Rivista "IBC" VIII, 2000, 4

linguaggi, interventi, pubblicazioni

Le scritture dei migranti

Fulvio Pezzarossa
[docente di Sociologia della letteratura all'Università di Bologna]

Anche nella nostra regione la figura dello straniero è percepita di norma attraverso i clamori della cronaca, non certo come produttrice di testi in lingua italiana. Questi testi tuttavia esistono e sono destinati, a nostro giudizio, ad imporsi alla crescente attenzione dei lettori.

Il processo di ricomposizione dei valori e degli strumenti culturali in chiave di scambio etnico, processo già pienamente affermato nelle maggiori nazioni dell'Occidente ex-colonialista, filtra in Italia con estrema fatica a causa della persistente rimozione della grandiosa esperienza della emigrazione, che ha accompagnato il formarsi dell'identità nazionale nel nuovo stato unitario. Il risultato di questa rimozione è che oggi si ripetono lo stesse censure e gli stessi pregiudizi che la cultura alta riservò fra Otto e Novecento ai trenta milioni di italiani costretti a lasciare la madrepatria. È un fatto incontestabile che nella recente narrativa non si trovino extracomunitari quali protagonisti centrali del racconto a fianco del Polacco lavatore di vetri di Edoardo Albinati.1

Appare incerta anche la strumentazione critica per inquadrare un fenomeno che supera le distinzioni avanzate da Marchand tra letteratura "di emigrazione" (ogni testo prodotto sul tema migratorio) e "dell'emigrazione" (frutto di scrittori motivati dall'approdo in terra lontane), da separare ulteriormente da quella "dell'esilio", offerta generalmente da intellettuali già attivi in patria. Più efficace appare la definizione di letteratura "della migrazione", che rispecchia l'orizzonte mondiale della migrant literature sopprimendo accenni direzionali (e-im/migrazione) superati dalla globalità di un fenomeno connesso alla mondializzazione della letteratura.2

Un forte interesse critico anima su questi temi le università statunitensi, nelle quali è oggi rilevante la presenza di radice italiana, capace di valorizzare una letteratura marginale ed estranea alla tradizione riconosciuta dalla madrepatria, dove si sono cassate anche le testimonianze imbarazzanti della stagione colonialista, altro aspetto della storia nazionale con il quale occorre fare appieno i conti.3 È il caso del recente volume sul rapporto Africa Italia inteso ad un approccio non retoricamente multidisciplinare, che mostra le ragioni convergenti, geologiche e insieme storiche e demografiche, per le quali i due continenti si avvicinano.4 Ma è dagli ostacoli all'integrazione, nel loro esito più tragico, che muove la tradizione della letteratura italiana dei migranti, che celebra in questi giorni il decennale di esistenza ed è già in grado di mostrare fasi, tendenze, forme, personalità ben distinte.

 

L'avvio è sollecitato dal tragico manifestarsi della violenza razzista con l'uccisione di Jerry Masslo nel 1989 a Villa Literno, attraverso inchieste dell'editoria e della stampa settimanale. Tahar Ben Jelloun, con la collaborazione del giornalista Egi Volterrani, s'addentra per Einaudi nell'eterno baratro meridionale, "dove lo stato non c'è". Questa esperienza fornisce un modello di testo a quattro mani che rimarrà costante per le scritture anche dei veri migranti giunti con le prime ondate, e che talora evoca una necessità di tutela e mediazione (non solo linguistica) dell'espressione straniera, com'era anche nell'esplosivo volume di Günther Wallraff Faccia di turco, costruito mascherandosi nelle situazioni dell'emarginazione tedesca.5

Risaltano in queste prove l'ambiguità e la polivalenza dei significati di una cultura che pretende democraticamente di aprire lo spazio interdetto della parola scritta agli estranei senza voce propria, ed innesca una catena di ambiguità e frammentazioni derivate dall'immagine ingombrante dello straniero. Si tratta di finzioni che prevedono autoctoni che parlano ai loro pari, insensibili alla voce reale dell'estraneo, porgendo attraverso l'identità verisimile di un immigrato il racconto autentico di un'identità artificiale e inventata, ma di maggior pregnanza simbolica e rappresentativa rispetto a migliaia di vite spregiate e silenziose. Questa complessità di situazioni e forme dice anche della fatica di giungere per la letteratura dei migranti ad un distacco deciso dalla attualità, e di materializzare in motivi e personaggi della pratica e della convenzione narrativa esperienze che tuttavia abbisognano di un approfondimento sul versante diretto e immediato dell'indagine e dell'intervento sociale.

