Rivista "IBC" X, 2002, 2

corrispondenze

San Pietroburgo festeggerà l'anno prossimo il terzo secolo dalla sua fondazione: tre dimore, tre diversi luoghi di vita quotidiana, raccontano sotto voce alcune storie della città e testimoniano le trasformazioni in atto.
Tre palazzi in prospettiva

Francesca Guerra
[traduttrice dal russo]


Le campane del monastero suonavano,
qualcuno studiava per diventare prete, dava gli esami;
l'altra riva della Neva si andava riempiendo di fabbriche,
e questa compresenza di tempi diversi è la realtà.
Sklovskij, Testimone di un'epoca

 

I tram sono vecchi, stanno su per miracolo. Ogni tanto succede che si fermano. I passeggeri si guardano un po' spaesati, ma poco, poi l'autista annuncia che il tram non parte più, allora si scende e si va a piedi.

Il 2003 sarà l'anno del giubileo di San Pietroburgo. Trecento anni dalla sua fondazione. La prospettiva Nevskij è stravolta dai lavori di restauro che dovranno restituire alla città la sua immagine di capitale europea. In virtù di questo progetto, l'amministrazione cittadina ha stabilito che si debbono eliminare tutte le realtà che testimoniano del degrado della città e dei suoi cittadini.

 

Nell'inverno del 1920, nelle immense sale gelate del palazzo Zubov, si tenne il ballo natalizio dell'intellighenzia pietroburghese. C'era il comunismo di guerra, la legna mancava e il freddo, all'interno del palazzo, era intollerabile. Gli invitati, racconta Chodaseivič, si aggiravano per le sale indossando pellicce logore e stivali di feltro. All'arrivo di Gumilev si girarono tutti, indossava un semplice frac e aveva l'aria di non badare né al freddo, né alla rivoluzione.

Dima lavora come ricercatore dell'Istituto di storia dell'arte. La sede dell'Istituto è il palazzo Zubov, destinato a questo fine dallo stesso conte Zubov nel 1912. Il primo collega che Dima mi presenta appena entrati è il gatto Muzir. Muzir vive qui da più di 10 anni, è registrato come un regolare dipendente e riceve uno stipendio con il quale gli vengono pagati cibo e medicine. Dalle finestre del salone centrale si vede la magnifica piazza di San Isacco. In questa sala, mi dice Dima, è nato il movimento formalista. Per tutto il periodo dell'Unione Sovietica abbiamo continuato a fare ricerca seriamente, senza allinearci al discorso ideologico corrente. Abbiamo affrontato tagli di fondi e personale e rischiato più volte la chiusura e, nonostante tutto, siamo ancora qui. Ora, sembra, le banche più importanti si vogliono comprare il palazzo perché ha una bella posizione centrale. La cultura, qui, non la compra più nessuno.

Nel 1930 Dmitrij Seergevic Lichačev lavorò in questo palazzo come correttore di bozze. Era il tempo delle purghe staliniane, i dipendenti dell'Istituto ne erano stati duramente colpiti. Una mattina, arrivato al lavoro, Lichačev ci trovò solo due persone. Gli spiegarono, a bassa voce, che gli altri erano stati arrestati e che era meglio far finta di niente. Se domani la cattedrale di Sant'Isacco non fosse al suo posto, tutti fingerebbero che sia stato sempre così, dice Lichačev.

 

Non bisogna credere alla prospettiva Nevskij, scriveva Gogol. Allora forse non dobbiamo credere alle lussuose macchine occidentali che superano i tram scalcagnati, ai vecchi che vendono i semi di finocchio davanti alle vetrine di moda italiana. La prospettiva cambia velocemente, gli anni passano per lei come per i gatti, dieci in uno soltanto.

La storia del palazzo al numero 10 di via Puskin è un esempio significativo delle trasformazioni vissute dalla Russia in questi anni. Prima della rivoluzione era un condominio elegante a due passi dal Nevskij. Gli appartamenti ampi e silenziosi ospitavano borghesi e artisti. Dopo la rivoluzione furono montate pareti divisorie di compensato per trasformarli in Kommunalky destinate al proletariato.

Le Kommunalky, molto diffuse nel periodo sovietico e tuttora esistenti, sono grandi appartamenti in coabitazione in cui convivono più famiglie usando il bagno e la cucina in comune. In Russia la letteratura sulla vita nelle Kommunalky è vastissima. L'artista Il'ja Kalbakov le scelse addirittura come soggetto per le sue installazioni, ricostruendo anche i messaggi che gli abitanti lasciavano appesi ai muri della cucina comune: "Kuzenkova! Fino a quando andrai avanti a ficcare schifezze nelle pentole e padelle degli altri? Tutto l'appartamento ti odia!".

Misa, che vive da anni in una kommunalka, racconta che quando alcuni giornalisti americani vennero a Leningrado per fare un'indagine sulla vita nelle Kommunalky, lo intervistarono. Alla domanda "Quante persone vivono in questa casa" lui rispose: "Un momento... fatemi pensare... direi più o meno da tredici a diciassette, ma non sono sicuro, non ho presente tutti".

La nuova vita del palazzo di via Puskin cominciò con la perestrojka. La casa fu abbandonata da gran parte dei suoi abitanti. Quelli che subentrarono diedero vita a un fondo comune che doveva essere la base per una cooperativa di artisti non-conformisti. La cooperativa creò poi la prima galleria d'arte privata della Russia sovietica, la 10-10. Dopo un paio di anni l'illusione cooperativa era sfumata. La Puskinskaja 10 (dal suo indirizzo) aveva raccolto attorno a sé una bohème confusa in cui convivevano artisti, senzatetto e piccoli criminali e col tempo gli artisti si allontanarono alla ricerca di migliori prospettive. All'inizio degli anni Novanta ottenne l'autorizzazione a costituirsi come Centro culturale cittadino. L'inverno che seguì questa vittoria politica fu durissimo. Il riscaldamento venne tagliato, seguito dall'acqua e dall'energia elettrica. Molti lasciarono il palazzo. Dopo quell'inverno il direttivo della Puskinskaja decise di cedere metà dell'edificio a un costruttore in cambio dei fondi necessari per portare avanti una ristrutturazione radicale. Il risultato fu l'apertura di trenta studi, cinque gallerie e di un museo dell'arte non conformista da una parte, di un condominio lussuoso per businessmen e occidentali, dall'altra.

