Rivista "IBC" XI, 2003, 4
musei e beni culturali, biblioteche e archivi / progetti e realizzazioni, storie e personaggi
Il complesso di Villa "Saffi" in San Varano, riaperto al pubblico il 10 novembre 2002, è stato acquisito dal Comune di Forlì nel 1988. Lo stabile, originariamente convento dei Gesuiti, fu acquistato a metà del Settecento dal conte Tommaso Saffi, bisnonno di Aurelio, che qui si spense il 10 aprile 1890. Il suo ricordo, e quello delle vicende storiche di cui fu protagonista, sono ancora vivi negli arredi e nei materiali cartacei e decorativi qui conservati, senza dimenticare che la villa fu sede anche di riunioni carbonare: in linguaggio cifrato era nota come la "Vendita dell'Amaranto". Portato a termine l'intervento manutentivo e ripristinati gli arredi, con particolare attenzione allo studio e alle sale del piano terra, saranno via via recuperate la parte attigua alla villa, le ex scuderie e la conserva (ossia la neviera), nonché il parco. Il progetto prevede quindi l'apertura al pubblico di Villa "Saffi" come casa museo e la realizzazione di percorsi di lettura tematici in rete con il Museo del Risorgimento e con la Sezione Risorgimento del Fondo "Piancastelli" della Biblioteca comunale di Forlì.
Di recente questa stessa Biblioteca, non a caso intitolata ad Aurelio Saffi, ha segnato un'altra tappa importante nella ricostruzione di questa figura storica e delle vicende risorgimentali romagnole: l'acquisizione dell'archivio di Felice Dagnino, un repubblicano genovese che con il nostro condivideva la fede mazziniana. Nell'articolo che segue pubblichiamo il testo dell'intervento pronunciato da Ezio Raimondi alla riapertura di Villa "Saffi", e subito dopo, a cura di Vanni Tesei, la descrizione del fondo "Dagnino".
A un lettore di testi letterari sarà consentito di partire da una scrittrice, Virginia Woolf, e da un suo romanzo, Orlando, che si svolge attraverso tre secoli della storia inglese, tra il 1586 e il 1928, per concludersi con il ritorno della protagonista nella casa che si era di continuo ripresentata attraverso le diverse età, e con la rivelazione del senso diretto della vita e del tempo, nel rapporto con le cose, con le piante del parco, con le pietre. Alla fine della storia Orlando, ormai diventato stabilmente donna (durante i tre secoli subiva una vicenda di metamorfosi), entra nel cuore della casa e sente che le pareti tornano a parlarle restituendole gli stati d'animo, le voci che si erano alternate nel tempo, e si accorge così che la casa nella quale s'identifica non è più soltanto sua, ma diventa qualche cosa che è di tutti, coincide con il senso profondo dell'esistenza: "Apparteneva ormai" - si legge - "al tempo e alla storia e andava di là dal senso del possesso e addirittura di là anche del controllo dei vivi".
Anche noi oggi, pur non avendo questi tre secoli di vita alle spalle, ci troviamo esattamente nella stessa condizione: vi sono delle pareti che ci restituiscono delle voci, ma sta a noi sentirle, come se le "grandi ali del silenzio" battessero da queste parti, per citare di nuovo la Woolf, e toccasse a noi riascoltare ciò che viene dal passato. Anche questo è un luogo della memoria, il cui valore simbolico chiede uno sguardo particolare, capace di vedere dietro gli oggetti concreti, di ricostituire le voci che le hanno a poco a poco rese vive. È vero che a volte oggi rischiamo di perdere il senso delle cose di fronte a una testimonianza che viene da lontano, che ha una storia e come una voce che ci parla, perché si è perso, per così dire, il rapporto intrinseco tra memoria e storia. Ma forse una formulazione di questo tipo è troppo drastica ed è probabile invece che si tratti proprio di ricuperare attraverso la storia ciò che conosciamo, legando la memoria all'esperienza diretta che definisce la nostra identità come individui e come società. E di là dalle radicalizzazioni che ci propongono gli storici, un luogo come Villa "Saffi" ricostituisce una sorta di memoria funzionale, come se riproducessimo dentro di noi un passato di straordinario significato, poiché questa casa che nasce tra Settecento e Ottocento si porta dentro un capitolo dell'Italia moderna, nel momento delle nostre origini come società civile e moderna.
