Rivista "IBC" IX, 2001, 1
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / interventi
Cultura? Volontariato? Riflessioni ed esperienze
Quello del volontariato, infatti, è un tema rischioso, perché è qualcosa di cui è molto facile ragionare a voce alta (per esempio in un qualsiasi convegno, sia esso politico, sanitario, universitario, o, perché no?, dedicato alle nuove tecnologie) o su una pagina scritta, magari facendo ricorso al salvagente espressivo di un qualche gergo tecnico: della sociologia, dell'etica, dell'imprenditoria, dei super eroi, degli angeli.
Anche per questa apparente docilità tematica, quando si parla in termini generali di volontariato converrebbe sempre prendere le mosse da alcune definizioni preliminari e il più possibile circostanziate, oppure dalla descrizione appropriata di ogni singolo nucleo di volontari preso in esame. In questo caso mi limito a ricordare due cose.
La prima è che nel nostro tempo il volontariato, quello laico come quello legato alle forme più antiche dell'assistenza confessionale, va inteso anche come parte di un più grande fenomeno economico. Anzi, che è proprio come tale, cioè come intervento diretto della cittadinanza nella gestione della cosa pubblica e come tipo a sé di economia, a metà tra pubblico e privato - nel "terzo settore", appunto, o "non profit" - è proprio come tale, dicevo, che il volontariato ha esercitato il maggiore influsso sul pensiero sociale contemporaneo e sulle proposte della politica (basta pensare al successo di concetti ormai comuni come "sussidiarietà" o "mercato sociale").
La seconda è che dire "volontario" significa indicare una cosa che è insieme molto precisa e molto sfumata. È precisa perché designa una parte ben definita di questo terzo settore (che oltre ai volontari conta anche le fondazioni, le cooperative sociali e vari tipi di associazioni). È sfumata perché, in fondo, il volontariato è una rete che pesca un po' ovunque, non selettiva per classe o provenienza, in cui restano impigliate, di solito, molte di quelle persone che nutrono un interesse sincero per il proprio mondo e che possiedono un senso di responsabilità attiva nei confronti dei cosiddetti "beni comuni", i quali possono essere il diritto all'assistenza, quello allo sport, o, anche, la cultura e l'ambiente.
Detto questo però, non bisogna dimenticare che se un giornalista o un dirigente del non profit vi parleranno subito di "organizzazioni non lucrative" o di "legge quadro", non sentirete quasi mai queste parole sulle labbra dei volontari attivi. Se chiedete a loro "come va", è più facile che vi rispondano che il tale "non chiude mai a chiave l'associazione", che "c'è troppo fumo in sala soci", o un laconico "neanch'io vengo pagato, e allora?". Ma ora, chiedendo scusa per l'apparente pedanteria, vengo al fatto.
Come dicevamo la Croce Blu di Modena (che, con la provincia modenese, in questo articolo avrà solo il valore di un esempio tra gli altri) è riuscita a mettere in piedi un progetto di grandi dimensioni e destinato ad essere molto visibile e riconosciuto in città. Avendo pensato di affiancare alle normali attività di assistenza e servizio a domicilio l'apertura di un centro diurno per anziani, l'associazione ha deciso di risistemare una vecchia casa che si affaccia sulla parte ancora strettamente urbana della via Giardini, dotandosi così della nuova struttura necessaria.
Vanno sottolineate, oltre al grande sforzo energetico che ha richiesto e richiede la raccolta fondi, da una parte la capacità e l'indipendenza organizzativa di questo gruppo di volontari, degne di un'amministrazione pubblica o di un'impresa privata, dall'altra la spregiudicatezza costruttiva che ha portato l'associazione a preferire a un semplice recupero dello stabile il disegno di un vero e proprio progetto architettonico da cui, a lavori conclusi, uscirà, sempre secondo la logica proficua del riuso, un edificio praticamente nuovo. Tale insieme di caratteristiche, togliendo luogo a ogni retorica, lascia pensare che, nato da un bisogno (quello di uno spazio nuovo per gli anziani), questo edificio costituirà davvero una porzione di città acquisita e riprogettata dai suoi più normali abitanti, o, almeno, da una parte di essi.
