Rivista "IBC" IX, 2001, 4

musei e beni culturali / convegni e seminari, media

Fermate le IT!

Maria Pia Guermandi
[IBC]

Nello scorso settembre si è svolto a Milano "ichim01 - International Cultural Heritage Informatics Meeting" (http://www.ichim01.polimi.it/); questa sesta edizione del convegno biennale era intitolata "Cultural Heritage and Technologies in the Third Millenium". Si tratta di uno degli appuntamenti più importanti nell'ambito dell'applicazione delle nuove tecnologie ai beni culturali, organizzato dalla società americana leader nel settore, ovverosia Archives and Museums Informatics (http://www.archimuse.com/conferences/ichim.html), e per la prima volta ospitato in Italia a riconoscimento dell'evoluzione che tale settore ha conosciuto anche nel nostro paese per iniziativa soprattutto di alcuni poli di ricerca: fra questi il Politecnico di Milano, più precisamente il Dipartimento di Elettronica, coorganizzatore di questa edizione (http://hoc115.elet.polimi.it/hoc/home.asp). Contestualmente al convegno è stata inoltre presentata l'edizione completa degli atti, parzialmente consultabili online: al di là dei numeri pur di per sé significativi (oltre trenta paesi rappresentati, decine e decine di progetti) l'edizione di quest'anno ha assunto grande rilievo perché per la prima volta si cercava di discutere su così ampio respiro e in tutti gli aspetti il tema dell'applicazione delle information technologies (IT) ai beni culturali in ambito italiano.

Alla storia degli studi appartiene ormai l'edizione pisana organizzata dalla Scuola normale superiore e dal J. Paul Getty Trust nel 1984 ("Second International Conference on Automatic Processing of Art History Data and Documents") e si può ben affermare che i progetti allora presentati avevano, in larghissima parte, ancora un carattere di sperimentazione e di prototipo. Basta in effetti scorrere i titoli delle rispettive sezioni dei convegni (quelli pisani e quelli milanesi) per rendersi conto di quanto mutato sia il panorama. Negli anni Ottanta l'accento era posto sui problemi di elaborazione di banche dati e larga parte della discussione teoretica investiva gli aspetti di normalizzazione del lessico.

Da alcuni anni ormai è noto a tutti che le tecnologie della multimedialità e delle networking communications hanno di fatto monopolizzato il campo delle applicazioni anche nel settore dei beni culturali. Le tecnologie di rete sembrano avere obliterato alcuni dei problemi del passato, legati alla definizione di architetture rigide e totalmente predefinite e, dal punto di vista del trattamento dei dati, rappresentano un progresso decisivo verso il superamento della necessità di standardizzazione a priori e della intercomunicabilità fra sistemi diversi, spostando di fatto l'attenzione verso gli aspetti comunicativi della ricerca.

Ad introduzione di uno dei panels conclusivi delle varie giornate, ovvero dei momenti di discussione collegiale - vero punto di forza del convegno milanese - alla domanda collettiva posta dal moderatore su che cosa ci aspettiamo dalle nuove tecnologie per il futuro e cosa vorremmo che facessero per il settore dei beni culturali la risposta che ha riscosso la più divertita, ma al contempo convinta unanimità di consensi è stata la provocazione di Len Steinbach, presidente del Museum Computing Network e responsabile dell'informazione per il Cleveland Museum of Art: "Vorrei che si fermassero".

Da sempre l'evoluzione degli strumenti informatici ha costretto noi "umanisti" a rincorse spesso affannose e difficilmente conciliabili con i tempi e le modalità di tanta parte della ricerca. La sensazione che comincia ad affacciarsi in molti utenti - umanisti e non - è che molti progetti e realizzazioni, spesso impegnativi per risorse impiegate, non siano adeguatamente "sfruttati" e rimangano sostanzialmente sottoutilizzati perché costretti a ridefinirsi o considerati superati dal punto di vista tecnologico, ancor prima di aver raggiunto una maturità evolutiva, pur se nel frattempo hanno condotto comunque a risultati importanti per quanto riguarda l'avanzamento della ricerca.

Questo aspetto dell'applicazione delle nuove tecnologie è stato spesso superficialmente accantonato come un effetto certo indesiderato, ma secondario rispetto ad altri riscontrabili sul piano metodologico o di espansione della ricerca. In realtà la continua accelerazione delle tecnologie viene a costituire essa stessa un elemento determinante del rapporto con i beni culturali: usare certi mezzi significa dover pensare non alla costituzione di monumenti perenni e stabili nel tempo, ma a sistemi che evolvono in continuazione e non solo negli aspetti più intrinsecamente informatici (il software, i linguaggi di programmazione), ma anche per ciò che concerne l'organizzazione dei contenuti e le modalità cognitive, fino a coinvolgere le stesse metafore dello spazio e del tempo.

Un'altra conseguenza di questa accelerazione è costituita dalla mancanza di modelli di riferimento stabili e consolidati: l'avvento di una nuova tecnologia è caratterizzato da una fase di apparente anarchia epistemologica, nella quale la sperimentazione asistematica precede il momento di normalizzazione. Le sistematizzazioni metodologiche rischiano però di rappresentare delle costruzioni a posteriori e devono sforzarsi, per poter divenire dei modelli efficaci, di mantenere un carattere fortemente dinamico a costo di rinunciare ad un più elevato grado di definizione (ma ci sarebbe la tentazione di usare il termine scientificità). In sostanza la fase di riflessione più squisitamente teorica e metodologica rischia di venir oscurata dall'accelerazione tecnologica: il pericolo è che in questo modo siano gli strumenti a divenire fine e non mezzo della ricerca e che le esigenze intrinseche di quest'ultima siano oscurate o demandate all'infinito.

