvi un soggiorno lungo per vederle con comodo".

E Goethe nel suo diario, il 18 ottobre del 1786: "Il custode della torre (l'Asinelli, naturalmente) mi ha fatto inoltre notare la posizione e l'aria salubre della città, anche per il fatto che i suoi tetti sembrano nuovi, vale a dire che le tegole non sono per nulla intaccate dal muschio o dall'umidità".

E dopo essere ripartito: "Sul far della sera, mi sono finalmente appartato, allontanato da questa antica città veneranda e dotta...".

Leopardi nel luglio del 1825: "Bologna, città quietissima, allegrissima, ospitalissima".

Per concludere con Carducci: "Bologna è bella. Gli Italiani non ammirano, quanto merita, la bellezza di Bologna: ardita, fantastica, formosa, plastica...".


Bologna è ancora bella, bellissima? È ancora al centro del mondo?


Per orientare le idee in questa corrida di impressioni, sentimenti, sguardi e umori, mi aiuto con una riflessione di Wittgenstein e con tre righe di Italo Calvino.

Wittgenstein: "Quando il bianco diventa nero alcuni dicono: 'Essenzialmente è ancora la stessa cosa'. E altri, se il colore è diventato appena un po' più scuro, dicono: 'È cambiato tutto'".

Calvino: "Nessuno sa meglio di te, saggio Kublai, che non si deve mai confondere la città col discorso che la descrive".

Cioè, io intendo, non ravvolgere le pietre con le parole.

Altra è la strada.

Indipendenza dunque di tacere o gridare o sussurrare.


E allora:

La struggente bellezza che ascoltiamo descritta dagli antichi viandanti; e quel tepore di pane appena sfornato che ci riscalda le mani se tocchiamo quei fogli; sono ancora vivi, magari anche solo in parte, oppure il vento freddo del tempo li ha dispersi, via?


Ricordiamo intanto, per insinuare fra i plausi alcuni dati non esaltanti, la Bologna carogna, scritta apparsa a grandi lettere sulle mura antiche non ancora abbattute, durante i terribili scioperi agrari del tardo Ottocento.

E teniamo presenti, sempre fra Ottocento e Novecento, i dati raccolti da una indagine del tempo sui nuclei familiari cittadini, che indicavano, e indicano anche a noi, come la somma di tutti i nobili, i possidenti, i mediocri e gli operai fosse meno della metà di quella dei bisognosi, e che l'indigenza era ancora vista come potenziale attitudine al reato.

E allora, con Wittgenstein e Calvino accanto, e con il peso di tanti e tanti anni di vita vissuta in questa città, direi che Bologna non ha più potuto, forse non ha più saputo, conservare i ritmi tipici di un tempo.

Nel dopoguerra dell'altro secolo, si poteva ancora riconoscere che Bologna era la città. Era Bologna e nessun'altra. Era lei.

Venivano non tanto poeti e librai a visitarla, ma giuristi, politici e amministratori civici, per scrutarla.

Era nota e cercata per questo. Era studiata nei suoi nervi amministrativi, progettuali.


Adesso, da tempo, è una città fra le altre.

Una città con i portici.

Adeguata al gran ballo del mondo.

Drammaticamente contesa fra il suo passato di pietre e il suo presente sfarzoso ma in realtà oppresso da affanni urgenti, si sta squamando dentro al vorticare stravolgente delle cose in un tempo impietoso anche per le pietre vecchie, che vengono lustrate perché rilucino come ravioli.

Oggi è una città che sfugge dalle mani in cento modi. E il bravo cittadino, se ha voglia e cuore, non può fare altro che inseguirla, con qualche affanno, per impegno di capirla. Per cercare di capirla.

D'altra parte lo sappiamo bene (e lo vediamo, anche) che le cose del nostro mondo, e le gerarchie che lo manipolano, sono strette nel pugno di una mano e non durano a lungo; perché sempre rinnovate e perché si stravolgono in fretta, dietro la spinta di fittissime provocazioni.

In questo modo, Bologna si è adeguata; anche per collegarsi alle norme generali che sovrintendono alle altre cento città italiane, di piccolo o grande calibro (fuori serie, le quattro o cinque che hanno prevalente l'industria delle pietre o dei quadri o del lieto mangiare); ma tutte con gli stessi enormi problemi di casa, traffico, vecchi, giovani, salute, prezzi, scuole, droga, immigrazione, lavoro, autentica miseria.


Così si potrebbe, e si può affermare, che Bologna - come, per esempio, è stato scritto recentemente anche di Torino - è una città da tempo indisciplinata ma ancora vitale.

