Rivista "IBC" X, 2002, 1
Dossier: Scienze e natura al Salone di Ferrara
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, dossier /
Dal 4 al 7 aprile, negli spazi espositivi del Salone ferrarese del Restauro, l'IBC organizza la mostra "Saluti dal Glaciale": attraverso la presentazione dei ritrovamenti fossili rinvenuti a Settepolesini di Bondeno (Ferrara) saranno restituite le immagini a grandezza naturale dei giganti che popolavano la nostra pianura durante l'ultima glaciazione. Questa è la storia di quei reperti_
Se da Ferrara si va verso Bondeno seguendo la strada Diamantina, una stretta striscia di asfalto in mezzo ai campi, prima di raggiungere il canale artificiale Cavo Napoleonico si attraversa un piccolo paese, Settepolesini. Appena dopo l'ultima casa colonica, sulla sinistra, si può ammirare un grande specchio lacustre che si è formato, in oltre vent'anni, per opera della laboriosa attività estrattiva di una cava di sabbia.
Nel 1997 la bocca della draga, che aspira acqua e sedimento a venti metri di profondità, in falda, si bloccò. Fu necessario portarla in superficie e, con meraviglia degli operai, estrarre un grande osso che, incastrato, ostruiva l'imboccatura. Si capì subito che doveva essere qualcosa di eccezionale, per le dimensioni dell'osso e il suo grande peso. Il reperto venne quindi portato all'Università di Ferrara affinché i paleontologi lo potessero determinare. Si trattava di una grande porzione di bacino di un Mammut lanoso.
Allertati dalla scoperta, in breve tempo gli operai raccolsero altre ossa fossili e, grazie alla sensibilità dei proprietari della cava, i signori Orpelli, e all'autorizzazione della Soprintendenza archeologica, fu possibile accendere una convenzione fra il Comune di Bondeno, che si impegnò finanziariamente, e il Dipartimento di scienze della terra dell'Università di Ferrara, che mise a disposizione uno specialista, per seguire i lavori di estrazione della sabbia, recuperare e studiare tutto il materiale che veniva alla luce.
Oggi Settepolesini, con oltre quattrocento resti ossei raccolti, è diventato il più ricco giacimento a vertebrati della pianura e sta fornendo una grande quantità di dati sugli ultimi cinquantamila anni di storia della Bassa Padana.
Le ossa raccolte appartenevano ad animali che hanno abitato la pianura in più momenti dell'Ultimo Glaciale e dell'Olocene, il periodo in cui viviamo. Si tratta, oltre al Mammut (Mammuthus primigenius), del Rinoceronte lanoso (Coelodonta antiquitatis), un grande pachiderma artico diffuso in Asia nei periodi glaciali del Quaternario e giunto anche in Europa alla fine del Pleistocene medio. L'animale di cui si è raccolto il maggior numero di parti scheletriche di vari individui è il Bisonte delle steppe (Bison priscus), il progenitore del Bisonte americano e di quello europeo. Una specie, ben rappresentata da frammenti cranici, è il Megacero (Megaloceros giganteus), un cervo gigante dagli imponenti palchi palmati oggi scomparso. Vi sono anche resti di un ungulato non più presente in Italia, l'Alce (Alces alces), caratteristico oggi dei corsi e specchi d'acqua della foresta del nord, la taiga. Sono state trovate ossa di altri animali quali il Cervo nobile (Cervus elaphus), il Capriolo (Capreolus capreolus), il Cinghiale (Sus scrofa), il Cavallo (Equus ferus), il Lupo (Canis lupus), l'Orso bruno (Ursus arctos) e il Castoro (Castor fiber). Fra i resti raccolti vi sono pure un parietale, una mandibola e una scapola umani.
I reperti sono contenuti in un sedimento fluviale sabbioso che è completamente immerso in acqua di falda e la draga lavora a circa venti metri di profondità, alla base della scarpata di scavo, portando in superficie tutto il materiale rimescolato. Uno scavo stratigrafico in queste situazioni, senza sapere se vi siano reperti proprio nel punto in cui si agirebbe, è improponibile, per i costi troppo elevati e per la scarsa probabilità di trovare materiale fossile. Per questa ragione si preferisce, per il momento, recuperare il materiale fossile in cantiere, dove arriva direttamente dallo scavo, e separarlo meccanicamente dalla sabbia e dall'acqua, assieme a ghiaia e a blocchi di argilla.
