Rivista "IBC" X, 2002, 4
Dossier: Ben(i) comunicati?
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi, dossier /
Diciotto anni fa, e precisamente nel marzo del 1985, usciva in edicola, su tutto il territorio nazionale, il primo numero di "Archeo", una rivista mensile dell'Istituto geografico De Agostini di Novara interamente dedicata alla divulgazione archeologica. Allora "Archeo" rappresentò un fenomeno completamente nuovo nel panorama dell'editoria di settore in Italia, e il suo lancio costituì per tutti - per l'editore, per la redazione, per i collaboratori - una sfida e un'incognita. Oggi, dopo duecentoquattordici mesi di ininterrotta pubblicazione (dodici numeri l'anno, a cui vanno aggiunti numerosi fascicoli monografici nonché diverse guide archeologiche) è lecito affermare che, almeno fino a questo momento, la sfida è stata vinta. Per un pubblico che si è rivelato fedele in tutti questi anni (accompagnati dalle oscillazioni congiunturali a cui anche la rivista, in quanto prodotto "di mercato", ha dovuto sottostare), "Archeo" si è confermata una pubblicazione di riferimento, assumendo talvolta (senza averne peraltro l'intenzione) una veste quasi "istituzionale".
Vale la pena, a questo punto, ricordare il programma iniziale della rivista (a chi intendeva rivolgersi e a quali interessi rispondere) per poi soffermarci su alcuni temi principali che, nel corso di diciotto anni di pubblicazioni, si sono consolidati come parte integrante del messaggio culturale che la rivista propone. Il direttore scientifico di "Archeo", Sabatino Moscati (1922-1997), presentò il programma della rivista tramite le colonne del suo primo editoriale: chiedendosi perché l'archeologia destasse un interesse sempre più vivo in un pubblico sempre più vasto, Moscati rispondeva che "l'archeologia fa notizia perché ogni scoperta è un fatto nuovo, perché l'archeologia è avventura alla scoperta dell'ignoto, è scoperta di testimonianze concrete, di vere e proprie reliquie del passato cariche di fascino e di storia, che gli appassionati amano vedere e toccare con mano. Sono reliquie evocatrici di antiche memorie, di studi dei tempi lontani della scuola e di leggende variamente udite e sedimentatesi nel ricordo che improvvisamente rivivono e si inverano". Inoltre, proseguiva Moscati, "il `museo sepolto', si può dire efficacemente, è più grande di tutti i musei conosciuti messi insieme; e v'è in più il `museo sommerso'", e l'archeologia è "viaggio nello spazio, per conoscere i luoghi spesso affascinanti in cui gli uomini del passato scelsero di vivere [...] ma è anche viaggio nel tempo, per conoscere civiltà di cui a volte non si immaginava neppure l'esistenza. E solo comparandole con la nostra possiamo renderci conto, per il bene e per il male, di ciò che siamo". E, in conclusione, "l'archeologia è una scienza davvero unica di frontiera, tra l'umanesimo che le è proprio e la tecnica delle scoperte che sempre più avanza con i suoi metodi di avanguardia".
Il programma della futura rivista era implicito in questa appassionata definizione: orientata prevalentemente sull'informazione e sull'attualità, "Archeo" doveva aprirsi a tutto il mondo dell'archeologia, uscire dai confini della cultura cosiddetta classica per esplorare tutte le aree delle civiltà che l'avevano preceduta, allargare il suo campo di indagine non solo alle discipline affini (come l'etnologia, l'antropologia, la paleontologia) ma anche alle scienze e alle tecniche ausiliarie dell'archeologia che presiedono all'analisi dei materiali, alla loro datazione, al restauro e alla conservazione. E, soprattutto, doveva informare i lettori italiani sulle infinite attività archeologiche degli altri Paesi, dell'Europa naturalmente, ma anche dei Paesi extraeuropei, del Vicino, Medio e Estremo Oriente, del continente americano e di quello africano. Per affrontare questo compito la rivista si dotò di due comitati di collaboratori scientifici, nazionale e internazionale.
La costruzione, nel tempo, di una vera e propria rete di collaboratori italiani e stranieri rappresenta forse uno dei principali elementi di forza della rivista: grazie a questa rete è stato possibile per la prima volta presentare, ogni mese e a un vastissimo pubblico di lettori, quello che a buon diritto può essere chiamato il "mondo" dell'archeologia. Per quanto riguarda l'Italia, grazie alla voce degli stessi protagonisti della ricerca, le estemporanee e spesso superficiali notizie di scoperte riportate dalla stampa non specializzata vengono approfondite e presentate nel contesto delle molteplici attività delle soprintendenze archeologiche; lasciando poi emergere il "mondo sommerso" dei musei archeologici (quelli nazionali ma anche quelli minori, di cui il nostro territorio nazionale è ricchissimo) si delinea una "mappa" dei siti e dei monumenti archeologici del Paese; fondamentali si rivelano poi i grandi servizi sugli scavi archeologici all'estero, tra cui anche quelli condotti dalle numerose missioni italiane, in particolare quelle nei Paesi del Mediterraneo e nel Vicino Oriente. Ne emerge un quadro vivissimo di rapporti e di attività internazionali, strettamente intrecciate alla storia contemporanea e alle vicende politiche dei rispettivi Paesi.
Guardando indietro ci sentiamo di affermare che, se "Archeo" è stata specchio dei mutamenti verificatisi nella consapevolezza del pubblico relativamente a temi e problemi che oggi, fortunatamente, sono entrati a far parte del lessico quotidiano (conservazione, tutela e fruizione dei beni archeologici, ecc.) ne è stata anche, in parte, forza promotrice.
Facciamo riferimento, soprattutto, al grande tema, sempre più presente nelle pagine della rivista, della salvaguardia dell'eredità del passato, o della "memoria", termine che oggi viene sottoposto a un uso disinvolto e acritico. La memoria è un bene selettivo, i cui segni materiali, indagati dall'archeologia, sono di due tipi: o sono casuali (tutti i manufatti che, per l'archeologo, diventano documenti, elementi significativi del passato di una civiltà), o invece "intenzionali", e allora si tratta di quel particolare segno del passato che chiamiamo "monumento". La parola latina monumentum racchiude la radice indoeuropea men, da cui mens, l'intelligenza e la ragione; il verbo latino monēre significa "far ricordare, illuminare, istruire". Il monumento, dunque, è un "documento" voluto che richiama il passato per perpetuarne il ricordo. Oggi il recupero della memoria (individuale, collettiva, storica) fa parte di un bisogno, estremamente diffuso e sentito, di ricerca d'identità (anch'essa individuale, collettiva, storica). L'archeologia moderna risponde a questo bisogno perseguendo la salvaguardia della memoria materiale del passato e sottoponendola al giudizio della storia attuale.
Notiamo, infine, come negli ultimi anni la coscienza ecologica o ambientale nel nostro Paese abbia ricevuto un notevole arricchimento da una nuova e diffusa "consapevolezza archeologica": per quanto, paradossalmente, si tratti di uno sviluppo relativamente giovane se confrontato con altri paesi dell'Occidente, in Italia sta prendendo sempre più piede la realtà dei parchi archeologici, in cui si coniugano le istanze della salvaguardia dell'ambiente e quella delle emergenze monumentali. E così, curiosamente, anche il paesaggio, il territorio vissuto e trasformato dall'uomo, viene a occupare sempre di più le pagine di "Archeo".
Azioni sul documento