Rivista "IBC" X, 2002, 1

musei e beni culturali / restauri

In Palazzo Bovio Silvestri Montebugnoli, a Bologna, ha sede la Soprintendenza per i beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna, che fa parte dell'IBC. Qui nell'agosto scorso sono cominciati i restauri degli affreschi settecenteschi realizzati dal pittore Ubaldo Gandolfi e dal quadraturista Serafino Barozzi. All'introduzione storico-artistica di Elisabetta Landi, Antonella Salvi fa seguire l'analisi tecnica dell'intervento.
Nella Sala degli Dei

Elisabetta Landi
[IBC]
Antonella Salvi
[IBC]

Tra i capolavori della decorazione bolognese della seconda metà del Settecento, le sale di palazzo Bovio Silvestri, quindi Montebugnoli, costituiscono un'importante testimonianza della produzione di Ubaldo Gandolfi (San Matteo della Decima, 1728 - Ravenna, 1781) e del quadraturista Serafino Barozzi (Bologna, 1735-1810), autori degli affreschi nella Sala degli Dei e nella Sala di Bacco, sedi attuali della Soprintendenza per i beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna. Allo stesso ciclo appartiene il soffitto con Apollo e Cronos, realizzato questa volta in collaborazione con il prospettico David Zanotti (Bologna, 1733 - 1808) in una stanza contigua abitata dai proprietari.

L'impresa, menzionata nella guida bolognese del 1776, fu eseguita per i marchigiani marchesi Bovio Silvestri, tra i committenti di Ubaldo, che per loro incarico dipinse opere destinate alla chiesa di Santo Spirito a Cingoli. In particolare le nozze di Antonio Bovio Silvestri con Giulia Lambertini avrebbero determinato il rinnovamento delle sale nobili dell'edificio nel 1771. Questa nuova acquisizione, introdotta dall'Elogio manoscritto di Serafino Barozzi, recuperato agli studi da Domenico Medori e Silvia Medde nel 2001, anticipa di qualche anno l'esecuzione dei lavori, già ricondotti dalla critica ad un periodo ricompreso tra il 1774 e il 1775, confortando inoltre la datazione al 1770 del bozzetto per gli affreschi della sala dell'Apollo e Cronos ipotizzata da Angelo Mazza. Del resto già nel 1773 alcune delle stanze in questione risultavano a buon punto, se non addirittura ultimate, stando all'Informazione alli forestieri. pubblicata a Bologna nel 1773.

A quelle date il pittore Ubaldo Gandolfi figurava, insieme al fratello Gaetano, tra i protagonisti della svolta del gusto che a partire dagli anni Sessanta del secolo ravvivava i modelli del classicismo bolognese con innesti dalla pittura veneziana e più ancora con la conoscenza dell'arte europea. L'aggiornamento e la qualità dell'invenzione, espressi con rapidità esecutiva non comune, si leggono soprattutto nelle sovrapporte a monocromo della stanza d'ingresso, perduto o quasi per le ridipinture il volo di putti serrato entro la rigorosa quadratura della volta. I due riquadri incorniciati dagli stucchi mistilinei, opere di Giuseppe Borelli, narrano la Storia del pastore Argo addormentato e ucciso da Mercurio, su ordine di Giove, per liberare la ninfa Io, tramutata da Giunone in sembianze animali.

Lo stesso mito, di grande fortuna nell'iconografia profana di quegli anni, fu ripetuto in una serie di sei tele per palazzo Marescalchi, due delle quali conservate al North Carolina Museum of Art di Raleigh. Una versione ulteriore di Mercurio che induce al sonno il pastore Argo, si trova all'Akademiska Foreningen di Lund, in Svezia, prima con l'attribuzione ai van Loo e poi col riferimento ad Ubaldo, proposto da Pierre Rosenberg per affinità con disegni di uguale soggetto riconosciuti all'artista. Sul cornicione, putti a monocromo alludono con attributi simbolici ai ritratti di Minerva, Diana, Marte e Mercurio raffigurati entro medaglioni e ricordati dall'Oretti. Riferimenti pregevolissimi alle teste di carattere che il bolognese produsse, immettendo la poetica degli affetti di memoria carraccesca nel gran solco della ritrattistica europea.

