Rivista "IBC" IX, 2001, 1

territorio e beni architettonici-ambientali / interventi, leggi e politiche

Meno divisione, più manutenzione

Piero Orlandi
[responsabile del Servizio programmi edilizi della Direzione generale programmazione e pianificazione urbanistica della Regione Emilia-Romagna]
Negli anni Settanta la legge regionale 2/1974 affidò all'IBC il compito di formulare l'inventario dei centri storici, disegnando per l'Istituto un importante campo di esercitazione del proprio ruolo statutario di organismo di consulenza dei comuni per l'elaborazione dei piani urbanistici di tutela e conservazione del patrimonio culturale.
Circa dieci anni più tardi, nel contesto delle azioni volte alla formazione del piano paesistico regionale, si sviluppò un processo di collaborazione tra l'Istituto e l'assessorato regionale all'Edilizia e urbanistica che condusse ad un compiuto utilizzo all'interno del Piano territoriale paesistico regionale della ricerca sui centri storici e servì anche a gettare le basi per la revisione della vecchia legge 2.
E così, dalla fine degli anni Ottanta, con l'entrata in vigore della nuova legge 6 del 1989, "Provvedimenti per il recupero edilizio, urbanistico e ambientale degli insediamenti storici", l'IBC ha avuto in mano uno strumento importante per orientare la programmazione regionale di settore, formulando pareri sugli studi trasmessi dai comuni.
Il campo di applicazione della legge in questo decennio ha riguardato all'incirca la metà dei comuni della regione: è stata infatti finanziata a totale carico del bilancio regionale la redazione di centoventidue studi di fattibilità preliminari a piani di recupero del patrimonio edilizio esistente in aree di interesse storicoartistico; sono stati erogati contributi per circa il cinquanta per cento del costo della progettazione di trentasei piani urbanistici attuativi; ed è stata sostenuta la realizzazione di numerosi interventi di restauro su edifici di pregio architettonico di proprietà di enti pubblici e privati, per una spesa complessiva di circa centoquattro miliardi.
Le cifre parlano da sole: la legge ha ottenuto importanti risultati nel promuovere la cultura della conservazione attiva e nell'introdurre principi di integrazione delle politiche d'intervento ancora non generalizzati alla fine degli anni Ottanta, e oggi di dominio più comune. Lo studio di fattibilità inteso come elemento strategico della programmazione comunale di settore anticipava tendenze concretizzate qualche anno dopo a livello nazionale. Il messaggio che si voleva lanciare era di intendere i piani di recupero come programmi operativi complessi, caratterizzati da più funzioni, più operatori, più tipologie di intervento, anticipando i contenuti delle leggi 179/92 e 493/93, con i "programmi integrati di intervento" e i "programmi di recupero urbano".
Furono molti i punti di innovazione del nuovo provvedimento legislativo rispetto all'operatività consentita dal precedente strumento. Anzitutto, per distinguere i ruoli propri della Regione e delle soprintendenze ai beni ambientali e architettonici, la legge 6/89 considerava come primari gli interventi realizzati in attuazione di strumenti urbanistici rivolti al più complessivo recupero di comparti e aree, tendendo a superare l'ottica legata al singolo edificio. Inoltre furono ammessi al contributo anche gli immobili di proprietà privata ed ecclesiatica, in ciò anticipando di qualche anno le decisioni assunte dal livello nazionale che con la legge 537/93 trasferì alle Regioni la competenza in merito alla conservazione di chiese, oratori ed in generale di edifici destinati al culto.
Possiamo oggi stilare un bilancio, grazie anche ad una ricerca condotta dall'assessorato alla Programmazione territoriale ed urbanistica, di cui stanno ora per essere resi noti gli esiti. In sintesi essa dimostra che nei fatti non sempre i piani hanno prodotto realizzazioni coerenti con le idee progettuali, e comunque hanno raggiunto la completa realizzazione con tempi spesso non brevi, anche perché la programmazione finanziaria degli interventi di restauro ha proceduto secondo il modello cosiddetto "a pioggia", soprattutto a causa della limitatezza delle risorse in confronto alla quantità del patrimonio esistente. Nel frattempo hanno preso piede strumenti nuovi a livello nazionale, ispirati ai principi della programmazione concertata; e da ultimo la legislazione regionale si è aggiornata, con la legge 30/96 sui programmi speciali d'area, la 19/98 sulla riqualificazione urbana, la 20/2000, ovvero la nuova legge urbanistica regionale.
