Rivista "IBC" VIII, 2000, 4

Dossier: Misurare il tempo

musei e beni culturali, dossier /

Ora solare, ora meccanica

Giovanni Paltrinieri
[gnomonista]

Se gli istanti di alba e tramonto erano facilmente determinabili per un osservatore posto in pianura, per determinare il mezzodì l'uomo dovette far uso di una strumentazione semplice ma efficace, utilizzando l'ombra prodotta da un palo infisso al suolo. Ciò dette luogo ad una embrionale scienza parallela all'astronomia, che in seguito fu detta "gnomonica". Lo Gnomone (termine di origine greca che significa "indice", "indicatore") era appunto il palo, l'asta, lo stilo, utilizzato per determinare un particolare istante del giorno grazie all'attenta osservazione del moto apparente del sole. Il mezzodì si trovava osservando l'istante in cui l'ombra proiettata da questo gnomone verticale era la più breve della giornata. Da qui, attraverso una lenta e progressiva ricerca durata millenni, questa "scienza delle ombre" affinò le sue potenzialità grazie al legame sempre più serrato che ebbe con la geometria. Definiti i concetti base della meccanica celeste, si poté finalmente realizzare un orologio solare in grado di indicare le porzioni di giorno, cioè l'ora, in ogni situazione stagionale.

Vitruvio Pollione, un romano vissuto alla fine del I sec. d.C., ci ha tramandato il suo trattato De Architectura: diviso in dieci libri, il testo descrive le regole del ben costruire, passando in rassegna le case, i palazzi, i teatri, i templi, e quant'altro. Il libro IX è interamente dedicato all'astronomia, alla gnomonica, e alla misura del tempo. Qui vengono ampiamente trattati gli orologi ad acqua, e con maggior attenzione quelli solari. Non c'era casa patrizia a quei tempi che non possedesse almeno un orologio a sole, usato sia per conoscere con precisione l'ora, sia per impreziosire una parete o un giardino. Vi erano poi altri strumenti atti a misurare il tempo: le clessidre, le sabbiere, le lampade a olio, le candele, ecc. Ma nulla poteva gareggiare con la precisione del sole.

L'ombra proiettata da uno gnomone verticale al mezzodì forniva l'asse nord-sud (il cardo), e tracciando una retta perpendicolare si aveva l'asse est-ovest (il decumano). Tali assi avevano implicazioni di carattere geografico e in particolare astrologico e divinatorio: venivano utilizzati dall'aruspice etrusco per delineare il perimetro delle mura di una nuova città disponendolo secondo misteriose regole cosmiche.

Seguendo questa millenaria abitudine di direzioni solari notiamo che anche le prime basiliche cristiane vennero "giustamente orientate", cioè volte con l'abside ad oriente. In tal modo l'ingresso era posto ad ovest - luogo del sole che muore - mentre l'altare a cui il fedele si accostava dava ad est - luogo del sole che nasce, cioè Cristo che scende sulla terra per illuminare un mondo che prima era avvolto dalle tenebre. Secondo questo schema il muro esterno della navata destra era sempre volto a sud: situazione ideale per tracciarvi sopra un orologio solare di facile realizzazione, in quanto il suo impianto era pressoché sempre il medesimo per ogni chiesa. È lecito supporre che i religiosi avessero inventato un metodo geometrico alquanto sbrigativo per realizzare questo segnatempo, utilizzando magari il proprio cordone che li cingeva in vita per descrivere mezzo cerchio e dividerlo in parti equamente spaziate.

 

Per quasi tutto il Medioevo la misura del tempo venne scandita dall'ombra dello gnomone posto a lato del campanile. Ad ogni ora un incaricato la annunciava col suono della campana affinché tutta la comunità, civile e religiosa, avesse un unico e chiaro riferimento. In molti casi si instaurarono precise regole campanarie atte per informare la popolazione su particolari avvenimenti civili, religiosi, meteorologici, creando una codificazione di suoni che in molti piccoli centri è ancor oggi ben viva e presente.