Magari vitale, ma nell'indisciplina adesso c'è ben dentro, in un modo che genera confusione.

Ecco: Bologna è una città confusa.


Confusa, dico, proprio come una grande stazione ferroviaria dove tutti arrivano e tutti partono; per dove non si sa; da dove non si sa.

Treni arrivano, altri soffiando se ne vanno. Fischi. Altoparlanti che annunciano, che promettono.

Gente che si presenta affannata; o lenta deambulante. Con valigie, senza valigie. Col cane. Da sola. Con il marito. Con la moglie, con i figli.

E vociare, e baci, e urla, e gente assopita; altra che legge il giornale, un libro.

Altra che lacrima, per un qualche dolore o per commozione o per un saluto.


Questo vociare è di Bologna. Questo andare e venire, questo incrociarsi e scontrarsi, è di Bologna (è anche di Bologna), oggi.

Questa indifferenza perché ognuno è affannato;

Queste tante luci che sovrabbondano;

ma questo non potersi assestare (a parte i vecchi con le bocce);

non calmare un momento; aspettare con pazienza; vivere la vita con l'equilibrio del tempo. Questo è di Bologna, oggi.


Poi, dietro a tante luci, vicoli scuri, e le facciate di casette ridipinte sembrano maschere immobili.

Senza più una voce.

Allora, dico questa impressione, la città mi sembra come immersa in un lago ghiacciato, con fuori all'aria appena le torri;

e che intorno le girino, quasi danzando, coppie di pattinatori; mentre un altoparlante a voce alta, diffonde canzoni americane.


Città confusa, fra il riverbero delle tante luci eminenti e l'ombra; fra il frastuono accanito e un silenzio un po' torvo, nelle ore serali, che si agita come una corda abbandonata dentro a una solitudine esasperata.

Città per ricchi; non una città ricca.

Non c'è, sul momento, gioia vera - così la sento.

Piuttosto, c'è esasperazione e esibizione di una opulenza batteriologica.

E infatti i poveri, i poveri davvero, allontanati dal centro, allontanati dai vicoli, dove si sono collocati? Dove sono alloggiati?

Lontano; fuori dagli occhi, e dal cuore.


Città confusa, perché certamente, né amministratori né il pubblico deambulante, hanno qualche cognizione del futuro -

Lo hanno magari del dolore - ma non del futuro.

Arrancano, facendo tutti chi più chi meno la voce grossa, per coprire il parziale vuoto di certezza. Di una qualche sicurezza; che non sia quella, unica, del denaro.

Perciò chi è in alto, si aggrappa - lo abbiamo visto tante volte nel corso degli anni - alle grandi immaginazioni, alle grandi previsioni, alle grandi decisioni - che scavano sottoterra, che innalzano grattacieli, che allargano strade, che gettano ponti. Mentre le foglie dei fichi non cadono più sulle spalle dei bambini in attesa.


Città confusa, perché non ha più pazienza di prevedere e attendere; di fare e aspettare.

Perché non sa più reggere sulle spalle, come una volta, il peso del mondo; cioè, il peso della vita. Il peso della nostra vita. E ha disperso, nel profondo, la propria identità millenaria. Che è cultura voluta e difesa.


Eppure...

Eppure - cerco di stare nel mezzo, seguendo il lucido aforisma di Wittgenstein - confusa ma utile; come ogni grande stazione che sia veramente viatico di traffico:

che ha e sopporta, e non patisce fino in fondo, questa confusione, e non spegne le luci e non blocca i binari;

ma che si riserva ancora arrivi e partenze

e non si stanca mai di dimenarsi (in qualche modo);

cioè di essere anche, e profondamente, inquieta.

Eppure...

Eppure, tutto ciò che si è detto finora può anche cercare di cogliere - dentro alla confusione di voci e anche di idee - la vitalità oscura che prefigura,

fra intuizioni incertezze sorprese e volgarità

non tanto il vincolo con il presente

un presente cupo e avido

non con il carro del presente,

ma il brivido, un brivido freddo, col nuovo mondo che sia pure a fatica sta cercando di comporsi in mezzo a ciarle e a violenze infinite.

Così che gli anni di Goethe o di Carducci sono tutti alle spalle, e non tornano più (come in una canzone);

disperse le orme fra le onde del mare e del tempo.

Si può allora dire (almeno mi sento di dire), come in una favola della memoria e dell'affetto, c'era una volta Felsina, Boiona, Bononia, Bologna -

E adesso c'è un'altra Bologna, che tocchiamo e viviamo -

Bologna for ever, Bologna City.


