Rivista "IBC" VIII, 2000, 4
territorio e beni architettonici-ambientali / immagini, editoriali
Di là dalle immagini
Ma si è scelto questo volto placido e luminoso del grande fiume solo perché si pensi anche a quello minaccioso e violento delle acque in rivolta che invadono terre e case: ed è uno spettacolo doloroso che abbiamo visto, purtroppo, anche di recente, in giornate piene di lutti e di angosce. Si sa, come insegna l'esperienza, che di fronte alle calamità naturali per qualche giorno si moltiplicano denunce, proteste, rimpianti, recriminazioni, propositi, moniti, moralismi; poi troppe volte tutto si ferma a queste corali manifestazioni, che finiscono con l'essere solo un contrappunto di rito del cosiddetto "evento-notizia". Si dimentica presto anche il dolore e la pena.
Proprio quando tutto è tranquillo, occorre invece procedere a una politica reale e paziente del mondo naturale, con un riconoscimento scientificamente responsabile dei problemi e dei pericoli che vi sono strutturalmente legati per poter prevenirne gli effetti più gravi, e nel tempo sempre più irrimediabili. Le immagini del Po debbono, dunque, invitarci ad andare di là dalle immagini, a porci davvero la questione capitale del nostro rapporto con la natura, in una civiltà come la nostra minacciata, lo intuiva già il nostro Leopardi, dallo snaturamento. Il guasto ambientale è sotto i nostri occhi. Insieme con una adeguata politica di prevenzione, che presuppone come antefatto conoscitivo una esatta e capillare carta del rischio, ciò di cui abbiamo bisogno è una cultura diffusa che restituisca per quanto possibile alla natura il suo giusto valore di componente necessaria della nostra humanitas. Conviene più che mai dare ascolto alla saggezza di Gregory Bateson.
E d'altro canto anche i beni culturali non possono essere adeguatamente intesi e proposti senza il quadro naturale di cui fanno organicamente parte. Per questo si parla di paesaggio: non un'entità estetica, ma una unità di vita, un quadro totale di un reale vivente che dobbiamo imparare a "sentire" come momento costitutivo della nostra esistenza e del suo senso visibile. Su questa via ritroviamo quel limite che ora Pier Luigi Cervellati ci suggerisce di assumere come una risorsa. Il limite è una sfida per la nostra forza creativa, il segno del nostro dovere e della nostra responsabilità. Tra le cose che possono insegnarci le immagini placate delle acque padane può esserci anche questa: purché si sottoscriva insieme la legge implacabile del tempo, che non tollera indugi o ritardi. Prevedere significa anche, pensiamo, intervenire.
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