Ora, però, proviamo a chiederci cosa sta dietro e al fianco di un luogo come questo, quali difficoltà, quali tipi di impegno e di intelligenza, quali obiettivi. Anche perché sembra che esistano almeno due modi in cui il volontariato interagisce con la cultura. Uno è la proposta delle proprie culture, ovvero delle proprie forme di collaborazione e interazione sia con le persone che con i problemi, l'altro sono i risultati visibili e fattuali delle proprie azioni che, sempre più, al modo del nuovo centro modenese, penetrano come agente attivo nelle dinamiche locali della società, civile ed economica, e non solo in quelle quotidiane ma anche in quelle a medio e lungo termine.
Forse non a caso, le parole che abbiamo raccolto da Anna Bulgarelli, il presidente della Croce blu, sembrano proprio radicarsi nell'esperienza di chi, ogni giorno, vive come in un punto di contatto con quello che succede intorno: "Io credo che quello del volontariato debba essere un 'fare pensando', ovvero che noi dobbiamo essere produttivi e creare sempre più possibilità di partecipazione ma senza cadere mai nella semplice soddisfazione data dall'essere volontario. Chi, come noi, lavora gratis deve senz'altro esserne soddisfatto ma guai a fermarsi lì. Per esempio, la nostra associazione, come altre, è ormai qualcosa di molto maturo, una realtà più che decennale e con centinaia di volontari attivi, ma la cosa più importante resta quella di utilizzare le nostre attività e i nostri servizi per comprendere quali debbano essere le forme nuove dell'impegno altruistico".
Anche il nuovo centro anziani (il "centro nonni", come comincia a chiamarsi in città) entra in una dinamica di questo tipo. "Piano piano" - continua la Bulgarelli - "negli anni Novanta, facendo i nostri trasporti, che sono più di duecentocinquanta al giorno, ci siamo accorti che emergeva un dato. Incontravamo sempre più nuclei famigliari composti da persone sole e piuttosto avanti con gli anni. Per questo ci siamo informati, abbiamo contattato i comitati degli anziani, altre associazioni, istituzioni e così via. Di qui sono nati prima dei centri territoriali, molto radicati nei quartieri ma anche molto precari, e poi l'idea di una soluzione più duratura e accogliente. Vicino alla nostra sede c'era questa vecchia casa e, visto che era possibile, abbiamo deciso di farci carico della sua riconversione in centro diurno, in un posto, quindi, dove sia possibile soprattutto creare delle occasioni di relazione, un servizio leggero ma necessario".
Nel racconto sembra tutto molto lineare, ma in realtà, come sanno bene i volontari e come chiarisce in conclusione la Bulgarelli, "le difficoltà sono innumerevoli, e non sono tanto quelle legate ai soldi, che nella nostra regione, lavorando molto, si possono trovare; la difficoltà è, in primo luogo, quella di interagire efficacemente tra noi volontari, di discutere e capirsi. Dopo di che, nel mondo del volontariato, bisogna assolutamente passare al lato pratico, al limite cercando la fortuna con l'audacia".
Ogni volta che si fa interagire il volontariato con l'idea di cultura (o anche solo con la parola), è sempre molto interessante notare quanto questi due concetti si impastino tra loro, al punto che, in certi casi, non si saprebbe dire se il volontariato sia una delle culture che ci circondano, o se sia un prodotto della cultura della nostra epoca; se, nell'espressione tanto spontanea e ormai diffusa di "volontariato culturale", si accostino solo due sinonimi, o se l'uno specifichi l'altro (ma quale dei due?). Radicalizzando sinceramente la questione, insomma, si finisce per approdare a una risposta che non soddisfa del tutto perché troppo inclusiva: quella per cui l'uno e l'altra diventano, in fondo, due modi, o categorie, semplici e fondamentali dell'agire, specificate, di volta in volta, dalle singole situazioni.