Sembra dunque difficile che si possa ripensare alla nostra storia senza ricuperare il valore dei luoghi e dei beni culturali attraverso i quali si riaccende una memoria specifica; si può anzi pensare che per i più giovani il passato possa diventare, solo così, parte della loro esistenza, momento fondativo della loro identità, soprattutto nei tempi della globalizzazione che richiedono a ognuno di noi di entrare in un circuito più ampio con il senso preciso della propria origine. Sentire il legame con il proprio luogo diventa a questo punto non più un atto nostalgico o emozionale, ma un elemento costitutivo della nostra dimensione di cittadini e di membri di una cittadinanza: non c'è cittadinanza che non abbia una storia e solo munita di questa storia ogni cittadinanza si muove verso il futuro, ricevendo da ciò che è passato il senso di una custodia, di una dignità da continuare, un compito insomma da portare avanti. E questo luogo ci riporta all'origine della nostra società moderna: le ansie, i dolori, le sofferenze, le speranze e gli esili di questa origine passano per questa casa, dove attraverso i destini di chi vi abita rivivono i grandi momenti del nostro Risorgimento. È pur vero che questo periodo oggi è sottoposto a revisione e discussione, ma non c'è un passato vero se non viene ridiscusso, messo a confronto con nuove ragioni che proprio mentre muoviamo verso il futuro diventano più chiare, più solidali e più legate alla tradizione.
In Romagna il Risorgimento è stato un momento importante: pensiamo alla tradizione repubblicana e a ciò che significa l'eredità di Mazzini da queste parti. A Cesena Renato Serra, parlando di Carducci e della generazione carducciana, osservava che la sua generazione, la prima del Novecento, aveva avvertito come una sorta di rottura rispetto al passato: qualcosa si era interrotto e nello stesso tempo qualcosa doveva essere ripreso. Era un occhio già critico che per un verso percepiva la nostalgia per i grandi momenti eroici passati, ma d'altra parte sentiva che vivevano e pulsavano nuovi tempi, ed era anche consapevole che bisognava ritrovare un rapporto, ricreando, di là dalle cesure, un sentimento di continuità.
Un luogo, una casa, sono appunto la continuità di là dalla discontinuità: e proprio entrando in un luogo come questo, mentre sentiamo che qualcosa dura ancora, nello stesso tempo dobbiamo recuperare un passato con cui dobbiamo confrontarci. Ciò vale soprattutto in rapporto ai più giovani: come si costituisce nelle generazioni di un nuovo secolo una memoria comune, come si definiscono ragioni legate a questi luoghi, a questa geografia, attraverso le quali ci si riconosce? Come si determina, di là dalle mitologie, un sentimento comune e quotidiano di appartenenza, in nome del quale ci riconosciamo quasi con un semplice ammiccamento, senza neppure dire una parola? Vi è per l'appunto un passato che continua a parlarci, e un paese come l'Italia - e la Romagna è un caso particolare di questa Italia - deve avere il senso che i beni culturali hanno bisogno di essere intesi e compresi. Il rischio per le nuove generazioni è di vivere in un luogo intriso di storia come se fosse un grande magazzino di oggetti introdotti e immediatamente sostituiti. E invece gli oggetti restano, sono i custodi di altre voci, di una lunga storia, il segno di una sofferenza, di una speranza e di un desiderio.
Nella civiltà delle immagini si può smarrire il senso del rapporto con la realtà degli oggetti, mentre le cose sono sature di ragioni umane. Da questo punto di vista il luogo, la casa, la stanza e l'interno, sono qualcosa di presente e visibile, parlano immediatamente con una suggestione e anche con la nostalgia di un altro tempo, un Ottocento caratteristico che indica uno stile di vita insieme di nobiltà e modestia, sobrietà e semplicità. Tutto questo è qui davanti a noi, anche davanti all'occhio del più giovane, che non ha bisogno di molte ricerche per ricomporre a sua volta quello che potremmo chiamare il suo "sguardo storico". Le giovani generazioni rischiano di vivere da estranee nella casa dei padri e degli avi, in una alienazione di nuovo genere che a questo punto porrebbe in pericolo non soltanto l'identità nazionale, ma il senso stesso della nostra identità nel movimento verso il futuro, in una società dell'incertezza quale è la nostra.
