Rivista "IBC" IX, 2001, 4
territorio e beni architettonici-ambientali / inchieste e interviste, storie e personaggi
Sono oltre tremila le immagini di farfalle raccolte in più di trenta anni di lavoro da Roberto Villa, un entomologo bolognese. Immagini inconsuete accompagnate da ricche schede esplicative, compilate dallo stesso studioso, e da testi sulla biologia e l'evoluzione di questi animali ad opera di Marco Pellecchia. Grazie all'interesse ed al lavoro dell'IBC, in particolare di Giovanni Pesce, questo straordinario materiale è ora visibile su Internet e in CD per un viaggio in un microcosmo... macroscopico. Abbiamo incontrato Roberto Villa nella sua casa bolognese e gli abbiamo chiesto come è nata questa passione per le ali più variopinte del mondo naturale.
Fin da ragazzino, già alle elementari, ero affascinato da tutti i piccoli esperimenti che ancora oggi si è soliti fare a scuola: il bicchiere con l'acqua, il foglio di carta che non cade... Poi un giorno, a quell'epoca, salta fuori una collezione di figurine, di quelle che si staccavano come francobolli. Non erano dei calciatori: certo, c'erano anche quelle, ma queste che ricordo raffiguravano degli animali. Tra queste meravigliose figurine, assieme al koala e a tanti altri, c'erano anche un paio di tavole dedicate alle farfalle...
Forse suonerà banale ma a me le farfalle sono sempre sembrate belle. Quelle esotiche poi! Basti pensare alla varietà dei colori... e non ci sono mai degli accostamenti sbagliati! A volte mi chiedo come riesca la natura a fare sempre degli accostamenti così precisi, senza fallire mai; mi chiedo pure se sia la natura che li azzecca sempre o se siamo noi che guardandola abbiamo affinato il nostro gusto e imparato ad apprezzare proprio quegli accostamenti.
Quando sono passato alla prima media la scuola si reggeva soprattutto sul latino: basti pensare che in quella classe non c'era neppure l'insegnamento delle scienze. Pur avendo un bravissimo insegnante, un latinista esperto, il suo interesse per questi argomenti era molto scarso. Comunque: più o meno in quell'epoca uscì un manualetto Hoepli che spiegava come raccogliere le farfalle, imbalsamarle e metterle da parte. Ricordo che aveva un bella copertina azzurra... Me lo feci regalare e cominciai con qualche coetaneo mio amico a fare questo giochino.
Sempre a proposito di libri: ricordo anche l'annuario Zanichelli, che spiegava come raccogliere gli insetti ed incollarli con le zampettine su dei cartoncini, per seccarli in posizione. Anche questo libro mi ha aiutato un po' e sono andato avanti così. Dopo qualche anno avevo già una discreta collezioncina: oggi comprende specie che in Italia ho trovato io per la prima volta! All'inizio, insomma, ho cominciato per puro divertimento, poi è subentrato un interesse più scientifico. D'altra parte, quando si cominciano a raccogliere scatole e scatole di esemplari, se non ci si costruisce una ricerca sopra è inutile, cosa serve? In fin dei conti per guardare una farfalla basta andare al museo...
La casa di Villa è disseminata di fotografie grandi e piccole del suo soggetto preferito. Mi dice che le ha fatte lui: gli chiedo come è nata questa seconda passione, e in che modo si lega a quella originale.
È stato nel '67, quando ho cominciato a diventare un po' più critico nei confronti della mia collezione. Allora, quasi a volermene distanziare, ho cercato di documentarla fotograficamente. Mio padre faceva fotografie da anni, stampavamo le foto in casa. Se ci ripenso mi accorgo che a volte si verificano delle misteriose coincidenze... Lui fotografava con la lente ed io mi dilettavo coi cannocchiali, e poiché li facevo da me avevo a disposizione diversi obiettivi. Una volta con uno di essi volle provare a fare un teleobiettivo: alla fine, tanto per riassumere, unendo le nostre conoscenze e le nostre passioni imparammo a costruire delle macrofotografie fatte in casa. La prima che saltò fuori credo sia stata quella di un bruco.
Le prime foto di uova di farfalle le facevo con un microscopio. O meglio: avevo un microscopio ed una monoreflex, ma siccome non c'era profondità di campo e bisognava diaframmare, allora mettevo a fuoco, smontavo la macchina, con una pinzetta calavo una rondella sull'ultima lente dell'obiettivo, rimontavo la macchina e scattavo la fotografia. Poi ho trovato altri sistemi...