L'esempio offerto dalla Croce Blu di Modena è, in questo senso, perfetto. All'apparenza aprire un nuovo centro anziani non è un fenomeno strettamente culturale. Ma se poi si assume la prospettiva della cittadinanza? Se si va a vedere il ruolo che il centro assumerà nella vita delle persone che lo usufruiranno? Se si considera anche solo il nuovo oggetto costruito o le attenzioni e le intelligenze che hanno spinto alla sua ideazione? È solo una forzatura parlare di cultura?
A questo proposito, alcune informazioni e prospettive molto importanti ci vengono suggerite da Chiara Rubbiani, direttrice del Centro servizi per il volontariato di Modena, che ci ricorda, anzitutto, il fatto che "nella legge quadro 266 il volontariato viene definito a chiare lettere come un'attività organizzata, prestata in modo personale, gratuito e spontaneo ed esclusivamente per fini di solidarietà". A un primo sguardo, quindi, "non sembrerebbe esserci uno spazio specifico e riconosciuto per associazioni che intendano porsi su un piano propriamente culturale. È vero però, almeno in Emilia-Romagna, che quando nel 1996 si è trattato di applicare quella legge raccogliendo i dati necessari alla costituzione del Registro regionale del volontariato si è pensato di aggiungere un settore dedicato specificamente ai volontari impegnati in attività culturali, e diverse associazioni si iscrissero. Tra le altre, nella nostra provincia, mi viene in mente quella di Savignano sul Panaro, la Borgo Castello, composta da volontari anche molto preparati che hanno portato avanti attività di promozione e ricerche sulla cultura locale".
Pure secondo la Rubbiani, però, deve essere sempre più sottolineato anche l'altro portato culturale del volontariato, ovvero, la diffusione sul territorio di una cultura della mediazione, il ruolo di avanguardia nella ricezione dei problemi: "A mio parere negli ultimi anni i volontari sono stati un po' troppo assorbiti dal loro servizio; occorre ripensare al ruolo del volontariato come anticipatore ed esempio di cittadinanza attiva".
In effetti l'esempio offerto dalla Borgo Castello è piuttosto interessante e permette di sbirciare in un altro modo di fare dei volontari. Nata nel 1991 per iniziativa dei savignanesi Maurizio Rossi e Claudio Gibertini, l'associazione ha come proprio fine l'organizzazione di una festa storica che si tiene ogni anno con grande successo sul finire dell'estate e che rievoca le cerimonie cortesi e la cultura medievale di Savignano, riportando per due giorni il paese ai suoi fasti trecenteschi. Normalmente, iniziative come questa, tra cultura locale e turismo, vengono promosse dalle amministrazioni pubbliche, mentre in questo caso tutta la gestione viene curata da un gruppo di volontari molto eterogeneo.
"La prima cosa che mi sento di notare" - ci ha detto Antonio Scagliarini, volontario dell'associazione - "è che si è creato un doppio nodo di appartenenza. Da una parte i volontari sentono l'associazione come una cosa davvero di loro proprietà, perché all'inizio, quando c'era da rischiare, da lavorare e anche da sostenere delle spese, lo facevamo di tasca nostra; in secondo luogo la festa si è profondamente radicata nella cittadinanza. Se tocchi a un savignanese la sua festa, sono guai". Anche la formula organizzativa interna dell'associazione è interessante: i soldi raccolti durante la festa servono a coprire le spese e ciò che rimane viene dato in beneficenza, in modo che ogni anno il gruppo riparte da zero. "Oltre alla festa, che è il nostro progetto di base" - conclude Scagliarini - "durante l'anno ci occupiamo anche di altre cose, sempre legate al nostro borgo medievale, come la pulizia del verde, le informazioni ai turisti durante il week end o la cura dei gradoni nella Piazza d'armi".
Gli spunti e le implicazioni suggerite da simili esperienze sono molto variegati e rilevanti, tuttavia, nel nostro caso, anziché provare a seguirli, conviene fare ancora un passo in questo mondo e toccare brevemente un'altra delle sue pieghe culturali più complesse, quella del servizio civile, che rappresenta uno snodo centrale di tutte le tendenze che abbiamo appena visto.