A riprova del condizionamento del mercato editoriale escono in contemporanea nel settembre del 1990, con una forte rete di analogie, i volumi di Salah Methnani e Pap Khouma, realizzati in collaborazione con giornalisti italiani sensibili alle nuove problematiche e capaci di attuare una rapida trasformazione dell'indagine giornalistica o del diario in una narrativa sequenziale che confluisce negli archetipi del romanzo picaresco e di formazione. Manca però l'esito finale della socializzazione, perché qui l'evoluzione è richiesta non solo al protagonista ma ad un'intera nazione, incerta sul percorso di maturazione che accolga una presenza crescente di figure dotate di individualità creativa.6

S'allenta tuttavia in breve l'interesse delle grandi case editrici, che puntano a strumenti per l'educazione interculturale proprio quando si manifestano forti personalità letterarie come Moussa Ba, che evoca la tradizione narrativa orale africana per l'esplorazione del paesaggio sociale e mentale, o Moshen Melliti, che rilegge in stile lirico e simbolico l'epica vicenda romana della Pantanella, punto estremo del degrado e della noncuranza che creano i ghetti (a riprova delle difficoltà di affermare una professionalità intellettuale Melliti è l'unico autore a poter vantare un secondo romanzo).7

 

La presenza straniera, nel normale disordine italiano di sanatorie e regolarizzazioni, si trasforma anche sotto il profilo della componente di genere, e la seconda fase della letteratura migrante è segnata dall'affacciarsi di figure femminili. Ecco dunque un nuovo potenziale espressivo nel momento in cui la condizione migratoria si complica, ridefinendo ruoli e statuti esistenziali nel passaggio dalla dimensione culturale e religiosa originaria alla dinamica "libertà" del femminile nell'occidente. Questa meta è ancora lontana, come dimostrano le stesse scrittrici, alle quali viene per lo più delegato un compito didattico che le schiaccia nella funzione di "maestrine dalla penna rossa" in grado di educare i futuri cittadini multietnici attraverso una garbata relazione tra la realtà italiana e i luoghi d'estrazione migratoria.8 Questo compito finisce per conculcare un potenziale espressivo vivissimo, che trae ragione proprio dalla doppia esclusione, etnica e di genere, e che talora s'afferma oltre il condizionamento dell'intervento di mediazione: è il caso della prepotente capacità fabulatoria di Nassera Chohra, che filtra una acuta presa di coscienza dei grandi temi dell'attualità, dal razzismo alla condizione femminile, dalle diversità culturali ai tabù religiosi, entro un percorso autobiografico scintillante di stupore e ironia.9

 

A metà degli anni Novanta si apre una fase tutta rinnovata, nella quale si raffrontano culture in maggiore equilibrio, dove la funzione della intelligenza italiana si esplica in un'opera di stimolo, sollecitazione e raccolta delle voci che solo con sommarietà si possono dichiarare straniere. Dal 1994 il concorso "Eks&Tra" per testi poetici e narrativi stesi in italiano da scrittori migranti - promosso principalmente da Roberta Sangiorgi nella Rimini degli ambulanti da spiaggia, e poi fra le iniziative letterarie di Mantova (dove a giugno si è tenuta la premiazione del concorso bandito per il Duemila e intitolato "Anime in viaggio") - porta alla ribalta voci provenienti realmente da tutto il mondo, facendo emergere personalità e motivi ormai lontani da una memorialità univoca, giocata sulle condizioni di nostalgia e lamento, ben oltre lo scontato shock emotivo del distacco a motivare l'ansia del ricordo e il bruciante desiderio di medicare l'ardore o il vuoto interiore con volute d'inchiostro.