Alla luce di queste considerazioni appaiono quindi ancora più importanti le giornate milanesi, all'interno delle quali hanno trovato spazio anche queste esigenze di riflessione: ricordiamo in particolare le sessioni intitolate "Building a new culture" e "Data models". Fra le non numerose proposte elaborate in ambito metodologico ricordiamo, in particolare, quella del gruppo di ricerca del Dipartimento di Elettronica del Politecnico di Milano coordinato da Paolo Paolini e Franca Garzotto (gli organizzatori italiani della manifestazione milanese), che con il W2000 model intende presentare un modello o meglio la sistematizzazione, adattata ai nuovi strumenti comunicativi, di modelli precedenti delle IT, in un contesto rinnovato e arricchito: un framework per elaborare realizzazioni web avanzate in tutti i loro aspetti. Una delle applicazioni del W2000 model è costituita dal nuovo sito IBC, presentato durante le giornate di "ichim01".

Se, in ogni caso, il tentativo di elaborare dei modelli di riferimento si sta affacciando solo tentativamente e solo negli ultimi tempi, molto più corposa appare invece la riflessione dal punto di vista sociologico e di psicologia cognitiva: in questi settori, anzi, gli ultimi anni hanno conosciuto un'esplosione della ricerca. L'analisi sociologica e cognitivista sulle IT può ormai perfino spingersi nel riconoscimento di diverse "scuole" di pensiero: si pensi ai lavori di Meyrowitz, de Kerckhove, Rheingold e, in ambito nostrano, Maldonado e Antinucci, per non citare che in maniera disordinata.

Per quanto riguarda Francesco Antinucci, anzi, occorrerà segnalare come la sua lucidissima analisi sia stata applicata specificamente al rapporto nuove tecnologie - beni culturali mettendo in rilievo gli aspetti innovativi che a livello di modalità cognitive gli strumenti ipermediali potrebbero introdurre: in particolare nella fruizione del bene culturale musealizzato.

"ichim01" ha registrato puntualmente anche questi aspetti nella sessione denominata "society/impact", all'interno della quale i vari relatori hanno evidenziato, ad esempio, il carattere di trasformazione che comunque l'uso delle IT tende a imporre alle rappresentazioni delle arti visive. Queste stesse tecnologie possono però rivelarsi uno strumento straordinariamente efficace nel risolvere sia il problema della rappresentazione di culture "altre" - rappresentazione non intesa come semplice illustrazione di un insieme di oggetti giustapposti, ma come comunicazione delle regole attraverso le quali questi oggetti si relazionano -, sia l'esigenza di ricostruire, rendere leggibile il punto di vista "interno" (un antropologo potrebbe definirlo "emico") dei protagonisti "produttori" di questa cultura altra.

Naturalmente non sono mancati gli effetti speciali: al convegno milanese sono stati presentati anche moltissimi progetti tecnologicamente avanzatissimi e straordinari, soprattutto per quanto riguarda le realizzazioni ascrivibili al settore della realtà virtuale. Le sperimentazioni di immersive environments, con il grado di interattività che riescono a proporre, permettono ormai all'utente un'esplorazione nel campo culturale con livelli di "partecipazione", veramente sorprendenti anche se problematici - in quanto inesplorati - dal punto di vista cognitivo.

A ribadire il carattere non solo di vetrina di progetti, ma di vero e proprio laboratorio, il convegno è stato preceduto da due intense giornate dedicate ai tutorials, ovverosia i seminari a numero chiuso dedicati all'illustrazione di strumenti e tecnologie quali l'XML o di specifiche tematiche: dalle librerie digitali alla strutturazione di siti museali complessi e alla loro valutazione sistematica. Quest'ultimo progetto di ricerca, che mira alla definizione di una metodologia di valutazione della web usability delle elaborazioni ipermediali di ambito museale, vede coinvolti oltre al Politecnico di Milano (per quanto riguarda l'ambito informatico), e all'Università di Lugano (per quanto riguarda gli aspetti di scienza delle comunicazioni), l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, che coordina una serie di istituzioni museali bolognesi sugli aspetti più specificamente museologici.

Insomma un'occasione da non perdere, purtroppo non sfruttata a sufficienza dalle istituzioni culturali italiane: a parte ovviamente i gruppi di ricerca universitari, ma per lo più di ambito informatico, oltre all'IBC - che ha presentato in questa occasione la nuova versione del proprio sito web, elaborata sulla base di una nuova metodologia implementativa - ricordiamo solo il Museo della scienza e della tecnica di Milano. Se le occasioni di dibattito e di confronto non possono che essere sempre positive, in questo settore assumono un carattere di necessità ed ineludibilità, soprattutto se vedono la partecipazione di tanti fra i protagonisti internazionali delle applicazioni della multimedialità ai beni culturali. Semplicemente sono mancati i "padroni di casa", ovvero le istituzioni del cultural heritage italiano: se pure la mancanza rimane difficilmente risarcibile, speriamo si sia trattato di una distrazione momentanea.

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