L'ingresso nelle associazioni di volontariato dei ragazzi che prestano servizio civile, infatti, è un fattore determinante sia per il ruolo culturale svolto dalle stesse associazioni, sia per lo sviluppo culturale interno dei gruppi di volontari. Come spiega Fausto Casini, vicepresidente della Conferenza nazionale degli enti di servizio civile, "anche volendo lasciare da parte il valore formativo di questo tipo di servizio per i giovani che lo esercitano, che resta uno dei temi fondamentali, la sua forza più profonda è la capacità di mantenere viva la dialettica generazionale e la circolazione delle idee all'interno delle associazioni, non solo del volontariato ma di tutto il terzo settore. Il che significa che anche dallo stimolo a rinnovarsi fornito dalla presenza di questi ragazzi, che sono sempre un elemento di novità, dipende la possibilità per molti gruppi di rimanere o no attivi".
In questo gioco di scambi però occorrono molte attenzioni. "Non c'è niente di peggio, anche per chi li accoglie, che una gestione degli obiettori come forza lavoro. È ampiamente dimostrato" - continua Casini - "che un elemento essenziale del rapporto con loro è la capacità delle associazioni ospitanti di comunicare i loro valori istituzionali, ovvero di continuare a mettersi in discussione e di chiarire il ruolo e l'efficacia dei progetti avviati, secondo una dinamica che ha come risvolto indiretto una crescita qualitativa sia dei servizi che delle relazioni associative. Per portare un esempio, questi sono fattori molto rilevanti per le associazioni che si occupano di ambiente e di ecologia, nelle quali il confronto con idee e persone nuove è la base necessaria del lavoro e della formulazione delle proposte".
Per chiudersi con una qualche coerenza il ragionamento e le testimonianze dovrebbero proseguire ancora a lungo. Mi sembra molto utile però permettere ai problemi di rimanere aperti, senza aggiungere per una volta un parere comprensivo. Vorrei solo lasciare, alla fine, un piccolo quesito ai volontari ma anche a chi non li conosce bene. Per alcuni anni, io che sto scrivendo, insieme con molte altre persone, ho provato a capire come funzionava la cultura dentro il volontariato, e come interveniva il volontariato dentro la cultura. Il punto di partenza è stato un giornale di non profit e cultura che avevamo fondato proprio a Modena, "Energie nuove", che ebbe il pregio, se non altri, di non essere sempre gradito nelle sue proposte e di presentarsi come esperienza assolutamente atipica. Provavamo, da volontari, a occuparci di Internet, dell'architettura degli ipermercati e delle chiese, dei monumenti cittadini, del tempo libero.
Questa esperienza, poi tramontata, mi ha sempre lasciato con un dubbio. Mi sono via via convinto che il volontariato funzioni spesso da collettore pubblico di ansie e di preoccupazioni non solo collettive ma anche private, come la paura di non accorgersi di quello che ci succede intorno, il timore che qualcuno decida per noi o, per fare un esempio completamente diverso, la solitudine. Quello che mi chiedo è se il volontariato, a fianco delle sue definizioni legali e delle sue vocazioni politiche, non abbia bisogno, anziché di una descrizione della sua fisionomia sociologica o di nuovi soldi, di una seria coscienza culturale, direi quasi di una capacità di elaborare concetti e di scambiare esperienze che garantisca il rinnovamento delle sue energie.
Mi chiedo insomma se il volontariato non possa essere una delle intelligenze reali della nostra società, quella in cui le forme di potere continuano ad essere considerate come qualcosa di oggettivo, come un insieme di singole azioni compiute da precise, singole persone, e non nascoste da nessuna straordinaria generalizzazione carismatica. Di solito, nel volontariato, questi temi vengono considerati astrazioni poco utili. Chiedo: sarebbe bene o no, sarebbe bello o no, che qualche volontario continuasse a porsi il problema?
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