Rivista "IBC" IX, 2001, 2

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / convegni e seminari, pubblicazioni

Ravenna, terra di archeologia industriale

Massimo Tozzi Fontana
[IBC]

Ravenna è certamente una delle città dell'Emilia-Romagna più ricche di storia industriale e anche più attente alla valorizzazione delle testimonianze materiali del lavoro del passato: lo testimonia il volume Architettura e archeologia industriale, che raccoglie gli atti del convegno svoltosi a Ravenna il 23 maggio 1997. La pubblicazione è promossa dall'Amministrazione provinciale di Ravenna che già in precedenza aveva dato alle stampe una bella ricognizione fotografica, curata da Italo Zannier, dal titolo Viaggio nell'archeologia industriale nella provincia di Ravenna (Ravenna, Longo, 1996). Queste iniziative acquistano importanza a misura che manca un vero e proprio rilevamento sistematicamente condotto su scala regionale, così come è stato realizzato in Umbria, iniziato in Sardegna e in Veneto e, precocemente, anche se non capillarmente, in Lombardia. In realtà in questo campo come in altri relativi alla storia del lavoro, al riconoscimento della dignità di bene culturale non ha quasi mai corrisposto l'avvio di un censimento sistematico e aggiornato in permanenza, lavoro duro e ripetitivo, poco remunerato e poco visibile, ma senza il quale non si dà alcuna strategia seria di recupero e valorizzazione. Sarebbero necessari uffici appositi preposti allo svolgimento di attività ordinaria di catalogazione. Purtroppo la realtà è diversa, anche se non mancano positivi esempi. Penso all'Umbria e alla Sardegna.

Il patrimonio industriale emiliano-romagnolo è oggetto di indagine nella pubblicazione dell'Ente Regionale per la Valorizzazione Economica del Territorio Fabbriche abbandonate e recupero urbano (Bologna, 1989), nella quale viene presentato un censimento delle aree urbane abbandonate dall'industria, una superficie consistente allora in oltre quattro milioni di metri quadri, per aprire il dibattito sul loro possibile riuso. Oggi, passati dodici anni, sarebbe interessante verificare lo stato dell'arte e analizzare le nuove tendenze in corso o già chiaramente delineate. L'analisi dei casi internazionali presentati nei primi capitoli di quel volume rivelava già la tendenza affermata in città come Londra e Berlino al riuso abitativo o di luogo di lavoro per artisti, fotografi, pittori o creatori di moda, di vecchie fabbriche o depositi industriali, tendenza a poco a poco diffusasi qua e là in Italia (Biella, Torino, Milano) e che sarebbe interessante verificare nelle città dell'Emilia-Romagna.

Ciò detto il volume ravennate rappresenta un notevole passo avanti nella conoscenza del patrimonio ravennate e, più in generale nella riflessione sugli approcci metodologici alla conoscenza dell'"archeologia industriale". Di primo acchito va detto che risulta ancora una volta che quest'ultima non è ancora, e probabilmente non sarà mai, una disciplina autonoma, debitrice com'è dalla storia dell'arte - basti il nome di Eugenio Battisti, che per primo ha introdotto la nozione e l'interesse in Italia - dalla storia e dalla pratica architettonica e in misura minore, ma significativa, dalla storia economica, sociale e delle tecniche. Queste "discipline costitutive" restano di fatto separate, come rileva Paolo Fabbri nel suo saggio, che apre la sezione dedicata all'analisi storica, pur con una prevalenza, dichiarata apertamente già nel titolo del volume e del relativo convegno, del punto di vista architettonico e, più in generale, delle tracce del passato industriale visibili nel territorio.

Ancora nel saggio di Fabbri appare un acuto accenno al "mascheramento" dell'invecchiamento di tante fabbriche e del superamento della tecnologia che in esse si attuava, operato "dal protezionismo, dall'autarchia, dalla guerra, dalle contingenze della ricostruzione" fino agli anni Sessanta del Novecento. Importante è anche il rilievo circa la necessità di una periodizzazione rigorosa quando si propone al pubblico in qualsiasi forma la conoscenza del patrimonio industriale. L'osservazione può essere agevolmente estesa alla pratica museografica in atto presso molte raccolte di oggetti del lavoro contadino, nei quali una nozione indistinta di "passato", confortata dalla lunga durata delle pratiche agricole e dei modi di vita almeno fino al secondo dopoguerra, non favorisce la consapevolezza dello spessore storico-temporale.

Accanto alle riflessioni epistemologiche e di metodo - sulla metodologia di intervento del progettista in architettura sono importanti le conclusioni di A. De Poli - il volume è ricco di contributi che descrivono e analizzano esempi di riuso, di valorizzazione o di museificazione, tanto in ambito internazionale (M. Negri, A. Massarente), quanto in ambito ravennate. A. Pedna, nella sezione del volume dedicata alla progettazione architettonica, presenta alcuni esempi di progetti e programmi di riqualificazione di siti industriali dismessi nella provincia di Ravenna, evidenziando la delicata problematicità di intervenire con la doverosa consapevolezza di rispettare la memoria storica dei siti e degli edifici. Molti altri contributi presentano casi relativi al Bergamasco, a Venezia, nonché all'importante progetto del museo archeologico di Classe nel complesso dell'ex zuccherificio (M. Vittorini).


Architettura e archeologia industriale, a cura di G. Gardini, Atti del convegno di studi, Ravenna, 23 maggio 1997, Provincia di Ravenna, 2000, 74 p., s. i.p.

 

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