Per conoscere l'età dei reperti si fanno eseguire, su prelievi di qualche grammo di campione, datazioni al radiocarbonio in centri attrezzati allo scopo. Le ossa di alcuni animali e dell'uomo sono così state datate nel Laboratorio della Beta Analytic Inc. di Miami in Florida e di Oxford in Gran Bretagna, che hanno fornito i risultati riportati nella tabella.
Fino ad ora sono stati documentati tre momenti del Würmiano medio (Pleistocene superiore, Ultimo Glaciale), compresi in un lasso di tempo di circa venticinquemila anni, in cui la pianura era abitata da mammut, rinoceronti lanosi, cavalli, bisonti, megaceri (cervi giganti dagli imponenti palchi palmati), alci, lupi, orsi e castori. I resti più antichi appartengono al megacero e al rinoceronte lanoso (circa cinquantamila anni fa), quelli di mammut, assieme ancora a megacero, sono intermedi (circa trentacinquemila anni fa) e altri ancora di megacero sono i più recenti di questo lungo periodo (circa venticinquemila anni fa).
Una fase di circa dodicimila anni fa, assegnata al Tardoglaciale, il periodo della deglaciazione, è rappresentata da resti di bisonti, mentre l'Età romana è segnalata da cervi, cinghiali, caprioli, da faune domestiche e dai resti di un uomo (vedi tabella).
Tabella delle datazioni radiometriche
CAMPIONE | SPECIE | ETA' |
Beta-128160 | Mammuthus primigenius | 33930 +/- 700 By Present (BP) |
Ox A-10521 | Mammuthus primigenius | 35800 +/- 500 BP |
Ox A-10496 | Mammuthus primigenius | 38550 +/- 550 BP |
Beta-128161 | Megaloceros giganteus | 32160 +/- 720 BP |
Ox A-10497 | Megaloceros giganteus | 33700 +/- 350 BP |
Ox A-10520 | Megaloceros giganteus | 25000 +/- 180 BP |
Ox A-10498 | Megaloceros giganteus | 51300 +/- 2000 BP |
Ox A-10522 | Coelodonta antiquitatis | 49100 +/- 2300 BP |
Beta-128159 | Bison priscus | 13400 +/- 70 BP 2σ Cal.16584-15641 BP |
Beta-133862 | Homo sapiens sapiens | 1850 +/- 40 BP 2σ Cal. 1875-1700 BP |
Beta-148560 | Homo sapiens sapiens | 1850 +/-40 BP 2σ Cal.1880-1700 BP |
Poiché le analisi al radiocarbonio hanno costi elevati sono stati datati al momento solo i resti di alcuni animali. Per conoscere quali fossero le associazioni faunistiche di cui facevano parte questi animali i ricercatori sono ricorsi alle conoscenze di altre faune, provenienti da giacimenti coevi, relativamente vicini e ben studiati. Si tratta di siti in ripari sotto roccia o in grotte della fascia collinare o pedemontana veneta ed emiliana. Particolare attenzione è stata rivolta quindi alle faune bolognesi della Cava Filo e della Cava Fiorini sul Monte Croara, esposte al Museo di San Lazzaro di Savena, o quelle della Grotta del Farneto in Val di Zena, conservate nel Museo civico archeologico di Bologna, e molti dati sono stati presi da giacimenti del Vicentino e del Veronese.
Ulteriori informazioni che permettono di arricchire il quadro ambientale, parzialmente documentato dalle faune, sono state ricavate dalle analisi polliniche eseguite in sedimenti pleistocenici ed olocenici di pianura. Dagli studi sui reperti di Settepolesini, sulle faune coeve di altri giacimenti padani e sulle sequenze vegetazionali ricavate dagli spettri pollinici, si è già potuto tracciare un quadro, ancora non definitivo e incompleto, ma già di grande interesse, su quante evidenze conservi questo giacimento per la ricostruzione della storia della Val Padana degli ultimi cinquantamila anni.
Sono state documentate, al momento, tre fasi climatiche fredde e relativamente umide del Würmiano medio, che hanno favorito la formazione di una "steppa-taiga a mammut" nell'area di pianura, estesa a tutto l'Alto Adriatico allora emerso. È la prima volta che in Italia è segnalata questa biocenosi fossile, dominata, fra i grandi mammiferi, dal bisonte in presenza di mammut, rinoceronte lanoso e megacero.