Nella sala successiva il tema del Trionfo di Bacco fanciullo raffigurato sul soffitto viene ripreso in quattro sovrapporte a grisaglia, dove gruppi di putti inscenano la Vendemmia, la Pigiatura dell'uva, la Danza bacchica e l'Ebbrezza del bacchino entro gli stucchi delle incorniciature rocaille. Uno svolgimento maturo dell'ispirazione veneziana espressa dieci anni avanti con i bambini grassocci delle Quattro stagioni di palazzo Segni, a conferma dell'avvenuto "cangiamento" in direzione di uno sperimentalismo capace di innervare nuove forme nella pittura locale. Lo si scorge nella morbidezza del modellato e nella brillantezza della tavolozza con la quale il pittore dà forma a un'immaginativa sbrigliata, librando l'allegoria oltre la balconata sospesa dal quadraturista Serafino Barozzi.

Qui nemmeno un'architettura, ma una ringhiera leggiadra, pretesto all'appendersi di tralci, viluppi, drappi preziosi. Un allentamento dei rigori della quadratura che proprio il Barozzi decretava a Bologna collaudando, con trame leggere, il nuovo gusto antibarocco. Soppiantate le architetture complesse, vanto della prospettiva locale, sono erme, trofei, fiorien plein air, tripodi, vapori, gli elementi del nuovo repertorio. Una sorta di Luigi sedici nostrano, si potrebbe ipotizzare per confronto con le arti ornamentali e una risposta, personalissima e originale, ad una moda di respiro europeo che Barozzi conobbe e interpretò per Caterina II alla corte di San Pietroburgo (1764-1770). La novità delle sue imprese - decorazioni alla cinese, motivi floreali, grottesche alla "Raffaelle", per il Palazzo d'Inverno e per l'Oranienbaum - gli valse l'aggregazione all'Accademia Clementina (1771) e l'ammirazione della città natale, ormai aperta al neoclassicismo. Complice, nel caso, il nuovo clima inaugurato da Giovanni Gioacchino Winckelmann nel suo passaggio a Bologna e rafforzato dal cenacolo culturale trainante avviato dal teorico e architetto Carlo Bianconi.

Dopo l'esordio in palazzo Gini (1772) è nei tralicci aerei di palazzo Bovio che Serafino, autorevole e intransigente come lo descrivono le fonti, proseguì con convinzione la sua opera di rinnovamento, qui anticipando la maniera "gaia e capricciosa" espressa in edifici di Forlì, di Ravenna, di Rimini e Faenza e negli affreschi di Bologna, dove lasciò, per gli Zani, i Marescalchi, i Pallavicini, gli Hercolani e gli Aldini, straordinarie testimonianze del suo composito gusto fiorito.

 

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All'approfondimento storico-artistico che con precisione ci racconta dell'autore, Ubaldo Gandolfi, e della datazione (1771-1774) degli affreschi del piano nobile di Palazzo Bovio Silvestri, ora Montebugnoli, è interessante far seguire un breve resoconto relativo all'intervento conservativo recentemente ultimato alle pertinenze del soffitto della sola Sala degli Dei. L'interesse risiede non solo nell'analisi delle tecniche conservative opportunamente utilizzate, ma anche nella conoscenza di quelle "notizie" che l'intervento stesso rivela, dal momento in cui, come spesso accade e questo caso non fa eccezione, la storia conservativa degli affreschi non è altrimenti documentata se non dalle evidenze riscontrate in corso d'opera sugli affreschi stessi.

La decisione di avviare lavori conservativi al soffitto della Sala degli Dei appariva non rinviabile nel tentativo di recuperare per quanto possibile le pregevoli figure del Gandolfi incorniciate dalla rigorosa quadratura del Barozzi: un affresco importante perché, come ci conferma la Landi, documenta i primi esempi di un più colto classicismo bolognese proprio di quegli anni.

Il preoccupante stato di degrado del soffitto, causato per lo più da infiltrazioni di acque meteoriche di antica e di recente data provenienti attraverso la copertura sovrastante, è stato infatti segnalato all'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna dalla stessa Soprintendenza per i beni librari e documentari, che attualmente ha sede in quel piano. L'Istituto, a seguito di un attenta valutazione, d'intesa con la Soprintendenza per i beni architettonici di competenza e con la proprietà dell'immobile, rappresentata da Luigi Montebugnoli, ha deciso di promuovere e finanziare i lavori conservativi, affidati nell'agosto 2001 a gara conclusa al Laboratorio Officinarte s.n.c. di Bologna.