Gli splendidi volumi offerti dalla sollecita cura editoriale della Sangiorgi e di Alessandro Ramberti con la sua attivissima casa editrice Fara di Santarcangelo, rutilanti di colori e accattivanti anche nella veste esteriore, rappresentano uno spaccato sorprendente della vitalità profonda che percorre anche il nostro paese.10

Senza che si possano menzionare centinaia di voci provenienti da ogni continente, né percorrere il caos di toni e motivi che simulano la feconda babele della variopinta società che sta sommergendoci, qui importa rilevare che sempre più decisamente l'ansia del racconto si materializza in proiezioni immaginative non strettamente autobiografiche, che raffigurano l'esistenza migrante su esperienze esterne ed analoghe, e fin proiettate nella canonica divaricazione del futuro fantastico o nell'eterna attualità del mito fondante, com'è nelle potenti invenzioni di Yousef Wakkas o di Elvira Patiño. L'universalità delle tematiche letterarie si traduce in un pastiche linguitico capace di ibridare fasi culturali continuamente oscillanti tra dialetti d'origine, lingue di lontane nazioni, linguaggi coloniali ed internazionali. La base è costituita da un italiano standard, a sua volta mescidato con la comunicazione locale, d'uso lavorativo o familiare, in una sequenza che riporta beffardamente alle origini la secolare ansia di unità linguistica della nostra nazione.

L'asfittico orizzonte italiano è così investito dalle mille suggestioni di civiltà, sensibilità, costumi, pratiche e convinzioni dell'intero mondo anche attraverso la parola scritta, con un potente moto di trascinamento e ridislocazione degli standard culturali acquisiti. Essi creano effetti inaspettati di straniamento, investiti dalla proverbialità togolese (Komla-Ebri), dal fatalismo lacerato della saudade latinoamericana (De Caldas Brito); si trasformano in echi sfrangiati di versicoli ungarettiani nell'eccellente poeta albanese Hajdari, o delle Operette leopardiane nel giapponese Akira, nel doppio spiazzamento di maschere arlecchinesche messe sul volto dei servi trasgressivi dagli abiti e dalle pelle multicolori (Daghmoumi, attivo nel teatro ravennate delle Albe).

Dalla valigia dei nostri migranti non escono tuttavia cianfrusaglie imitate o insospettate magie di un incognito futuro di caotica ibridazione: essi ci trascinano con lucida coscienza in un'evoluzione inarrestabile, pulsante fra globalizzazione e localismo sofferto entro i meccanismi fondanti della cultura postmoderna, a tracciare i percorsi per il nostro comune domani. Le loro scritture sono intrise di riferimenti e valori instabili e intercambiabili; esprimono non linearità e frammentazione dell'esperienza, dislocazione, mobilità e alienazione del soggetto scrivente, instabilità del punto di vista, quale risposta a impulsi sovrastanti di movimento o marginalizzazione; sono dominate dal polistilismo, nell'indeterminatezza figurativa tra sogno e utopia, concretandosi in pagine frammentate e multiple, aperte e attraversate dalle più divaricate lingue, forme, retoriche e ondate fabulatorie, frutto di uno statuto labile e non univoco dell'autore, che già preannuncia nella sua condizione il domani di un'identità culturale italiana da ricostruire in un caleidoscopio di voci tutte reciprocamente di piena dignità.