Una successiva fase sempre fredda ma particolarmente arida, che risale al Tardoglaciale, fornisce evidenze per una steppa povera in nutrienti. Le aree riparie dei corsi d'acqua erano certamente ricoperte di vegetazione arborea che offriva rifugio e cibo a qualche ungulato come l'Alce, ma la gran parte della pianura doveva avere una copertura erbacea discontinua, per l'appunto un'arida steppa, che permetteva la vita a branchi di animali poco esigenti come i bisonti. Per ora a Settepolesini solo questi ungulati sono stati segnalati, confermando il momento di crisi biologica corrispondente alla fase ormai terminale dell'Ultimo Glaciale.
Una fase molto temperata e relativamente umida, di età romana, è ben rappresentata da animali selvatici forestali come il cinghiale, il capriolo e il cervo. Il fitto bosco di caducifoglie, con lecci e altre essenze arboree, era molto diffuso in pianura, però andava riducendosi perché l'uomo lo distruggeva per creare spazi per il pascolo degli animali domestici e per i campi da coltivare. I resti di maiali, ovicaprini, buoi e cani sono, in questo periodo, quelli più numerosi.
Gran parte degli animali selvatici presenti a Settepolesini erano già stati trovati sporadicamente lungo il corso del Po e dei suoi affluenti, ma nessun giacimento alluvionale aveva restituito tante specie e in particolare nessun sito aveva documentato in modo soddisfacente il popolamento faunistico di pianura.
Molti giacimenti di grotta delle aree pedemontane o intramontane, contenenti i resti di caccia e di pasto dell'uomo del Paleolitico, hanno fornito documentazioni degli animali che vivevano nel passato. I loro resti sono spesso numerosi ma sempre frammentari. I giacimenti di pianura, invece, hanno solitamente restituito carcasse intere di animali trasportate dai fiumi e quindi finite sul fondo in punti di stanca. Si tratta però di resti di uno o di qualche animale, non di decine o centinaia. Inoltre, proprio per loro natura, i sedimenti fluviali vanno incontro anche ad erosione e quindi ciò che viene deposto e ricoperto in un momento, in uno successivo viene eroso e distrutto.
Il sito di Settepolesini è particolare per aver favorito ripetutamente, in momenti diversi dell'Ultimo Glaciale, la deposizione di numerose carcasse di animali, e per aver conservato le ossa, spesso intere, senza che ne avvenisse la successiva erosione e quindi la distruzione. Questa fatto eccezionale dovrebbe essere collegato alla presenza nell'area di Settepolesini di un alto strutturale denominato Dorsale Ferrarese, che è più o meno direttamente responsabile di fenomeni tellurici, terremoti e conseguenti riassestamenti del suolo, che devono aver favorito la formazione di punti di stanca di corrente ripetuti nel tempo (meandri, rami morti ecc.) e la sottrazione dei sedimenti all'erosione. Quest'area, infatti, ha subìto anche in età storica le maggiori variazioni dei corsi d'acqua del territorio ferrarese.
La documentazione, durante il Würmiano medio, dell'arrivo da est di due pachidermi artici, il Mammut e il Rinoceronte lanoso, è di grande importanza paleobiogeografica. La loro presenza infatti conferma che la Pianura Padana è stata anche durante l'Ultimo Glaciale un punto d'incontro fra una bioprovincia europea sud-occidentale e una orientale, balcanico-pannonica.
In un congresso internazionale sugli elefanti, tenuto a Roma nell'autunno 2001, sono stati presentati i primi risultati di questa ricerca, che hanno suscitato un particolare interesse per la presenza di una fauna di steppa-taiga a Mammut e Rinoceronte lanoso e per la segnalazione molto recente del Megacero, venticinquemila anni fa, in un'area così meridionale d'Europa. Oggi, grazie ai ritrovamenti di Settepolesini di Bondeno, le prime evidenze del territorio, che risalivano al tardo Neolitico, permettono di ricostruire anche quanto è avvenuto durante l'Ultimo Glaciale. Questo giacimento quindi deve essere considerato di grande importanza non solo per l'Italia ma per la comunità scientifica internazionale.
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