Le deteriorate condizioni dell'affresco che copre una superficie di circa sessanta metri quadrati, differenti a seconda delle zone, hanno comportato un'analisi attenta, capace di stabilire le operazioni più idonee: le infiltrazioni di acqua, succedutesi anche a distanza di decenni, avevano attivato, soprattutto nella zona sovrastante la finestra, un processo di solfatazione con conseguente degrado dell'intonaco. E non solo. Come ha evidenziato la restauratrice del Laboratorio: "L'intonaco stesso presentava problemi di adesione inter e intrastrato, nonché problemi di coesione materica, che ovviamente si riflettono sul film pittorico; quest'ultimo, a sua volta, presenta esfogliazioni, polverulenza e alterazioni cromatiche". Inoltre è interessante aver rilevato quanto "le vaste ridipinture in un soffitto originalmente dipinto a calce" abbiano pregiudicato "la resa cromatica sia nella quadratura del Barozzi che nelle figure del Gandolfi".

Questa sorta di radiografia dello stato conservativo degli affreschi prima dell'intervento era visibilmente riscontrabile, a differente grado di gravità, in ogni lato della sala e nel soffitto stesso: il lato raffigurante Mercurio con il cappello a larghe tese sovrastato da due putti con il caduceo presentava notevoli distacchi, sollevamenti e polverulenza della superficie pittorica; le figure, l'architettura e gli elementi floreali apparivano inoltre interessati da rilevanti rifacimenti. Situazione conservativa sostanzialmente simile è quella che caratterizzava il lato raffigurante la dea Diana con la luna sul capo sovrastata da due putti che reggono l'arco e le frecce. Maggiormente interessati dal degrado erano invece il lato raffigurante la dea Minerva con l'elmo sovrastata da due putti che impugnano l'egida e la lancia e, soprattutto, il lato che raffigura il dio Marte con l'elmo sovrastato da due putti che reggono lo scudo e la spada: sono i lati che hanno maggiormente sofferto il processo di solfatazione originato dalle infiltrazioni d'acqua con il conseguente distacco e decoesione dell'intonaco e della pellicola pittorica e successive alterazione cromatiche. Entrambi i lati, nonché il soffitto con cielo e putti in volo, sono attraversati da una ampia fessurazione che ha determinato la perdita della cromia originale; le architetture, gli elementi floreali e il busto di Marte hanno subìto ampi rifacimenti; la dea Minerva presentava invece ritocchi pittorici di scarsa importanza, dai quali è poi stata liberata, che coprivano la cromia originale.

Non deve sembrare ovvio accennare al fatto che, preliminarmente all'avvio delle operazioni di restauro tout court, si è prudentemente proceduto all'eliminazione delle principali cause di degrado: da una parte la sicurezza che la proprietà prevedesse lavori di consolidamento della copertura, per scongiurare future infiltrazioni; dall'altra la verifica dello stato conservativo della volta. Solo a quel punto è "partito" il restauro vero e proprio, eseguito con mere finalità conservative, che ha previsto una serie di operazioni in successione obbligata: l'azione sulla superficie della decorazione è stata effettuata con la rimozione delle polveri con gomme morbide, con l'eliminazione meccanica dei sali e con l'asportazione di alcune ridipinture - ogniqualvolta era possibile intravedere la decorazione originale - mediante spugnature inumidite con acqua distillata e acetone; l'azione sul consolidamento dell'intonaco e del colore ha previsto l'utilizzo di resina acrilica in soluzione acquosa tramite iniezioni e per nebulizzazione. Alla rimozione delle vecchie stuccature, ormai prive di qualsiasi forza coesiva, ha fatto seguito un'attenta operazione di stuccatura delle lacune e delle crepe con l'utilizzo della Polyfilla pigmentata. In ultimo è stata eseguita su tutte le stuccature una leggera velatura cromatica per armonizzare, con integrazioni tonali, le zone stuccate e quelle dipinte.

Di solito a restauro concluso si avanzano possibili letture circa la realtà riscontrata: in questo caso le vaste lesioni precedentemente stuccate e gli ampi rifacimenti riscontrati fanno avanzare l'ipotesi, molto probabile, di problemi statici ai quali si è sovrapposta una possibile antica infiltrazione d'acqua di portata tale da aver probabilmente reso necessario un "restauro" estetico generale, eseguito non certo in maniera eccellente.

Confidiamo nella generosità dei posteri affinché non venga giudicato con la stessa severità il restauro conservativo recentemente ultimato. E comunque siamo convinti che gli affreschi eseguiti dal pittore bolognese settecentesco Gandolfi, nella Sala degli Dei come in quelle ad essa attigue, meriterebbero un ulteriore sforzo inteso a completare i lavori conservativi: un attento intervento estetico capace di restituire agli affreschi per quanto possibile la forza e l'intensità originali.

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