Rivista "IBC" IX, 2001, 1
Dossier: Restauri a palazzo
musei e beni culturali, dossier /
Nobili dimore e case-museo
Di solito per caratteristiche e valenze i due termini sono assai distanti: la casa è la negazione del museo moderno quale luogo che isola ed esalta le opere astraendole dal contesto di appartenenza ed imponendo loro un ordinamento sistematico, comprensibile e fruibile dai più; la casa è per eccellenza il luogo naturale, privato ed originario, di collocazione delle opere d'arte, con le quali vivere in un contatto quotidiano: il luogo di sedimentazione degli oggetti storici e della memoria. La casa-museo, negli esempi migliori e ben intesi, può mettere in crisi questa antinomia e invitare a qualche riflessione.
Certamente le case-museo sfuggono quei pericoli a cui va incontro il museo sistematico tipico dell'epoca moderna e di cui avvertiva André Chastel: esaltando l'opera e l'oggetto in sé, creando "oggetti erratici [...] abbiamo creato dei talismani preziosi per mantenerci svegli, ma con un rischio: che un'accumulazione monotona ne annulli a poco a poco la virtù".1 Pericolo sventato quando "grazie a una sorta di incastro esemplare, la collezione s'iscrive nell'edificio che la città riveste". Cosa che vale per la maggior parte dei musei italiani - a cui Chastel si riferiva - inseriti in contesti architettonici e urbani storici, e che vale al massimo grado per la casa-museo. In fondo sono osservazioni vicine a quanto già scriveva nel 1944 Mario Praz, il professore di letteratura inglese amante, collezionista e studioso appassionato degli interni domestici e degli arredi, un precursore nella sua attenzione alle tematiche del gusto dell'abitare e delle case-museo (la cui casa romana peraltro Chastel frequentava). Delle case-museo Praz coglieva la peculiarità e diffidava, con senso critico all'epoca raro, dalle "imitazioni": "Un preconcetto diffuso associa invariabilmente la freddezza al carattere d'un museo. Ove le cose son catalogate, hanno numero d'inventario, sono assicurate ai muri o protette dai cordoni sicché qualche malintenzionato visitatore non rubi o non sciupi, ivi a giudizio comune è morte e cimitero. Classificati in vetrine, oggetti simili in compagnia di oggetti simili, per belli che siano ne svanisce ogni profumo, ne esula ogni incanto: l'ordine logico sopprime l'alone fantastico. Onde la tendenza moderna di presentare i musei come appartamenti arredati, e le curiose trovate di Wilhelm R. Valentiner, consulente di collezionisti americani, che cercava di rendere vive le sale dei musei con colpi d'occhio pittoreschi [...]. Codesti espedienti sanno alquanto di bric-a-brac [...]. Altra cosa da tali fittizi arredamenti sono le case arredate divenute musei".2
Ma se è vero che la casa è la negazione del museo sistematico, è pur vero che la casa ha una valenza museale intrinseca e costituisce il precedente più diretto del museo. Caratteristiche, queste, sia delle dimore antiche che di quelle più recenti, sia di quelle ricche e prestigiose che di quelle più modeste. Le antiche gallerie per le statue e le sale ai piani nobili che presentavano la quadreria e le collezioni preziose di famiglia sono gli antecedenti diretti dei musei. Ma più estesamente, ed anche in casi di minor prestigio collezionistico e sociale, ogni casa assolve ad una vita di relazioni domestica e pubblica per la quale gli oggetti vengono creati, conservati ed esposti da chi abita secondo valori di affezione: per mantenere un legame con il passato e la storia, per manifestare il proprio status, gusto e preferenze culturali. In questo "vero paradiso degli oggetti" - come scrive Cesare De Seta a proposito della casa - "a seconda dei livelli sociali, culturali ed economici esiste una diversa natura di oggetti: ma in ogni casa, anche la più povera, si registra questo processo di museificazione degli oggetti".3
La casa quindi, e con essa la casa-museo che riesca a non perdere la dimensione di dimora vissuta, è il "museo naturale", il luogo in cui cogliere l'arte e la storia nelle loro manifestazioni più accostanti e domestiche, e di fruirle nella forma più vicina a quella originaria. Le case-museo sono luoghi ideali di confine e permeabilità tra l'eccezionalità del museo e la quotidianità della casa.
L'Emilia-Romagna presenta un panorama piuttosto ricco e vario di questi musei. A fianco infatti di un caso piuttosto raro quale quello imolese (un palazzo abitato per secoli da una famiglia della nobiltà locale divenuto museo integralmente e senza sostanziali modifiche) sono presenti altre diverse tipologie di casa-museo.
Dalle abitazioni di letterati o personaggi insigni, che hanno nei ricordi e cimeli legati alla vita e alla produzione degli illustri abitanti il fulcro maggiore di interesse (basti citare Casa Carducci a Bologna, o Villa Verdi, o Il Cardello di Alfredo Oriani a Casola Valsenio) si arriva ai due esempi ferraresi di case rinascimentali, Casa Romei e la Palazzina di Marfisa d'Este, che presentano ancora l'architettura e la suddivisione degli spazi di abitazioni signorili quattrocinquecentesche con soffitti e brani di affreschi originali ma che sono, nel primo caso, completamente senza arredi e, nel secondo, con arredi reperiti sul mercato antiquariale al fine di rievocare gli interni di una dimora cinquecentesca.