Per questo il luogo è ancora ciò che fa parte della nostra esistenza e che viene da lontano, da altre generazioni, conservando la stessa aria, lo stesso cielo, lo stesso sole, la stessa nebbia e lo stesso freddo. Vi è un elemento di solidarietà che sta a noi riscoprire, ricostituendo il rapporto con generazioni che furono eroiche nel riprendere con ardimento una tradizione interrotta, capaci di slanci creativi e di mirare a un futuro avendo in mente un rapporto ben preciso con l'Europa: proprio qui parliamo di Aurelio Saffi, uno dei personaggi per i quali il destino nazionale era nello stesso tempo un destino europeo, poiché la sua famiglia si integrava nel mondo britannico. E non v'è dubbio che egli fu a pieno titolo un protagonista di quello che oggi studiosi non soltanto italiani chiamano il "patriottismo civile", il senso di un'appartenenza comune, il senso del nostro legame con un paesaggio intriso di ragioni umane, dove tutto torna a parlare come le voci che immaginava Virginia Woolf nel suo romanzo.
Anche in questa casa si saldano il visibile, la storia, ciò che è accaduto, e l'invisibile che ritorna attraverso ciò che ricordiamo, i rapporti che istituiamo, mentre ci muoviamo tra una stanza e l'altra. Ed è importante a questo punto che ognuno senta come in questo clima quotidiano ciò che è grande diventava insieme domestico, alla portata di tutti, e l'eroico non aveva niente di enfatico e di presuntuoso, ma era tale perché gli uomini sapevano misurarsi con il proprio destino. Questo non è un museo, se per museo si intende un luogo dove vengono introdotti oggetti nati in altri luoghi; questo luogo è invece testimonianza di sé stesso, conserva ancora la realtà di allora, e anche i mutamenti dovuti al tempo contribuiscono alla sua autenticità. È stato il luogo in cui sono vissuti certi personaggi, e qualcosa resta ancora in quest'aria: quando entriamo nello studiolo, di là dal brusio dei nostri colloqui, possiamo ancora avvertire il genius loci, una sorta di aura misteriosa che non si vede eppure diventa parte della nostra vita.
È come allargare la nostra prospettiva, conferendo alla nostra emozione un significato più ampio, ma ciò che conta di più è che questo luogo è autentico perché è immerso in un paesaggio autentico, fa parte di un'entità più ampia, di un territorio più vasto, di una storia composita, quella di una famiglia, nella partecipazione ai destini risorgimentali. Si pone di nuovo il problema di ciò che chiamiamo un bene culturale così composito come è la storia di una famiglia, che è nello stesso tempo la storia di un paese, in uno spazio che diventa sempre meno provinciale e sempre più europeo.
A proposito delle ipotesi di vendita dei beni culturali, Salvatore Settis rilevava che non si può dimenticare che il contesto è forse il patrimonio più prezioso che possediamo: oggetti, musei e quadri sono altrettanti frammenti di un insieme più ampio che è poi, di volta in volta, Forlì, la Romagna, l'Italia. Il contesto è una geografia vivente, l'unica che consenta alla nostra memoria e alla nostra immaginazione di rianimarsi. Anche quando attraverso questa casa diventa vicenda di azione, di fallimenti e di conquiste, una storia come quella italiana è intimamente legata alla nostra virtù civile, al nostro senso di appartenenza, al rapporto con gli altri. E il fatto che poi, una volta tornato in Italia, Saffi promovesse più di altri i valori dell'associazione, il problema del rapporto nella vita comune, è un altro ammaestramento che possiamo trarre nel momento in cui ci interroghiamo sul nostro senso di un patriottismo civile. In questa casa si possono apprendere queste lezioni, riaprendo un cammino, ed è giusto allora che si pensi di farne non un luogo di commemorazione ma di dialogo, di confronto, magari anche di nostalgia, con il senso però che dovremmo essere non troppo indegni di quelli che ci hanno preceduto e che hanno fondato questa realtà. In Romagna, poi, il discorso risorgimentale ha ragioni più intense, più profonde che altrove e quindi non è un caso che proprio qui si sia trasformato questo luogo in una ragione così viva, in un invito a ricostituire quello sguardo storico senza il quale non potremmo procedere con sicurezza e con onore in un futuro pieno di incertezze.
[E. R.]