Nel XIII secolo avviene una rivoluzione della misura del tempo. Gli artigiani che da secoli producevano astrolabi ed altri strumenti scientifici inventano una primitiva macchina in grado di muoversi autonomamente. Nel volgere di un secolo si assiste ad una rapida diffusione del meccanismo, che via via si perfeziona sino alla realizzazione - dalla metà del Trecento in poi - dei complessi orologi astronomici da torre.

La sempre maggior precisione delle macchine non diminuisce però l'importanza degli strumenti gnomonici, i quali restano pur sempre insostituibili riferimenti quotidiani di azzeramento dell'orologio meccanico. Se infatti quest'ultimo è in grado di indicare l'ora in ogni situazione atmosferica e anche dopo il tramonto del sole, è pur vero che si richiede quasi ogni giorno l'aggiustamento delle sfere per sopperire alle inevitabili imperfezioni della macchina, ottenendo così un perfetto sincronismo tra i due strumenti.

Il discorso si complica maggiormente nei secoli in cui vige l'ora italica, la quale fa coincidere le ore ventiquattro col quotidiano tramonto del sole. Inoltre, la macchina batte un tempo medio scandito da periodi di uniforme durata, mentre l'ombra dello gnomone segna un tempo vero; il divario tra i due tempi è detto "equazione del tempo".

Per sopperire a questi inevitabili disagi nelle città vengono periodicamente stampate delle tavole orarie che informano quotidianamente sull'ora italica nell'istante del mezzodì, e dei minuti da aggiungere o da togliere in particolari giorni del mese al fine di mantenere la marcia dell'orologio meccanico al passo con quello solare. Sono note le Tavole per regolare di giorno in giorno gli Orologi a Ruote, realizzate da Gio. Ludovico Quadri a Bologna nel 1736. Il frontespizio riprende in primo piano un orologio da tavolo con quadrante diviso in sei ore, e sullo sfondo la torre dell'orologio di piazza Maggiore. Proprio nella cella campanaria di detto orologio, sul davanzale, è presente ancor oggi un orologio solare orizzontale settecentesco, la cui funzione è quella sopra descritta.

Senza allontanarci troppo da qui si incontra, all'interno della basilica di San Petronio, l'eccezionale meridiana tracciata nel 1655 dall'astronomo Gian Domenico Cassini. Il foro gnomonico è posto ad un'altezza di ventisette metri, e sviluppa al suolo una linea lunga sessantasette metri. Il suo autore l'aveva tracciata per studiare il moto solare, l'eccentricità dell'orbita terrestre, e i valori rifrattivi di un raggio luminoso alle diverse altezze. In pari tempo la meridiana "a camera oscura" è anche un formidabile mezzo per la determinazione dell'istante del mezzodì, con una precisione che rientra in alcuni secondi.

La meridiana di San Petronio venne completamente rinnovata nel 1776 dall'astronomo Eustachio Zanotti, in quanto l'opera del Cassini non godeva più della necessaria precisione. Una trentina d'anni prima, sempre a Bologna, sulla torre della Specola si era realizzata un'altra meridiana di ottima fattura. Per curiosità si volle fare il confronto orario tra quest'ultimo strumento e la rinnovata meridiana di San Petronio. Volendo verificare la differenza in secondi tra le due, si calcolò la loro differenza in longitudine, e si posero ai lati delle medesime due precisi orologi a pendolo. Si trattava ora di far partire nello stesso istante entrambi i pendoli. Quello in San Petronio si sincronizzò con l'ultimo tocco della campana del palazzo Comunale, tanto vicina da non generare ritardi acustici. Quello della Specola, molto più distante, venne sincronizzato non acusticamente, ma visivamente. Si era infatti notato che dalla torre dell'Osservatorio si poteva chiaramente osservare con un cannocchiale il martelletto che percuoteva la medesima campana del palazzo Comunale. In tal modo - assai originale - si ottenne la perfetta sincronizzazione dei due pendoli, rilevando sulle distinte meridiane i corrispondenti istanti del mezzodì. Risultò che, tenuto conto della diversa longitudine, la linea di San Petronio anticipava sull'altra di un secondo e mezzo.