A un giudizio complessivamente positivo sulla legge 6 deve dunque collegarsi una seria riflessione sul possibile miglioramento della sua operatività, in direzione di una maggiore concertazione tra enti, necessaria per garantire il mantenimento di efficacia nonostante il progressivo calare delle risorse regionali utilizzabili. L'idea guida della riforma che è allo studio dell'assessorato tende a individuare nello studio di fattibilità il documento unico di relazioni tra comuni e Regione: lo strumento che cioè riassume al livello comunale bisogni e urgenze di intervento, trasferendoli sul tavolo regionale per avere risposte coordinate e non frammentarie.
L'entrata in azione della legge regionale sulla riqualificazione ha mostrato come sia forzoso costringere i comuni minori ad aggregazioni difficili e poco naturali tra di loro per risolvere i problemi di qualificazione delle aree dismesse o degradate. Meglio dunque chiamare la nuova legge a finanziare studi e realizzazioni volte al recupero dei centri minori, quando questo ha prevalenti caratteri di risanamento o tutela del patrimonio storicoartistico; vi sono già significative esperienze compiute in questo senso, ad esempio a Comacchio ed a Reggio Emilia, nel quadro dei programmi speciali d'area.
Si può pensare a una programmazione di durata almeno biennale, di competenza del Consiglio regionale, basata su temi messi a fuoco con la consulenza dell'IBC e di altri enti e validata dalla Conferenza Regione-autonomie locali. A questa chiamata rispondono i comuni, con studi finalizzati a dare risposta alle questioni sollevate dalla Regione, concertando a livello locale con le curie, gli operatori privati, le associazioni di categoria. Quando la proposta comunale torna in Regione, viene esaminata da un nucleo di valutazione composto da esperti dei vari assessorati, che vaglia i progetti e li propone al finanziamento a valere sulle leggi già esistenti, in modo da realizzare anche al livello regionale il coordinamento che sta alla base dei vari studi al livello comunale.
Uno dei temi che sarà necessario mettere a fuoco è certamente quello della manutenzione. È opportuno che la cultura della manutenzione si affianchi progressivamente a quella del restauro. Per una doppia ragione, economica ed esteticourbanistica. Al posto delle sempre più frequenti realizzazioni "esemplari", grandi restauri condotti con notevole profusione di denaro spesso pubblico, sembra preferibile un certo understatement progettuale, ovvero la previsione di interventi ispirati a un'ottica di "recupero leggero": dalla messa a norma impiantistica degli edifici al consolidamento strutturale. Per mettere in condizione il patrimonio di restare in funzione e di essere utilizzato in modo dignitoso, secondo concetti prestazionali ispirati a principi di sostenibilità economica, ecologica, sociale.
Ancor più evidente è il valore di questi principi quando si pensi al proliferare spesso incontrollato degli interventi di arredo, che non di rado si connotano per essere lesivi dell'unitarietà e della riconoscibilità dell'ambiente urbano, storico e non. Limitare queste opere non significa affatto mortificare il nuovo negli ambiti e nei luoghi storici, ma solo un certo tipo di nuovo: quello che pensa di mimetizzarsi all'antico e che invece di distinguersi per ovvi motivi di linguaggio architettonico, si distingue per differenze di "patina", ben più stridenti.
La nuova legge regionale potrà anzi incoraggiare i comuni a compiere approfondite riflessioni sui vuoti urbani, sugli spazi pubblici, superando quell'inerzia ormai caratteristica delle città italiane rispetto a quelle europee, e spingendo a una franca discussione sulla forma della città moderna. Una riflessione necessaria per rendere le nostre città storiche e le loro periferie capaci di rispondere efficacemente ai bisogni delle tante e diverse etnie che vi abitano e vi lavorano, di confrontarsi con i crescenti problemi di sicurezza dei cittadini, di consentire spostamenti al proprio interno e accessibilità dall'esterno più rapidi ed adeguati alle necessità: in una parola di funzionare secondo standard più elevati.

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