Rivista "IBC" X, 2002, 1
mostre e rassegne
Bologna e Reggio Emilia hanno offerto un tributo doveroso e significativo alla memoria della Shoah, l'evento che ha determinato il momento più drammatico della storia occidentale, segnando un punto di non ritorno, una deriva incolmabile di non senso. Un evento che oggi rischia l'oblio, non si sa se per superficialità o per una ancor più preoccupante strategia politica, che vorrebbe eludere la significanza storica dell'olocausto proponendo una storiografia di revisione che restituisce della storia solo uno sviluppo lineare e uniforme, senza memoria dei suoi collassi, dei momenti di cecità.
È per scongiurare questo rischio che il 27 gennaio, giorno della memoria, Bologna ha dedicato alla Shoah una lunga e rappresentativa rassegna cinematografica, una tre giorni integralmente dedicata alla proiezione di documentari realizzati attraverso la memoria dei superstiti di famiglie ebree deportate, materiali cinematografici che costituiscono oggi un documento scientifico e storico di grandissimo rilievo, finalmente approdati in Italia. Il programma si è dunque addentrato in un territorio doppiamente impervio: perché di per sé irrapresentabile e perché lacerato da un doppio movimento: la restituzione di un momento storico che si fa luogo della memoria, del ricordo e il ribaltamento che fa dei luoghi e delle immagini scansione della memoria, del tempo, del divenir segno e corpo della storia.
La rassegna ha esordito con la proiezione di Notte e Nebbia di Alain Resnais, il grande classico del 1955, primo film di riflessione su questo "punto di non ritorno", in cui è la tragedia della modernità a risuonare come nel grido soffocato di Munch. Notte e Nebbia rappresenta non il culmine, ma solo l'inizio di una produzione cinematografica lontana dalla storiografia falsificata del cinema di uno Spielberg, indulgente spesso ad una facile retorica, che non può costituire né documento storico, né rappresentare la realtà della vicenda del "buco nero" in cui è caduta la modernità. Altra documentazione preziosa è quella costituita dalla mostra in passaggio a Palazzo Magnani di Reggio Emilia, "Memoria dei Campi. Fotografie dei campi di concentramento e di sterminio nazisti. 1933-2000". L'allestimento, curato da Pierre Bonhomme e Clément Chéroux, è stato coprodotto da quattro centri espositivi europei: il Patrimoine Photographique di Parigi, Palazzo Magnani di Reggio Emilia, il Fotomuseum di Winterthur e il Museo Nazionale d'Arte della Catalogna di Barcellona. Già presentata a Parigi e Winterthur, la mostra, patrocinata dall'IBC, dopo Reggio Emilia sarà a Barcellona e infine a Ginevra.
L'esposizione si divide in tre sezioni. "Il periodo dei campi (1933-1944)", costituita da centoventicinque immagini, molte delle quali poco note, presentate su due schermi nei quali vengono proiettati rispettivamente video ricavati dalle fotografie della propaganda nazista e da quelle scattate illegalmente nei campi dalla resistenza. "L'ora della liberazione (1945)": ottantasette fotografie realizzate da fotoreporter professionali (Lee Miller, Margaret Bourke-White, George Rodger, Eric Schwab, Germaine Krull), da ignoti amatori e da membri degli eserciti francese, inglese, americano, sovietico nel momento della liberazione dei campi. "Il tempo della memoria (1945-2000)": novantanove fotografie di autori contemporanei che coprono il periodo dalla fine della guerra ai nostri giorni: i luoghi, i sopravvissuti, gli oggetti conservati nei campi, le immagini d'archivio riutilizzate.
Tutte queste immagini - anche quando registrano, come nel caso delle foto segnaletiche che i nazisti scattavano ai nuovi arrivati nei campi, i tratti di un volto, colto nella fissità disperata di chi forzatamente entra in un luogo e tempo "altri" ("il vuoto assoluto senza spazio e senza tempo" di cui parla Stefan Zweig) - ci affidano una memoria dolorosa e irreversibile, che segna anche la condizione del diverso destino con cui misurare nella memoria una distanza; quella condizione non fu nostra e i sopravvissuti sembrano legati a noi dalle parole di Nelly Sachs: "Noi superstiti, / stringiamo la vostra mano, / riconosciamo i vostri occhi / ma solo l'addio ci tiene ancora uniti, / l'addio nella polvere / ci tiene uniti a voi".
Un altro percorso nella memoria storica lo ha offerto il Teatro Valli di Reggio Emilia, che nella rassegna di "Recitar poetando" ha inserito Radio Clandestina di Ascanio Celestini. L'attore ha ricavato il monologo dal libro di Alessandro Portelli L'ordine è già stato eseguito, che ricostruisce attraverso interviste l'attentato di Via Rasella e la rappresaglia che costò la vita a trecentotrentacinque persone, i martiri delle "Fosse Ardeatine". Attraverso il libro di Portelli, che raccoglie anche questa volta le testimonianze dei sopravvissuti, delle donne che andarono a cercare i loro mariti sepolti da tonnellate di terra in una cava sull'Ardeatina, dei nipoti che raccontano la vicenda di famiglie colpite anch'esse dalla crudeltà dell'Olocausto, Celestini rimette insieme una memoria fatta di documenti storici finalmente restituiti nella realtà del loro accadimento. La storia che ci hanno raccontato è quella rovesciata di chi aveva già eseguito quell'"ordine" ancor prima che i presunti colpevoli della rappresaglia di Via Rasella potessero costituirsi. Una vicenda che va ancora oggi ripercorsa, nella direzione giusta, perché sia letta correttamente e correttamente conservata nella nostra memoria.
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