Il territorio parmense offre i due casi delle rocche di Fontanellato, con la famosa saletta del Parmigianino, e di Soragna, proprietà dei principi Meli Lupi che la aprono regolarmente al pubblico. Si tratta di due esempi ben conservati di architettura militare e residenziale che in parte presentano ancora integra la veste originaria degli interni, come accade nell'appartamento nobile della rocca di Soragna, con stucchi, dipinti, mobili intagliati e dorati e stoffe della seconda metà del XVII secolo e inizio del XVIII.
Un caso singolare è costituito dalla Civica Galleria Parmeggiani di Reggio Emilia, un esempio di quel particolare tipo di casa-museo costituito dalle abitazioni di collezionisti (famosi sono i musei Poldi Pezzoli e Bagatti Valsecchi a Milano) in cui predomina la dimensione espositiva delle opere d'arte, mentre sono ancora abitate dai proprietari.
Infine un esempio parallelo, ma assai diverso da palazzo Tozzoni, il palazzo Milzetti a Faenza, divenuto Museo nazionale dell'età neoclassica nel 1979. Commissionato anch'esso da una famiglia dell'aristocrazia locale quale immagine del proprio potere e prestigio, è caratterizzato dagli affreschi e stucchi eseguiti e progettati da Felice Giani. Rari, in questo insieme neoclassico di alta qualità e coerenza, gli arredi superstiti: il palazzo faentino fu venduto non appena terminato e non venne quasi mai abitato, prevalendo ben presto sulla funzione abitativa la fama dei suoi affreschi e la valenza "museale" di luogo da visitare. Un destino assai diverso da quello del palazzo imolese, che non conobbe mai cicli decorativi della qualità di quelli faentini, ma che fu lungamente vissuto dalle generazioni della famiglia Tozzoni, registrando le mutazioni di gusto e conservando in gran parte mobili, suppellettili, stoffe e quadreria voluti dai suoi abitanti.
Negli ultimi anni un'attenzione e una consapevolezza nuove sono maturate in Italia circa l'importanza e la specificità delle case-museo. Si sono tenuti convegni sull'argomento e le ex dimore reali stanno conoscendo un momento di particolare vitalità, a cui ha dato il via l'esperienza pionieristica di studio, restauro e riallestimento degli appartamenti reali di palazzo Pitti, riaperti nel 1993 dopo quasi vent'anni di lavori.
Operare in musei che sono stati dimore private, come è stato notato, impone attenzioni particolari: la pratica consueta della conservazione e dello studio delle singole opere non può essere disgiunta dalla tutela di quell'insieme fragile e complesso costituito dal sommarsi delle "cose", dalle personalità degli antichi proprietari, dai percorsi e dagli usi originari degli spazi, dalla memoria degli avvenimenti storici accaduti, dalla forte impronta lasciata sugli oggetti dal mutare nel tempo di gusti, esigenze, disponibilità economiche. Il tutto, spesso, calato su di un patrimonio di manufatti estremamente vari per tipologia, materiali ed epoca.
A questo delicato equilibrio - il solo che assicura di poter conservare la dimensione di dimora ed il valore di luogo autentico e vissuto - bisogna dedicare la massima cura nella prassi museale: dagli interventi di restauro alla corrente manutenzione, fino alle necessità determinate dall'introduzione del pubblico (didascalie e apparati informativi, percorsi, dispositivi di sicurezza, illuminazione).
È quanto si è cercato di fare in palazzo Tozzoni con successivi interventi di restauro a partire dal 1995. Una prima tranche ha interessato gli ambienti a piano terra dell'ala est ai quali, pur privi di arredi, è stata però restituita l'immagine di appartamento domestico scoprendo e ripristinando le vecchie e semplici decorazioni parietali e le incorniciature delle porte settecentesche. In questa ritrovata veste si sono rivelati cornice ideale per ospitare incontri e approfondimenti attorno a preziosi o rari oggetti delle cosiddette arti applicate. Una seconda tranche di restauro è stata quella, giunta ora al termine, dedicata all'appartamento barocchetto al piano nobile. Le tre stanze, terminate nel 1738 e volute dai conti Tozzoni quale appartamento di rappresentanza, sono state restaurate in toto (decorazioni parietali e stucchi, arredi e dipinti) e riarredate sostanzialmente con la guida dell'inventario settecentesco. È inoltre in corso un intervento sulle cantine dell'edificio, mirato al restauro e alla catalogazione dei beni demoantropologici che qui sono conservati ed allo studio delle denominazioni ed usi setteottocenteschi dei vari ambienti di servizio.
Ma il cantiere proseguirà, a fianco dell'approfondimento necessario della conoscenza, col restauro di altre parti del complesso e col progetto di nuove iniziative, restando attenti a salvaguardare lo spirito delle antiche stanze abitate dai conti Tozzoni.
Note
(1) A. Chastel, L'Italia, museo dei musei, in Capire l'Italia. I musei, Milano, TCI - Touring club italiano, 1980, pp. 13-14.
(2) M. Praz, La filosofia dell'arredamento, Milano, Longanesi, 1981, p. 34.
(3) C. De Seta, Oggetto, in Enciclopedia, IX, Torino, Einaudi, pp. 1015-1016.
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