 

Intanto i decenni passavano, e il confronto tra gli strumenti solari e quelli meccanici diveniva sempre più serrato. Già nella stessa basilica di San Petronio nel 1758 monsignor Francesco Zambeccari aveva incaricato Domenico Maria Fornasini di realizzare un orologio ad equazione per ottenere la diretta e contemporanea lettura dell'ora italiana e di quella francese, sia a tempo medio, sia a tempo vero. L'orologio a doppio quadrante, posto a lato della linea meridiana, era sincronizzato quotidianamente con la medesima. Le cronache locali ricordano che sino verso il 1930 un guardiano della basilica, con livrea e mazza, all'approssimarsi del mezzodì si poneva a lato della linea sorvegliando con attenzione la specie solare. Nell'istante in cui essa centrava esattamente la lista metallica egli batteva un colpo di mazza, e il "temperatore" appollaiato sulla scala provvedeva all'aggiustamento delle sfere dell'orologio meccanico.

 

La fine del Settecento vede nella nostra penisola la capitolazione dell'ora italica a cui si sostituisce quella francese. Inizialmente quest'ultima è regolata a tempo vero, poi a tempo medio locale. Con l'avvento dell'Unità d'Italia si promuove questa evoluzione, realizzando vicino alle torri civiche aventi un orologio meccanico una meridiana orizzontale, costituita da una semplice lista di marmo su cui un raggio di sole indica l'istante del mezzodì. Questa linea reca l'incisione della "lemniscata", un tracciato a forma di otto per leggere le ore dodici di tempo medio.

I moderni sistemi di comunicazione di metà Ottocento - primi fra tutto l'avvento della strada ferrata - richiedono un nuovo e definitivo assetto della misura del tempo, che sia in grado di superare le limitate barriere locali o regionali. Nel dicembre del 1866 le amministrazioni ferroviarie, in vista di un adeguamento più rispondente alle nuove esigenze, adottano un unico tempo ferroviario riferendolo al "tempo medio di Roma", e nel volgere di pochi anni molte città italiane adottano tale sistema. L'ultimo atto avviene nel 1884, quando una commissione internazionale definisce il sistema dei fusi orari.

Il moderno computo del tempo ha quasi completamente dimenticato la determinazione oraria ottenuta per mezzo degli strumenti gnomonici che per millenni sono stati gli unici e i più validi per l'uomo. Ma questa scienza solare non ha ancora cessato di esistere, anzi proprio nell'era dei computer e di una sofisticata tecnologia si assiste ad una sua riscoperta. Le ragioni sono diverse. Per prima cosa si riscopre oggi l'alto valore didattico della gnomonica, capace di attivare ricerche interdisciplinari adattabili ad ogni livello di studio. In essa infatti convivono la matematica, la geometria, la trigonometria, la fisica, la geografia, ecc. Molte facciate di case, palazzi, chiese, piazze, si adornano oggi di un orologio solare quale originale decoro e interessante pretesto che induce a considerare quanto questa scienza sia al tempo stesso semplice e complessa. Vi è poi l'aspetto storico, della ricerca di quanti in passato si occuparono di meridiane e orologi solari realizzando piccoli o grandi strumenti. Non solo segnatempo ma in molti casi attrezzi astronomici che hanno contribuito a migliorare la conoscenza. Perché in fin dei conti lo gnomone non è soltanto una semplice asta infissa in parete: è la punta affiorante di un iceberg. Alla base c'è un patrimonio culturale di grande spessore, antico quanto l'uomo.

 

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