Ho scattato fotografie che a livello europeo non si facevano ancora, non con lo stesso ingrandimento: immagini di uova, di larve (le mie preferite), di farfalle... Una volta, per esempio, ho fotografato un uovo deposto libero, di quelli cioè che vengono lasciati cadere e dove vanno vanno. Sono riuscito a tenerlo sospeso in posizione orizzontale in cima ad uno spillo molto molto sottile, tagliato e spianato in modo che non forasse l'uovo. A ripensarci mi sembra il gesto di una specie di prestigiatore.
Heidegger ha detto: "Potrebbe essere proficuo staccarsi dall'abitudine di star ad ascoltare soltanto quello che risulta subito chiaro" ma forse è anche vero che potrebbe essere divertente staccarsi dall'abitudine ad ascoltare soltanto quello che risulta già noto, poiché "noto" e "noia" possono essere compagni. Ecco allora che diventano più pregnanti le parole di Villa quando dice che inizialmente la sua ricerca era il puro divertimento di un bambino tramutatosi solo più tardi nello studio di un appassionato ricercatore. E si scopre così che dalla "semplice" raccolta di farfalle egli è passato allo studio della flora e della fauna, della storia e della geografia.
La mia raccolta comprende soprattutto farfalle italiane ma ne ho anche di giapponesi e di americane, perché bisogna tenere conto della diffusione a macchia d'olio della fauna: quella paleartica arriva fino al Giappone, mentre quella olartica copre anche il Nord America, dal momento che questo è stato l'ultimo brandello di terra ad allontanarsi dall'Eurasia. È per questo che ci sono forti collegamenti tra le diverse specie di piante e di animali. Molte farfalle, ad esempio, si cibano di un solo tipo di pianta, tanto che spesso per trovare un determinato esemplare basta cercare la pianta di cui si ciba. È il caso dell'ortica: molte farfalle vivono grazie ad essa e sono le più belle, come la Vanessa. Per lo stesso motivo, se quella pianta o quelle piante vengono a mancare, si rischia anche la scomparsa delle farfalle. Per fortuna della Vanessa l'ortica è difficile da eliminare...
Esiste poi la farfalla che vive in città, e a questo proposito, qui a Bologna, c'è un piccolo mistero. Se si va in giro per la città nella stagione giusta si può vedere una di queste farfalle posata sui muri di mattoni: l'ho trovata persino sulla Garisenda. Ce ne sono due forme: una chiara, che è incapace di sopravvivere all'inverno e che torna fuori in primavera, posandosi sui muri caldi, ed una scura, più resistente al freddo perché è capace di riscaldarsi meglio. Evidentemente resiste anche all'inquinamento cittadino... Ebbene: questa specie vive soprattutto sull'erba parietaria e il fatto che non la troviamo tanto facilmente in campagna, ma soprattutto in città o in collina dove si trovano le cave di gesso, mi fa supporre che forse è qua sin da quando Bologna è stata costruita. Forse si è inurbata quando ancora la città confinava con la campagna ed era ancora molto simile ad essa: non c'erano riscaldamenti eccessivi, non c'erano molte case. Può darsi che qui abbia trovato questa pianta, la parietaria, scoprendo un ambiente adatto: è un'idea un po' romantica ma non credo che sia del tutto campata in aria.
Di sicuro non è campato in aria il nesso tra farfalle e beni culturali. Un solo esempio: non è a una specie di falena, la Bombyx mori, nota come il baco da seta, che si deve tanta parte dell'economia bolognese e non solo, almeno fino al Settecento? Il capoluogo dell'Emilia-Romagna deve persino il nome di uno dei suoi portici più famosi, il Pavaglione, al francese papillon, farfalla, poiché qui si teneva il commercio dei bozzoli da seta. E il termine "cultura" non deriva forse, attraverso vari passaggi, dal latino colere, coltivare: coltivare un terreno perché produca frutti o, in senso figurato, esercitare, educare, rendere produttiva la mente, l'ingegno, l'arte o le scienze?
Che poi altro non è che quello che ha fatto Villa in tutti questi anni: coltivare una passione, alimentandola con lo studio, la pratica, l'inventiva, trasformandola in un bene per la comunità di studiosi e non. Una ricerca privata, dunque, è divenuta una conoscenza alla quale chiunque può attingere, grazie anche ai nuovi sistemi offerti dalla tecnologia. Ma per chi, come Roberto Villa, si è portato dall'infanzia una passione tanto grande, trent'anni possono non essere ancora abbastanza, anzi c'è da augurarsi che siano solo l'inizio.
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