Davanti agli occhi abbiamo una mezza metropoli

con grandissimo ventre (la periferia)

e con la testa tutta agghindata (il centro).

Senza più le antiche mura che la rendevano, come dire?, quasi imprendibile e irripetibile.

Adesso può facilmente decidere di dilatarsi, ansimando, da ogni parte. Azzannando magari la coda di Modena e di Ferrara.

I cittadini sottostanno, volenti o dolenti, a questo stiramento di ossa della città che stride.

Stride perché è attiva?

È attiva! Ma come?

Presuntuosa, incostante, adesso anche rissosa; tuttavia si protende dentro una realtà che troppo spesso brucia in fretta idee e presunzioni.

Tanto che si deve cercare, di volta in volta, di riempire frettolosamente quel vuoto

magari con scarsa convinzione ma con l'affanno della improvvisazione.


[...]

Dove vuole arrivare Bologna (a parte la brama evidente, e comune a tanti, di fare quattrini; e l'altra, di gonfiarsi pomposa come una rana nel fosso)?

Ma occorre anche tornare a ripetere,

che un'eguale confusione confonde e ferisce l'intera parte del mondo di cui la città di Bologna ha dovuto (o voluto) sposare il destino.

Così deve inevitabilmente scalpitare e scalciare; fare scelte ampie, anche troppo ampie, per non lasciarsi travolgere nella corsa feroce che per tutti è diventata

in questo momento

la nostra vita, la nostra esistenza.


Bisogna gridare a squarciagola per farsi notare

(non dico neanche per farsi ascoltare).

Per poter partecipare ad addentare il pane di una competizione inarrestabile.

I mega programmi

i mega processi

i mega concerti

cemento, abbattimento, abbellimento

curano in qualche modo le nevrosi da inquietudine e da competizione dei potenti.

Si potrebbe dire: una bella stradona, o un bel ponte, o un palazzone che tenda a immergersi nel cielo

cavano il medico d'intorno.

Non hanno mai saputo (dico, intanto, in Italia) trovare o immaginare soluzioni diverse. Tranne quella, più micidiale ma ancor più vantaggiosa, di fare una guerra.


Così nelle stradine adiacenti al centro si stanno spegnendo le residue vetrine artigiane

i negozietti

schiacciati sotto i piedi della grande distribuzione

e degli affitti.

Spegnendo le stradine medioevali del centro, la città ha dissipato la vivacità della vita popolare

trasformandosi sdegnosa e silenziosa

in una certosa notturna sfiorata da impalpabili luci.


Ripeto ancora:

come e dove è naufragato l'umore, la vivacità autentica e non nevrotica, di una città che era celebrata per la sua vivacissima gioiosa vita notturna?

In cui i cittadini, molti cittadini, tiravano via le coperte della notte per prolungare il giorno al fine di rendere meno grama la vita?


[...]

Oggi, dentro a questi miei pensieri, la città vedo che si è trasformata,

che si trasforma,

e che si è anche incupita, sia pure

dentro a quella confusione a cui ho già fatto cenno.

Una parte sembra essere tutta rose e fiori, con i calabroni dorati che le ronzano sopra e intorno, quasi avvampando l'aria,

e un'altra stenta amaramente la vita. Questa è la parte, e non la minore, della Bologna isolata e inselvatichita.

Tuttavia una città è, esiste come un corpo che palpita -

nonostante tutte le contraddizioni -

negli anni in cui ogni generazione la vive, la vede; la desidera, anche.


Così, c'è adesso una Bologna di pietre antiche, che cerca in qualche modo di coordinare e in qualche modo affrontare il tornado di problemi che ogni giorno le cadono addosso.

E con tali fatiche si inoltra verso il futuro.

Un futuro che possiamo solo sfiorare, come un vetro appannato.

Perché, quale che sia,

questo tempo a venire appartiene interamente,

nel desiderio e nelle azioni concrete,

ai giovani che si guardano intorno.

Sono loro che devono e dovranno scegliere e decidere quale faccia (o quale maschera) la città dovrà adottare per non essere sopraffatta dagli eventi, dalle generali ambizioni, dal girovagare talvolta incerto, talvolta precipitoso dei responsabili dei vari poteri.

Insomma, per non essere sopraffatti dalla confusione delle idee che incombe sul palcoscenico di questo mondo così terrificante, così tragico e, a volte, così stupefacente.