 

Vladimir Sinkarev ha dipinto Delitto e castigo nei toni del grigio e dell'azzurro. In questo quadro la città sembra sempre bagnata di pioggia, il tempo è quel sotto sera che si trova all'inizio del romanzo. La veduta dà sulla piazza del fieno. Per tutto il tempo della narrazione i personaggi attraversano o aggirano questa piazza nei loro vagabondaggi. Questo, per Raskolnikov, è l'unico posto in cui nessuno fa caso ai tuoi vestiti, alla tua miseria. Dalla fondazione della città qui si raccoglie un'umanità varia per comprare e vendere le cose più disparate. Quest'anno l'amministrazione municipale ha liberato la piazza dai suoi mercanti sotto la minaccia delle ruspe. Cacciandoli dal centro, li ha gettati dal vapore della modernità.

Casa di Misa è a due passi da questa piazza. La casa è una Stalina. In Unione Sovietica la costruzione delle nuove abitazioni era regolata dai piani quinquennali. Le case erano quindi costruite sulla base di un progetto che doveva rispecchiare le concezioni architettoniche e sociali dell'epoca. Per questo motivo è abbastanza facile determinare il periodo di costruzione di un palazzo sovietico, sempre per questo motivo non è facile riconoscere la casa di un amico o, addirittura, la propria. Un film di una decina di anni fa racconta le avventure di un moscovita ubriaco che svegliandosi la mattina dopo in un appartamento identico al suo, in una strada perfettamente uguale, non si accorge di essere finito a Novosibirsk.

Con il tempo i russi hanno preso a chiamare confidenzialmente le loro case Staline, Chruseve o Bre×neve. Le Staline sono le migliori, muri spessi e soffitti alti. Le Chruseve non hanno avuto molta fortuna, costruite a metà degli anni Cinquanta come provvisorie in risposta all'aumento demografico nelle città, sono poi rimaste dov'erano, solo il nome con cui vengono chiamate è cambiato da Chruseva a chruseba che fa rima con baracca.

Le Staline si raccolgono intorno ad un cortile comune. Qui ci sono i giochi per i bambini e le panchine per chi ha voglia di fermarsi a parlare o a bere. La vita di cortile è stata raccontata dal filosofo Pjatigorskij nel suo libro Filosofia di un vicolo. Lui dice che il cortile dove è cresciuto era un cortile filosofico, dice che ogni cortile ha una sua impronta particolare. Ci sono quelli politici, letterari, musicali. Nel suo sono cresciuti dei filosofi. È l'aria della vita in comune, il caso, le persone che in quel momento abitano nel palazzo a determinare il carattere di un cortile e le inclinazioni delle persone che ci vivono.

La stanza in cui Misa vive con la sua famiglia è parte di una kommunalka. È allo stesso tempo anche la sede della sua casa editrice Krasnyj Matros (Il marinaio rosso). È servita negli anni a diversi scopi. Qui lui e i suoi amici pittori del gruppo Mit'ki hanno allestito mostre, organizzato concerti da appartamento e letture, tutto questo in uno spazio di non più di sedici metri. Qui vivono Misa, Svetlana e i loro due figli, l'ultimo nato da pochi mesi. La mattina non ricevono visite perché Misa, oltre che come editore, lavora come guardiano notturno. La casa editrice, mi dice con un sorriso, ora ha imparato a mantenersi da sola, per i bambini ci vorrà ancora un po'. I libri sono stipati ovunque, sotto il tavolo, negli armadi, non c'è quasi spazio per muoversi. Da qui non si sentono i rumori delle ruspe sulla piazza del fieno, le scavatrici che svelano i nervi della via Sadovaja. Sembra di essere molto lontano.

 

La diffusione delle Kommunalky in Unione Sovietica si deve in primo luogo alla penuria di abitazioni, ma non soltanto. I condomini costruiti negli anni Venti dagli architetti costruttivisti si basavano sul principio della condivisione degli spazi vitali da parte di più famiglie. L'idea era appunto quella di sostituire al principio borghese della casa privata, dello spazio familiare, una casa allargata. La propaganda di partito esaltava lo spazio pubblico, le riunioni di partito e di fabbrica, il tempo libero nelle case del popolo, le vacanze nei lager del partito per i più giovani. La politica sembrava avere stabilmente occupato la sfera pubblica per proporre un'immagine armoniosa ed efficiente del mondo comunista: così facendo, l'aveva privata di senso.

Lo spazio vitale delle persone si è nel tempo sempre più ristretto fino a prendere la forme delle loro cucine, dei loro appartamenti. Solo qui diventava possibile un linguaggio diverso. Ed è solo attraverso un'archeologia delle cucine, delle case, che si può ritrovare quello che la cultura e la vita russa ha creato e salvato dalla forza delle acque in questi anni. La gente qui è abituata a non credere ai giornali, alle parate, ai discorsi ufficiali. È abituata a pensare che i discorsi che si fanno dentro casa sono diversi da quelli che si fanno fuori. Per questo è più interessante mettere la testa dentro ai palazzi e alle case che non guardarli da fuori, anche se da fuori possono colpire per la loro imponenza.

 

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