Rivista "IBC" VIII, 2000, 3
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / interventi, progetti e realizzazioni
Nell'aprile scorso si è svolto a Barcellona un seminario internazionale sul turismo culturale nel corso del quale è stato proposto un confronto tra le città capitali europee della cultura. Per incarico del Comitato Bologna 2000 ha preso parte all'incontro l'assessore provinciale Marco Macciantelli, di cui pubblichiamo il testo della relazione
Il 2000 si annuncia già onusto di gloria, ancor prima di aver dispiegato tutte
le sue conseguenze. Un anno, a suo modo, globale. Non c'è grande città che
non abbia immaginato qualcosa. A Londra, Parigi e Berlino. Sino a Roma,
impegnata come capitale della cristianità, a seguito della volontà espressa da
Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Tertio millennio adveniente.
Altrove, come ad Hannover, ci si sta occupando dell'Expo. Questo per dire che
non ci sono solo - specie in un anno così carico di simboli - le capitali
europee della cultura. Ma proprio per ciò, il Consiglio d'Europa ha colto nel
segno, quando, alla fine del 1995, ha voluto dare un adeguato dimensionamento
alla celebrazione del 2000, proponendo un network di ben nove città.
Avignone, Bergen, Bruxelles, Cracovia, Helsinki, Praga, Reykjavik, Santiago di
Compostela. E per l'Italia, Bologna.
Ogni città coinvolta in questi mesi sta cercando di proporsi come una porta d'accesso, al contempo, dall'Europa e verso l'Europa. Ma, in questa circostanza, a me spetta il compito di parlare soprattutto di Bologna, di Bologna 2000. Un progetto che si deve ad un'intesa tra Comune, Provincia, Regione, Camera di Commercio, Università, Governo nazionale. Nasce così il Comitato per Bologna 2000. Siamo nel luglio del 1997. Si attivano consulenti come Enzo Biagi, Umberto Eco, Luca Cordero di Montezemolo. Tutti e tre, a diverso titolo, legati a Bologna, per origini o attività. Logo leggiadro-delicato di uno dei principali pittori della Bologna del secondo dopoguerra, Pirro Cuniberti.
Bologna, come ogni città, è dotata di un suo carattere tipico. Un autore come Marcel Proust forse le avrebbe riconosciuto un profumo. Noi conosciamo bene i suoi colori, i suoi accenti. In un articolo pubblicato sul settimanale "Tempo", nel marzo del 1969, Pier Paolo Pasolini scriveva: "Cos'ha Bologna, che è così bella? L'inverno col sole e la neve, l'aria barbaricamente azzurra sul cotto". E subito dopo aggiungeva: "Dopo Venezia, Bologna è la più bella città d'Italia, questo spero sia noto". Anche noi lo speriamo. E, ad ogni buon conto, abbiamo lavorato e lavoriamo perché la speranza si affermi, si sviluppi, possa far maturare riscontri sempre più concreti.
Bologna ha alle spalle una tradizione che affonda le sue più lontane radici nell'età etrusca, documentata, presso il Museo civico archeologico, da una raccolta di reperti tra le più cospicue d'Italia. Tuttavia solo la romanizzazione di Bononia inaugurò, dal II secolo a.C., una fase decisiva per l'evoluzione della città, la cui fondazione (189 a.C.) diede luogo al nuovo insediamento sull'asse della via Emilia. Nella fisionomia di Bologna hanno influito, poi, i precetti stabiliti dagli statuti comunali a partire dal XIII secolo (il Comune sorse nel 1116).
Bologna, città turrita e porticata. Città dei quattrocentonovantotto scalini della torre degli Asinelli, dei quasi sessanta chilometri di passeggio all'aperto, dentro e fuori le mura, in un sistema, non solo architettonico, profondamente policentrico, dal capoluogo ai comuni più periferici. Città monumentale, ma senza trionfalismi. Modellata, nella sua parte più centrale, in epoca medioevale. È nel Duecento che nasce la "piazza grande". È alle soglie del Trecento che, coi suoi quasi cinquantamila abitanti, diventa più popolosa di Londra e Parigi e della stessa Roma (come ci ha ricordato la mostra di Eugenio Riccomini sul "Duecento").
Si aggiunga la posizione strategica, in tempi di accesi conflitti tra papato e autorità imperiale. L'orgoglio cittadino salì al massimo quando, di fronte alle mire di Federico II di restaurare l'autorità imperiale, fu inferto un grave colpo con l'umiliazione della cattura del figlio, il re poeta Enzo, nella battaglia detta della Fossalta (1249), cui seguì la sua lunga, "dorata" prigionia a Palazzo di re Enzo (sino alla morta sopraggiunta nel 1272).
