Rivista "IBC" VIII, 2000, 4

Dossier: Misurare il tempo

musei e beni culturali, dossier /

È ancora tempo di orologi meccanici

Patrizia Tamassia
[IBC]

L'anno 2000 ha ispirato molte riflessioni sul tema del tempo e della sua misura: numerosi gli articoli su giornali e riviste, le esposizioni di interesse locale e una grande mostra "Le temps, vite" con la quale Parigi ha riaperto il Centre Pompidou dopo il restauro e che è poi stata ospitata a Roma e a Barcellona. Questo inserto dedicato agli orologi potrebbe far pensare a un tassello di questo mosaico costruito dal risvegliato interesse collettivo di fine millennio per la misurazione del tempo. L'occasione invece è offerta dalla recente pubblicazione del volume Macchine orarie. Orologi da torre e orologiai in Emilia-Romagna, che presenta i risultati di un complesso lavoro di ricerca avviato alcuni anni orsono dall'IBC.

Obiettivo della ricerca è stato quello di effettuare una ricognizione sul territorio per sondare se l'allarme, lanciato da un gruppo di artigiani orologiai sul pericolo di dispersione degli orologi meccanici di grandi dimensioni, fosse fondato. Per verificare cioè se, nonostante l'usura, le difficoltà di manutenzione e le sostituzioni con orologi più funzionali, fosse ancora possibile trovare, sulle torri civiche e sui campanili, meccanismi meccanici.

Si tratta proprio di quegli orologi di grandi dimensioni da cui prende avvio la storia dell'orologeria, in un'epoca che possiamo situare tra la fine del 1200 e i primi decenni del 1300, in Europa. Delle vicende di questi meccanismi nei secoli successivi gli studiosi si sono occupati poco, più interessati a seguire gli sviluppi straordinari della macchina orologio e le infinite forme che esso verrà ad assumere. Queste "macchine orarie" rimangono sullo sfondo, ma continuano un loro cammino e si diffondono capillarmente su tutto il nostro territorio, nei campanili e nelle torri civiche. Sono gli orologi che hanno segnato i ritmi della comunità, i tempi del lavoro e quelli del culto "quando il giorno veniva ancora scandito dalla sua liturgia cristiana e contadina, in un universo che restava solidale con i destini dell'uomo" per usare le parole di Ezio Raimondi nell'introduzione al volume.

Obiettivo prioritario della ricerca, del libro e ora di questo inserto tematico (e di una mostra alla quale stiamo lavorando), è quello di dedicare attenzione proprio a questa tipologia di orologi che non hanno ottenuto, almeno sino ad oggi, la considerazione e l'interesse che ad essi erano dovuti: forse una prima forma di tutela che si attua proprio diffondendo una sensibilità in grado di valutare e riconoscere il valore storico e testimoniale di cui sono portatori ormai tutti i modelli meccanici, sia quelli più antichi di fattura artigianale che quelli novecenteschi spesso prodotti da manifatture specializzate.

La nostra ricerca ha dimostrato che, sul territorio, è ancora possibile trovare orologi meccanici da torre: in qualche caso esemplari antichi sono collocati ancora funzionanti nei campanili che li hanno custoditi per secoli. Altri sono conservati, nonostante abbiano esaurita la loro funzione pratica, ovvero dopo essere stati sostituiti, nella canonica della chiesa o in magazzini comunali; in pochissimi casi gli orologi sono stati restaurati e sono visibili esposti in musei. Abbiamo un'occasione per non disperdere un patrimonio sedimentato nei secoli e che ha dietro di sé anche le storie degli uomini che ne sono stati gli artefici e che, nella maggior parte dei casi, sono rimasti sconosciuti. È importante che non si spezzi il legame che consente, attraverso i documenti degli archivi parrocchiali e comunali, di identificare l'epoca di costruzione e, a volte, anche l'artigiano o la manifattura che li hanno prodotti: purtroppo quando gli orologi vengono tolti dalla loro sede "naturale" e sono venduti nei mercati dell'antiquariato questo legame è già perduto e molto del valore storico e testimoniale del manufatto viene disperso.

Ci è sembrato utile e importante presentare queste considerazioni, che riassumono e schematizzano i risultati della ricerca e del lavoro portato avanti dall'IBC in questi anni, ad una platea che non è composta esclusivamente di appassionati e cultori di orologeria, quale è quella di questa rivista.

L'inserto è costituito da contributi diversi che ruotano attorno al tema della misura del tempo e degli orologi meccanici, restituendo a questi argomenti quella possibilità di spaziare in direzioni diverse che ne costituisce la caratteristica e il fascino. Un'attenzione particolare è dedicata alle questioni relative alla manutenzione e al restauro dei meccanismi storici che rappresenta, per così dire, il passo successivo nel cammino per la salvaguardia degli orologi meccanici, dopo quello del loro riconoscimento come beni culturali.

Il nodo del ripristino della funzionalità come obiettivo del restauro, da ricercare comunque, allontana spesso gli artigiani orologiai da coloro che si occupano, da altri punti di vista, di queste problematiche. Proprio per questo speriamo di riuscire a creare presto un'occasione di confronto tra tutti coloro che, a vario titolo, sono interessati agli orologi: studiosi, restauratori, artigiani, conservatori di musei. In attesa e in preparazione di questo confronto vero e proprio, le pagine che seguono offrono contributi, autorevoli e competenti, alla riflessione di tutti.

 

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