Rivista "IBC" IX, 2001, 1
musei e beni culturali / mostre e rassegne, progetti e realizzazioni
Le stanze delle meraviglie
Il visitatore può prelevare pieghevoli e fogli informativi sulla storia dell'Università e sui musei da un contenitore posto alla destra del succitato monumento, ancora prima di dirigersi all'esposizione che non prevede l'acquisto di biglietto. Tra i materiali informativi un fascicoletto di fotocopie riporta l'elenco dei musei universitari, il cui ingresso è gratuito, con l'indicazione dell'indirizzo, dell'orario di apertura e di alcune brevissime note sulle vicende e sugli oggetti che contengono; è sicuramente utile per chi non avesse altre fonti di conoscenza. Ho contato diciannove musei, ai quali si aggiungono sette raccolte: queste ultime si possono visitare su richiesta. Informazioni più articolate, tenendo conto di lavori di ripristino o di riordino successivamente avviati, si trovano nel recente repertorio curato dall'Istituto per i beni culturali.1
La riapertura dei musei universitari, come del resto l'esposizione in corso fino al 20 aprile, è essenziale per la comprensione del tessuto culturale e museale di Bologna: la valenza delle raccolte evidenzia il ruolo fondamentale che la ricerca scientifica ha vissuto nelle aule universitarie, ma anche in altri cenacoli intellettuali. Si comprende come questa sia stata una delle profonde vocazioni degli studiosi felsinei e ne abbia richiamati qui tanti altri da più parti d'Europa. In questo senso la nascita dell'Istituto delle Scienze nel 1711, per volontà di Marsili, sancisce le precedenti esperienze e pone Bologna tra le più prestigiose sedi della sperimentazione nell'ambito delle scienze naturali e della medicina.
Una grande aquila lignea con un fregio d'armi, che era appartenuta alla regina Cristina, costituisce la base del monumento a Marsili ed evoca il clima dell'impero asburgico che questi a lungo servì nel corso della sua carriera militare. Suggerisce anche una pagina di Claudio Magris nella quale si leggono alcune considerazioni sul nostro personaggio: "[...] il maresciallo Marsili parla di popoli e di monumenti, di città e di corone, ma anche di metalli, de piscibus in aquis Danubii viventibus; descrive e classifica gli aves vagantes circa aquas Danubii et Tibisci, gli uccelli non piscivori e quelli delle paludi pantanose; illustra i sistemi di fabbricazione dei nidi, disegna tavole anatomiche dell'aquila e dello storione. Ma il maresciallo bolognese vive in un'età che cerca un sapere universale e lo fonda sulla radice primaria, naturale dell'uomo e della civiltà classica. Soldato imperiale, egli combatte in Transilvania e assedia Belgrado; scrive lo Stato militare dell'Impero ottomano, incremento e decremento del medesimo, ma anche l'Histoire physique de la mer, dissertazioni sui funghi e sul fosforo e memorie idrauliche sulle acque stagnanti. Lo stratega e potamologo è pure storico, letterato, mineralogo, limnologo, cartografo. Egli ha ancora una concezione totale e classica della vita, che non dimentica la struttura materiale dell'individuo e innesta la storia sulla natura".2
Queste righe sembrano particolarmente calzanti: non solo definiscono Marsili, sul quale non sarà necessario aggiungere molte altre annotazioni, ma inquadrano con efficacia il clima culturale, lo spirito con cui procedeva la ricerca in quel Settecento che tanta parte costituisce del percorso espositivo felicemente realizzato centrando l'impegnativo obiettivo di compenetrare la bellezza, l'eleganza ed anche la particolarità estetica di molti dei materiali con le più complesse ragioni e relazioni di carattere scientifico che esprimono.
La creazione dell'Istituto delle Scienze, che fisicamente ebbe sede a Palazzo Poggi, giunse in un momento di decadimento dell'ateneo e si caratterizzò fin dagli esordi come luogo di ricerca applicata. Se ciò era negli intendimenti del suo fondatore, il cardinale Prospero Lambertini (che sarebbe salito al soglio pontificio con il nome di Benedetto XIV) e Francesco Maria Zanotti ne assecondarono tale prospettiva con lucida pragmaticità: i grandi scienziati d'Europa venivano a Bologna ed intensi erano gli scambi e le collaborazioni con le più importanti accademie straniere come la Royal Society e l'Académie des Scienses.
La mostra si apre sulle collezioni, o meglio, su ciò che resta delle collezioni di due personaggi che hanno avuto motivazioni intellettuali diverse: Ulisse Aldrovandi (1522-1605) e Ferdinando Cospi (1606-1686). Le loro raccolte, donate da entrambi alla città, erano state esposte nel Palazzo pubblico, e confluirono nelle stanze dell'Istituto e della sua Accademia proprio perché, seppure con modalità diverse, si integravano alle rinnovate esigenze della ricerca scientifica.
Aldrovandi ricoprì la prima cattedra di Scienze naturali a Bologna; è figura di particolare rilievo per il suo approccio nuovo all'osservazione della natura e del mondo animale. Reperiva ogni varietà di pianta o di animale di cui si occupava e si avvalse di straordinari disegnatori, come testimoniano i volumi della sua Storia Naturale e del suo erbario nei quali l'illustrazione, oltre a soddisfare il senso estetico, risponde ad esigenze di veridicità.