Poi, il prestigioso Studium universitario, il più antico d'Europa (fondato, com'è noto, nel 1088), capace di richiamare studenti da tutta Europa. Furono quelli tempi anche di imprese religiose e civili; dalla nuova cinta muraria approntata al momento del più intenso flusso di popolazione dalle campagne, all'edificazione di complessi monastici e di chiese, da San Domenico a San Francesco. Mentre la prima pietra per la costruzione della basilica di San Petronio fu posta il 7 giugno 1390.
A metà del Cinquecento Bologna si presenta come un vivace cantiere nel quale verrà precisandosi la fisionomia moderna della città. Ne favoriscono il mutamento eventi d'eccezione quali l'incoronazione di Carlo V per mano di Clemente VII (1530) e la trasformazione in sede del concilio tridentino (1547). E, sul piano economico, la presenza di una fiorente industria tessile, che nel Seicento vedrà operanti più di cento mulini su canali derivati dal Reno sin dal Medioevo. Nel 1506 Giulio II include stabilmente Bologna nello Stato della Chiesa.
Bologna, ancora, "patria" di alcuni dei protagonisti del Novecento, come, tra gli altri, Giorgio Morandi (le cui opere sono da tempo ordinate in Palazzo d'Accursio) e Guglielmo Marconi (la cui Fondazione da tempo opera presso il Mausoleo della cittadina a lui intitolata a pochi chilometri da Bologna, Sasso Marconi).
Ma Bologna non è solo segnata dalla tradizione. Una recente ricerca del Dipartimento del turismo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri italiano illustra l'attuale grado di attenzione dei mezzi di comunicazione stranieri verso l'Italia. E spiega che, nella graduatoria degli eventi, troviamo il Gran Premio di Formula 1. Mentre gli altri aspetti per i quali Bologna viene ricordata sono lo shopping, e, in ordine alla notorietà delle manifestazioni fieristiche, il Motorshow.
Bologna, nel campo della cultura, sembra esprimersi, oggi, nel modello del distretto, analogamente alla sua tipica tradizione di sviluppo economico; un distretto di interconnessioni che vanno dalla comunicazione all'intrattenimento, dalle attività del tempo libero all'industria culturale in senso classico. Facoltà di discipline delle arti, della musica e dello spettacolo, Cineteca (oggi uno dei maggiori interlocutori italiani dell'Unione europea in campo culturale), scuola di giornalismo, massima diffusione delle attività del tempo libero, case editrici (da Zanichelli al Mulino), sistema bibliotecario, rete museale, attività teatrali e musicali, e Iperbole, la prima rete civica per l'accesso a Internet: ecco alcuni dei punti più rilevanti di questa rete distrettuale nella cultura.
Bologna poi, storicamente, è un anello stragegico di infrastrutture di trasporto, autostradali, ferroviarie e, da ultimo, anche aeroportuali (l'aeroporto ha superato i tre milioni di passeggeri l'anno, di cui almeno la metà internazionali, con previsione di un raddoppio nei prossimi anni). Un settore, questo, in cui la città può valorizzare la sua storica vocazione come porta d'accesso al contesto policentrico regionale. Grazie alla prossimità territoriale, l'Emilia-Romagna è una specie di città-regione, una rete di città-capitali storiche.
Sul piano della ricettività, il capoluogo conta oggi settantasei alberghi per circa quattromila camere e quasi settemilaquattrocento posti-letto. Tutta la provincia: trecentoquarantasette alberghi per oltre undicimila camere e circa ventimila posti-letto. Una struttura che serve soprattutto il circuito fieristico e congressuale, nel quale Bologna è seconda in Italia, quinta in Europa.
Ma essere "capitali europee della cultura" è soprattutto una chance. Dipende da come la si usa. Da quello che si fa. È evidente che non si diventa capitali per decreto. E, proprio per questo, l'occasione del 2000 può rivelarsi preziosa. Anche per Bologna. Da questo punto di vista occorre tenere presente che il mercato italiano delle visite ai beni culturali e ai luoghi di interesse storico-artistico, nel decennio che abbiamo alle spalle, ha registrato in Italia il tasso di crescita più elevato. Se guardiamo all'Emilia-Romagna scopriamo che la percentuale sul totale nazionale del patrimonio museale e dei beni culturali - laici e religiosi - è seconda solo alla Toscana (che è prima nel prodotto turistico culturale, mentre noi siamo ancora lontani dalle prime posizioni).
Il programma di Bologna 2000 cerca di esprimere un'identità collocata nella connessione tra passato e presente, tradizione e sperimentazione, con un'attenzione ai "luoghi" della cultura, anche nel senso dei nuovi contenitori e dell'insieme dei beni e delle attività culturali. Dopo il 2000, a lavori conclusi, Bologna potrà esprimere una vocazione, nella sua parte più centrale e pregiata, che rappresenta un orientamento strategico di tutto il suo contesto verso la cultura. Il cuore del programma, il suo nucleo più solido consiste nella saldatura tentata tra gli interventi previsti per le infrastrutture, da una parte, i beni e le attività culturali dall'altra.