In questo senso, e dentro a questi confini, credo sia ragionevole, giusto, anche utile, amare una città.

Amare Bologna.

Perché, come sappiamo, l'amore è un sentimento non solamente tenero ed estenuante

ma un sentimento duro.

È un sentimento che non perdona.

Allora a Bologna non si deve perdonare nulla

e sentirsi traditi

se tentenna, se si svia, se tarda troppo a comprendere, oppure se declina.

O, peggio, se tende a farsi ballerina in calzamaglia

per sgambettare su un palcoscenico di luci.

Di troppe luci.

Ma è anche vero

- e qua concludo -

che ogni città spesso sembra quasi perduta, dentro a una sorta di specchio che raccoglie errori, vanità, e fiori

e poi accade che lo specchio può essere infranto dai sassi (parole, sollecitazioni, indicazioni, proposte) lanciati da coloro (e sono tanti)

che hanno pensieri pazienti e decisi

che hanno problemi quotidiani che bruciano -

e la richiamano ai suoi primi doveri di tutela e attenzione.

Madre che non dorme. Madre città. Antica tellus.

Con gli occhi sempre aperti, come un dovere sentito, sì sui benefici che la vita propone a tanti; ma anche inesausta nell'attenzione alla stravolta miseria, che diventa straziante solitudine, di chi è trafitto dalle frecce della povertà, dalla miseria dell'emarginazione.

Madre città, dunque, da cui mai e poi mai dovremmo sentirci abbandonati.

 

Via Emilia: quattro film dedicati all'Emilia-Romagna

Un progetto a cura di Francesco Conversano e Nene Grignaffini, prodotto da Movie Movie, in collaborazione con Regione Emilia-Romagna, Fondazione Cassa di risparmio in Bologna, Provincia di Bologna e Rai Educational direttore Giovanni Minoli.

La Via Emilia attraversa e unisce una città-regione, che va da Piacenza a Rimini, segnando profondamente il destino dei luoghi e degli uomini che li abitano. La Via Emilia si estende in una regione ricca di primati, di esempi di eccellenza, di genio e di talento, di creatività, di ricchezza e di contraddizioni; una terra di uomini e di saperi, dalle radici profonde e sempre attenta ai cambiamenti, sensibile alla cultura e ai consumi culturali, una terra di città vivibili e di persone disponibili all'incontro e allo scambio.

Via Emilia è il racconto di questa terra attraverso quattro film-documentari e di altrettanti scrittori radicati in Emilia-Romagna: il poeta Roberto Roversi raccoglie una serie di riflessioni sulla moderna e contraddittoria città di Bologna, oggi; lo sceneggiatore Tonino Guerra rivisita in forma poetica il "suo" microcosmo della Romagna; gli scrittori Gianni Celati e Carlo Lucarelli esplorano paesaggi reali e interiori: dalla Bassa al Delta del Po il primo, lungo l'asse urbano e notturno della Metropoli-Emilia il secondo. Quattro modi diversi di raccontare una regione, quattro rappresentazioni differenti di uno stesso luogo, quattro sguardi e altrettante possibilità di guardare con gli occhi di "osservatori privilegiati" e disincantati la regione Emilia-Romagna.


Due o tre cose che so di lei. Tonino Guerra e la Romagna

con Tonino Guerra; soggetto, sceneggiatura, regia: Francesco Conversano, Nene Grignaffini (durata: 60 minuti, 2003)


Segni particolari. Appunti per un film sull'Emilia-Romagna

di Giuseppe Bertolucci; da un'idea di Carlo Lucarelli (durata: 53 minuti, 2003)


Bologna e Bologna

soggetto, sceneggiatura, regia: Francesco Conversano, Nene Grignaffini; testo e voce: Roberto Roversi (durata: 50 minuti, 2003)


Mondonuovo

un film di Davide Ferrario; con Gianni Celati (durata: 58 minuti, 2003)

 

Azioni sul documento

Elenco delle riviste

    Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna - Cod. fiscale 800 812 90 373

    Via Galliera 21, 40121 Bologna - tel. +39 051 527 66 00 - fax +39 051 232 599 - direzioneibc@postacert.regione.emilia-romagna.it

    Informativa utilizzo dei cookie

    Regione Emilia-Romagna (CF 800.625.903.79) - Viale Aldo Moro 52, 40127 Bologna - Centralino: 051.5271
    Ufficio Relazioni con il Pubblico: Numero Verde URP: 800 66.22.00, urp@regione.emilia-romagna.it, urp@postacert.regione.emilia-romagna.it