Ma altrettanto importante è l'esotica composizione delle raccolte del Cospi, che costituì un vero e proprio museo, o meglio una Wunderkammer, una camera delle meraviglie, un luogo in cui arte e natura convivevano con esiti stravaganti e sorprendenti. Ancora adesso guardando alcune composizioni in cui l'intervento umano modifica l'elemento naturale (le "cose artifiziose"), rimanendo in clima asburgico vengono in mente le collezioni di Rodolfo II, poi in gran parte disperse alla sua morte, frutto comunque non solo della moda del tempo ma anche di una personalità afflitta da tanatofobia.
Si delinea progressivamente, attraversando gli ambienti in cui si dispone la mostra, ed osservando gli oggetti che la compongono, il profilo di una comunità di studiosi che hanno fondato le loro ricerche su una nuova attitudine all'osservazione, sia dell'uomo che dei fenomeni naturali. E questo atteggiamento riguarda anche i reperti archeologici, come si evince proprio dalle carte marsiliane, che non sono solo focalizzate sulla storia naturale (anche se questa ha una parte preponderante negli studi del generale della casa d'Austria).
Fermandosi davanti ad armadi e teche si guarda con ammirazione - per la capacità di chi li le ha riprodotte, ma forse con un vago senso di disagio - il patrimonio di cere anatomiche realizzate a fini didattici da Ercole Lelli, Anna Morandi e Giovanni Manzolini. Queste servivano agli studenti della facoltà medica che allora, siamo sempre nel XVIII secolo, si esercitavano nel teatro anatomico dell'Archiginnasio; l'anatomia plastica sopperisce in quei secoli alla scarsa disponibilità di cadaveri per la dissezione e ad una non facile conservazione degli organi umani
Mentre rivolgo la mia attenzione alle sale dedicate all'ostetricia e alla ginecologia - dove aleggiano le personalità di Galli, di Galvani e di altri illustri medici - tra ferri chirurgici e modelli in argilla, che riproducono le diverse anomalie di un feto e le fasi della nascita, ricordo di aver già avuto modo di vedere parte di questi oggetti: non però in un armonico continuum, come mi accade ora, bensì in occasione di due mostre, che rientravano nel progetto di riorganizzazione dei musei universitari, allestite tra il 1979 e 1981, "I materiali dell'Istituto delle Scienze" e "Le cere anatomiche bolognesi del Settecento".3
Ma il secolo dei lumi è anche epoca di fervore per quanto attiene alla fisica e alla chimica e di questo, come pure di carte geografiche e di modelli preziosi di velieri e piazza d'armi, la mostra offre una significativa rappresentazione. Tra i pregi di questa esposizione esuberante di documentazione e di tematiche c'è anche quello di restituire, forse, meglio, di comunicare, il ruolo che Bologna e suoi scienziati ebbero nella comunità intellettuale di quella fertile stagione.
Mentre scopriamo il dettaglio del nostro occhio in una cera, osserviamo un coccodrillo appeso a una parete o un trattato di anatomia, un'altra esposizione, assolutamente permanente, si snoda sulle nostre teste e merita uguale attenzione: sono gli affreschi restaurati che decorano le sale, e a cui Vera Fortunati e Vincenzo Musumeci hanno di recente dedicato un volume.4 Costituiscono un ulteriore approccio alla cultura artistica e letteraria della seconda metà del Cinquecento e sono un altro segno dei gusti e delle possibilità dei committenti; gli autori degli affreschi e dei decori sono nomi autorevoli come quello di Nicolò dell'Abate. Una serie di computer, dislocati nei vari ambienti, permette di guardare sul video gli episodi e i paesaggi che decorano il singolo vano e di soffermarsi su alcuni particolari, evitando fra l'altro di peggiorare l'artrite cervicale e di sforzare occhi già irrimediabilmente miopi.
Al temine del mio giro, forse per troppa curiosità, mi ritrovo all'ingresso del museo del IX Centenario, ancora in fase di allestimento. Il salto dalle mirabilia all'inizio del ventunesimo secolo è un po' traumatico. Sono circondata da strutture eleganti in alluminio satinato e superfici di cristallo di un liquido verde acqua; tra schermi, computer e seggiole sagomate. È un clima da museo della Villette, quasi da 2001 Odissea nello spazio (l'accostamento mi sembra appropriato). Piacerebbe al nostro generale Marsili? Il suo spirito innovatore saprebbe sicuramente apprezzare, seppure con qualche riserva, il nuovo modo di conoscere e di comunicare.
Note
(1) Musei in Emilia-Romagna, Bologna, Editrice Compositori, 2000.
(2) C. Magris, Danubio, Milano, Garzanti, 1986, p. 168.
(3) Si vedano in proposito: La città del sapere. I laboratori storici e i musei dell'Università di Bologna, Milano, Silvana Editoriale, 1987; I luoghi del conoscere. I laboratori storici e i musei dell'Università di Bologna, Milano, Amilcare Pizzi Editore, 1988.
(4) L'immaginario di un ecclesiastico. I dipinti murali di Palazzo Poggi, a cura di V. Fortunati e V. Musumeci, Bologna, Editrice Compositori, 2000.
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