Qualche esempio? In primo luogo, l'ex Sala Borsa, proprio nel centro della città, tappa della visita a Bologna del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi all'inizio dell'anno e di migliaia di bolognesi a partire dallo scorso mese di maggio, con una mediateca e centinaia di postazioni Internet a disposizione di tutti, come si addice alla tradizione della public library. Poi l'ex Manifattura Tabacchi, ripensata a seguito di un concorso di idee, in vista di uno "spazio pubblico polivalente". E ancora altri "contenitori" a destinazione culturale: come Palazzo Re Enzo, Palazzo Sanguineti, Santa Cristina. Insomma: il vero core business di Bologna 2000.
Quanto al palinsesto, due parti. La prima con idee proposte dalle principali istituzioni locali e non locali. La seconda, aperta alla realtà molteplice dell'associazionismo. In cifre: millequarantaquattro soggetti coinvolti. Progetti presentati al Comitato: novecentodiciassette. Di cui approvati con logo: centodiciotto. Cofinanziati: quattrocentotrentasei. Totale eventi: milletrecentocinquantuno. Concerti: duecentosettanta. Spettacoli: duecentosessantatre. Mostre: centottantasette. Convegni: centoquarantacinque. Laboratori: ottantatre. Seminari: ottantuno. Conferenze: settantasei. E le risorse: centocinquanta miliardi per le infrastrutture, tra impegni locali e nazionali. Circa sessanta per le manifestazioni.
Una buona piattaforma per far decollare una più forte relazione tra cultura e turismo e per un profilo meglio definito di Bologna nel rizoma policentrico delle città d'arte dell'Emilia-Romagna. Ben oltre il 2000.
Con un auspicio. Che il network voluto dal Consiglio d'Europa non esaurisca la sua azione alla fine dell'anno 2000. Che questo dialogo culturale intereuropeo possa proseguire. Uno dei turismi di domani è quello non già della quantità ma della qualità. Il turismo dell'esplorazione, della ricerca e della curiosità. Qui è una delle scommesse che abbiamo di fronte per corrispondere al ragionevole proposito di lasciare una traccia duratura, come si conviene, ben oltre le manifestazioni dell'anno 2000. Merita di essere meglio sviluppata la visione della nuova economia della cultura: costruzione del prodotto, pacchetti per il soggiorno, attivazione dei mercati, quindi promozione attraverso una coalizione di sforzi.
Al riguardo si può citare l'esperienza concreta che il Comitato Bologna 2000 ha avviato proprio in Spagna, coinvolgendo tour operators spagnoli, operatori emiliano-romagnoli e la compagnia Meridiana, che ha consentito di proporre pacchetti con tariffe promozionali, capaci di favorire la scoperta di Bologna a partire dall'anno in cui essa è capitale europea della cultura.
Nell'Europa che si sta configurando siamo in presenza di un nuovo protagonismo dei territori, che ormai tendono a proporsi autonomamente sul mercato, anche internazionale, pur appoggiandosi alle strutture all'estero, siano esse quelle offerte dalle ambasciate, dai consolati o dal tam-tam delle comunità. Anche qui bisogna prepararsi a sfide nuove. Ed è inutile ricordare ciò che tutti, più o meno, sanno. Siamo in presenza di un turismo mondiale che è in continua crescita: dall'inizio degli anni Sessanta ad oggi i flussi internazionali sono aumentati otto volte. Gli esperti ci dicono che nel 2020 il turismo sarà la più grande industria mondiale. E continua, specie nei paesi più sviluppati, una radicale trasformazione, tra denatalità, invecchiamento della popolazione, nuovi stili di vita e la "lunga marcia del tempo libero".
Queste premesse devono indurci a riflettere e a valutare meglio se, a partire dall'esperienza di collaborazione maturata quest'anno, non sia possibile costituire un club delle città capitali europee del 2000, sviluppando ulteriormente la sollecitazione del Consiglio d'Europa, nel ricordo del lavoro realizzato e in vista di ulteriori occasioni di partnership, da precisare in un dialogo che merita di non interrompersi.
Nella divisione internazionale del mercato turistico e in presenza dei processi in atto di unificazione europea, mentre i beni immateriali della cultura contribuiscono a dischiudere le prospettive della nuova economia, un tale club potrebbe andare nella direzione di anticipare processi di aggregazione proprio per la migliore costruzione di un prodotto turistico culturale integrato, un prodotto europeo, orientato ad esprimere la ricca molteplicità delle nostre culture.
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