Rivista "IBC" XI, 2003, 2

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / editoriali

Il decreto governativo che abolisce le tariffe postali agevolate per le pubblicazioni degli enti pubblici ha colpito anche la nostra rivista: comunicare l'universo dei beni culturali diventa sempre più difficile.
La difficoltà di comunicare

Ezio Raimondi
[italianista, presidente dell'IBC]

Il recente decreto governativo che abolisce le tariffe postali agevolate per le pubblicazioni degli enti pubblici ha colpito, com'era inevitabile, anche la nostra rivista, la quale si trova ora costretta a una diffusione con tariffa ordinaria, che determina un sensibile aumento della spesa, fuori dai termini previsti dal nostro bilancio annuale. E poiché c'eravamo sempre proposti di far sì che alla serietà paziente del lavoro intellettuale corrispondesse un costo di produzione misurato e quasi modesto, in questa nuova situazione, che rende ancora più problematico il nostro proposito, non ci resta che ridurre drasticamente il quadro di servizio dei nostri destinatari: in attesa che possano maturare decisioni regionali a favore della stampa periodica senza fini di lucro, sul tipo delle soluzioni assunte, come ci viene detto, dal governo della Regione Toscana.

Certo, si direbbe che per l'universo così complesso, e così difficile da definire dei beni culturali, comunicare sia tutt'altro che una cosa agevole e naturale: a parte il caso specifico da cui siamo partiti, occorrono mezzi finanziari che non sempre risultano disponibili; senza dire che il criterio economico non sempre appare congruente alla natura più che economica di ciò che chiamiamo il nostro patrimonio naturale e culturale. E tuttavia si tratta di un'azione necessaria per accrescere e approfondire la fruizione di biblioteche, musei, archivi, collezioni, parchi, residenze a cui di fatto è affidata una parte preminente della nostra stessa identità nazionale.

È un paradosso a cui non possiamo sottrarci: il mondo oggettivo della cultura esige di essere "pubblicizzato", e questo non può che avvenire nei modi contemporanei della comunicazione di massa e dei suoi strumenti retorici, tanto efficaci quanto costosi. Ma forse c'è anche bisogno di una sensibilità più attenta e costante, che non si fermi soltanto agli eventi eccezionali e clamorosi, e si realizzi in uno spazio più quotidiano, nella vita straordinariamente frastagliata dei luoghi e delle loro istituzioni: quasi un abito mentale, una convinzione condivisa, un rapporto consapevole con la nostra storia e le sue testimonianze viventi. Un grande linguista del nostro ultimo Risorgimento, Graziadio Isaia Ascoli, nelle pagine gloriose e ancora tutte da meditare del Proemio all'"Archivio glottologico italiano" (ed era il 1872), osservava che per divenire moderna la giovane società italiana aveva bisogno di una diffusa "densità del sapere", ossia di una cultura media comune, con una tensione intellettuale estesa a ogni ceto e a ogni regione della penisola. Anche i beni culturali sono parte di questo processo civile, tanto più oggi, nel tempo della comunicazione globale; ma il problema resta la giusta misura tra il conoscere (il conoscere la nostra patria, come dice il Presidente Ciampi) e i suoi costi, i suoi "investimenti".

Intanto, nel suo orizzonte limitato ma operoso, la nostra rivista cerca di fare fronte alle difficoltà di cui s'è parlato, riconoscendo una volta di più che la propria gestione è già un fatto di cultura, un modo per rapportarsi equamente alla realtà composita ed esigente dei beni culturali. Anche nel quotidiano la razionalità deve trovare il suo stile, la sua forza comunicativa.

 

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