La Biblioteca comunale "Aurelio Saffi" di Forlì ha recentemente acquisito dalla Libreria Pontremoli di Milano un importante fondo archivistico contenente numerose lettere inedite (circa 680 pezzi) di politici e patrioti indirizzate a Felice Dagnino (Genova, 1834-1909), garzone di caffetteria in gioventù e poi proprietario di alcuni pubblici esercizi, pioniere dell'industria turistico-alberghiera ligure. Dopo aver aderito giovanissimo al repubblicanesimo sull'onda emotiva delle repressioni dei moti successivi alla guerra del '49, Dagnino fu uno dei fedelissimi di Mazzini, col quale intrattenne continui rapporti di collaborazione e scambio epistolare. Basti dire che il Mazzini scrisse nel 1871 il Patto di Fratellanza in una villa genovese che il Dagnino, in suo onore, aveva chiamato Giuseppina.
L'acquisto del fondo, reso possibile anche dalla sponsorizzazione del Consorzio Cooperative "Giovanni Querzoli" di Forlì, ha un particolare valore per gli studi risorgimentali romagnoli, in quanto il carteggio comprende ben 162 lettere di Aurelio Saffi e 236 lettere autografe della moglie Giorgina. A queste si aggiungono 80 lettere di Ernesto Nathan, 50 di Sara Nathan, 17 di Federico Campanella, e di altri patrioti coi quali Felice Dagnino era in corrispondenza. Le lettere daranno sicuramente un importante impulso agli studi risorgimentali anche perché è molto probabile che i riscontri, da effettuarsi presso l'archivio di Aurelio Saffi custodito dal novembre 1978 presso la Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna, consentano di individuare le lettere di Dagnino, ricostruendo il carteggio nella sua interezza.
I rapporti tra Aurelio Saffi ed il mazzinianesimo genovese sono analizzati in un saggio di Bianca Montale, la quale evidenzia come nel 1873 il triumviro romagnolo fosse ospite per due mesi presso villa Giuseppina e che nell'anno successivo entrambi, Saffi e Dagnino, fossero arrestati in data 2 agosto nella villa di Ercole Ruffi sulle amene colline covignanesi, e rinchiusi nelle carceri di Spoleto: di lì furono poi condotti a Perugia in un cellulare, in manette e catene assieme al fior fiore del repubblicanesimo romagnolo. Ciò rafforzò naturalmente l'amicizia e la solidarietà tra i due. A Genova Saffi portò avanti un discorso politico analogo a quello fatto in Romagna, da un lato mettendo al centro dell'azione politica gli ideali ed i valori repubblicani intesi come nuova forma di religione e di emancipazione, dall'altro cercando di evitare settarismi, scontri frontali coi radicali e coi garibaldini, facendo della unità delle forze politiche democratiche per la conquista delle amministrazioni locali il primo gradino per creare nuovi equilibri e preparare il necessario mutamento istituzionale.
Le lettere coprono il periodo 1870-1890, ad eccezione di una lettera del 1866, e consentono tra l'altro di documentare il lavoro per la pubblicazione degli scritti di Mazzini, curati direttamente da Saffi e giunti all'ottavo volume nel momento della morte di quest'ultimo. Saffi si impegnò personalmente nella ricerca del materiale, spesso di non facile reperibilità, e curò i proemi ai nove volumi successivi, che furono poi ristampati nei Ricordi e Scritti di Aurelio Saffi editi in quattordici volumi a cura del Municipio di Forlì dalla Tipografia Barbera di Firenze tra il 1893 ed il 1905, realizzando una biografia di Mazzini ancora oggi ritenuta di fondamentale importanza dagli storici.
Le lettere documentano nei dettagli la collaborazione paziente e continua di Dagnino alla realizzazione dell'opera, ora fornendo intere annate di quotidiani e periodici, ora mettendo a disposizione i materiali in suo possesso ed in modo particolare le lettere ricevute da Mazzini, ora chiedendo la collaborazione all'opera anche dei principali esponenti repubblicani genovesi, come il Quadrio ed il Campanella. Viene altresì evidenziata la leadership indiscussa di Saffi sul movimento repubblicano. La lettera dell'8 giugno 1882 [qui pubblicata a parte, ndr] documenta come le richieste di suoi interventi fossero continue e molteplici, tanto da suscitare un moto di stizza e un richiamo agli astri (l'influsso della cometa) davvero singolare nel nostro.