Nell'ultimo volume - Parole oltre i confini - si distinguono alcuni personaggi ormai radicati nel contesto emiliano-romagnolo, che fanno della nostra regione un piccolo laboratorio per misurare la diffrazione e la dinamica di culture e forme espressive in transito verso una letteratura prepotentemente rivoluzionata. È il caso della nitida scrittura di solido impianto dell'etiope Gabriella Ghermandi, un equilibrio formale in cui si ricompone l'attrito fra nostalgia della terra natale e convulso presente occidentale; o invece delle dolorose riflessioni della malgascia Rakotobe Andriamaro Fitahianamalala sulla perenne estraneità che, pur nell'apparente integrazione quotidiana e lavorativa, colpisce l'identità profonda degli ospiti, calpestandone il nucleo forte dei valori e delle identità, a cominciare dal nome brutalmente espropriato (Chiamatemi Mina). Con il congolese Jadelin Gangbo siamo di fronte invece ad una vulcanica creatività che si proietta con aggressività dirompente verso un futuro incognito per tutti, quello della seconda generazione dei migranti: per essi l'italiano è uno strumento casuale, la terra dei padri una memoria indiretta, la cultura un collage di mille stratificate intersezioni senza passato ma che pretendono di fondare un futuro senza confini, radicato ad un tempo nella vitalità bolognese e proiettato nello spazio di un solo mondo.11

 

Note

(1) E. Albinati, Il polacco lavatore di vetri, Milano, Longanesi,1989.

(2) La letteratura dell'emigrazione. Gli scrittori di lingua italiana nel mondo, a cura di J.J. Marchand, Torino, Fondazione G. Agnelli, 1991; A. Gnisci, La letteratura italiana della migrazione, Roma, Lilith, 1998. Si vedano anche: Writing Across Worlds. Literature and migration, ed. by R. King, J. Connell, P. White, London-New York, Routledge, 1995; E. W. Said, Cultura e imperialismo. Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell'Occidente, Roma, Gamberetti, 1998; L. E. Ruberto, Immigrants Speak: Italian Literature from the Border, "Forum Italicum", XXXI, 1997, pp. 127-144.

(3) Mediterranean Crossroads. Migration Literature in Italy, ed. by G. Parati, Cranbury N.J., Associated University Presses, 1999.

(4) Africa Italia. Due continenti si avvicinano, a cura di S. Matteo e S. Bellucci, Santarcangelo, Fara, 1999.

(5) T. Ben Jelloun (e Egi Volterrani), Dove lo stato non c'è. Racconti italiani, Torino, Einaudi, 1991; G. Wallraff, Faccia da turco. Un "infiltrato speciale" nell'inferno degli immigrati, Milano, T. Pironti, 1986.

(6) M. Fortunato - Salah Methnani, Immigrato, Roma-Napoli, Theoria, 1990 (1997); P. Khouma, Io, venditore di elefanti. Una vita per forza fra Dakar, Parigi e Milano, a cura di O. Pivetta, Milano, Garzanti, 1990.

(7) P.A. Micheletti - S. M. Ba, La promessa di Hamadi, Novara, De Agostini, 1991; M. Melliti, Pantanella. Canto lungo la strada, Roma, Edizioni del Lavoro, 1992 e I bambini delle rose, Ibidem, 1995.

(8) R. Sibhatu, Aulò. Canto poesia dall'Eritrea, Roma, Sinnos, 1993 (1998); M. De Lourdes Jesus, Racordai. Vengo da un'isola di Capo Verde. Sou de uma ilha de Cabo Verde, Roma, Sinnos, 1996.

(9) N. Chohra, Volevo diventare bianca, a cura di A. Atti di Sarro, Roma, Edizioni e/o, 1993.

(10) Le voci dell'arcobaleno, a cura di A. Ramberti e R. Sangiorgi, Santarcangelo, Fara, 1995; Mosaici d'inchiostro, a cura di A. Ramberti e R. Sangiorgi, Ibidem, 1996; Memorie in valigia, a cura di A. Ramberti e R. Sangiorgi, Ibidem, 1997; M. Ghonim, Il segreto di Barume, Ibidem e La foglia di fico e altri racconti, Ibidem, 1998; R. De Sá, Indagini in stato di quiete, Ibidem; R. Crispim Da Costa, Il mio corpo traduce molte lingue, Ibidem; Destini sospesi di volti in cammino, a cura di A. Ramberti e R. Sangiorgi, Ibidem; Parole oltre i confini, a cura di R. Sangiorgi e A. Ramberti, Ibidem, 1999.

(11) J. M. Gangbo, Verso la notte bakonga, Milano-L'Aquila, Lupetti & Fabiani, 1999.

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