L'acquisizione dell'Archivio "Dagnino" è tanto più significativa in quanto la Biblioteca "Saffi" sta procedendo in questo periodo anche al riordino e schedatura delle Carte del Risorgimento del Fondo "Piancastelli", nell'ambito di un progetto promosso e finanziato dalla Fondazione Cassa dei risparmi di Forlì e la cui realizzazione sarà completata entro il 2004. Se si considera che le Carte del Risorgimento constano di cinquantamila tra autografi, documenti e fogli a stampa - oggi di difficile consultazione, domani pienamente fruibili - si ritiene di poter condividere il parere di Roberto Balzani quando afferma che la Biblioteca comunale di Forlì rappresenta uno dei più interessanti giacimenti culturali per la storia del Risorgimento, non solo nell'ambito regionale ma a livello nazionale.
[V. T.]
Due lettere inedite di Aurelio Saffi a Felice Dagnino
Forlì, 25 gennaio 1875
Mio Caro Felice
Ebbi il vostro telegramma, al quale risponde - interprete della mia riconoscenza e della mia fede nella buona opera da voi e dai colleghi vostri iniziata - l'acclusa lettera. Mi conforta il vedere, ricongiunti dal dovere e dal patriottismo comune, seguaci di Mazzini e seguaci di Garibaldi darsi la mano, nella necropoli di Staglieno, su quella tomba, che è simbolo de' nobili destini serbati all'avvenire della patria nostra. Possano i vostri generali intendimenti esser seme di virtù pari alla vostra nel cuore dell'intera nazione! Nina, qui presente, manda, insieme con me, un cordiale saluto a voi e a tutta la vostra famiglia, e v'auguriamo di cuore che la nuova Angioletta, alla quale avete dato il vostro nome pochi giorni or sono, cresca annunziatrice di tempi migliori alla patria nostra, e di felicità a tutti i suoi cari. Addio mio caro Felice. Salutate tanto il nostro compare di carcere, l'ottimo De Dauli, se trovasi ancora costì, se no ditemi dove io possa dirigergli una mia, essendo io in debito e in desiderio di scrivergli. Non vi sorprenda se la mia corrispondenza con voi, come cogli altri amici, è infrequente. Oltre la moltiplicità delle occupazioni, gl'incomodi di salute di cui vado soffrendo, mi dimezzano sovente tempo e forze. Ma il mio cuore è sempre con voi e coi vostri...
A. Saffi
Bologna, 8 giugno 1882
Mio Caro Felice,
Le sollecitazioni che ricevo da Genova perché mi rechi costì senza indugio, mi vengono come colpi di bastone sulle spalle. Oggi è il Gamba che mi telegrafa di venir subito, se possibile, e mi dice di aver telegrafato nello stesso senso anche a Campanella. Ma come ho da fare? Sono stato travolto, tutti questi giorni, in un vortice di cose, mi capitano domande urgenti di manifesti per la Consociazione Romagnola, che ho dovuto fare oggi stesso; devo finire un compendio della vita di Mazzini pel supplemento del Secolo del 22 giugno; ho da mettere in ordine una quantità di faccende prima di partire; e, tra tutto questo lavoro, accresciuto dalle impreviste necessità di comizi e d'altro sopravvenute per la morte del Generale, non ho potuto ancora dar l'ultima mano al discorso per l'inaugurazione del monumento, che ho promesso di dare anticipatamente a Fossati per l'album.
Se non ho tre o quattro giorni di pace, prima di muovermi, non so davvero come potrò sbrigar questa ed altre non meno urgenti e obbligatorie faccende. E, fra tutto ciò, Arecco ed altri da Genova mi chiedono epigrafi a Garibaldi, da collocare nelle sale de' loro sodalizi. Sembra che tutto il mondo creda ch'io sia una specie di cosa che può darsi a tutto ed a tutti, a grado d'ogni voglia ed eventualità.
Io finirò per mettere avvisi ne' giornali che sono morto e sepolto, e che nessuno pensi più a me.
Da Parigi, fra l'altre cose, Lemonnier m'incarica di portare a Caprera una corona (che non so se debba cadermi dal cielo) per deporla sul feretro di Garibaldi. Mi sembrano tutti matti. Che sia l'influenza della cometa? Intanto, vogliate fare avere l'acclusa al Gamba. Tenetemi a giorno di ciò che risolvete per l'inaugurazione e a rivederci il giorno 16 a sera. Addio, mio caro Felice. Una stretta di mano dal vostro A. Saffi.
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