Rivista "IBC" XXVII, 2019, 4

musei e beni culturali / mostre e rassegne

Tre crocifissi lignei e l'arte a Bologna tra Romanico e Duecento.
Imago Splendida

Gianluca del Monaco
[Dottore di ricerca in Storia dell'Arte, Università di Bologna]

A distanza di quasi vent’anni dalla memorabile, e probabilmente irripetibile, esposizione Duecento: Forme e colori del Medioevo a Bologna (Bologna, Museo Civico Archeologico, 2000), la mostra Imago splendida: Capolavori di scultura lignea a Bologna dal Romanico al Duecento, curata da Massimo Medica e Luca Mor, attualmente in corso al Museo Civico Medievale del capoluogo emiliano fino all’13 aprile, torna meritoriamente a riflettere su un’epoca artistica in cui la Bologna medievale toccò l’apice della propria floridezza e importanza culturale, grazie soprattutto alla presenza dello Studium giuridico, in grado di fungere da polo d’attrazione di respiro europeo. L’occasione è, in questo caso, l’eccezionale riunione di tre crocifissi lignei monumentali già restituiti da Mor a un’unica personalità verosimilmente bolognese attiva intorno agli anni Settanta del Duecento in un articolo uscito su Saggi e memorie di storia dell’arte nel 2003. Si tratta dei crocifissi con il più antico soggetto del Cristo vivo delle Collezioni Comunali d’Arte di Bologna (inv. S33), della Fondazione Giorgio Cini di Venezia (inv. FGC 21042), opera eponima del gruppo e della chiesa di Santa Maria Maggiore a Bologna, restaurato proprio per la mostra da Ottorino Nonfarmale e Giovanni Giannelli. I tre capolavori del Maestro del Crocifisso Cini sono affiancati da circa una quindicina di testimonianze di pittura, miniatura e arti preziose, dal Romanico tardo al Duecento, che contribuiscono a ricostruirne il contesto artistico e liturgico. I chiari e agili pannelli didattici a cura di Paolo Cova, con la collaborazione di Cristiana Danieli, aiutano il visitatore ad avere una prima informazione per meglio comprendere le opere esposte. Analogamente, un video realizzato dal Cineca con la consulenza scientifica di Fabio Massaccesi e la collaborazione di SAME Architecture permette di visualizzare l’originaria collocazione dei crocifissi monumentali all’interno dello spazio sacro, soffermandosi in particolare sul più antico esempio tardoromanico che può essere ammirato nella cattedrale di San Pietro, a pochi passi dalla sede della mostra. Strumento indispensabile per la conoscenza approfondita dei temi trattati è infine il catalogo edito da Silvana, che presenta cinque saggi introduttivi, le schede scientifiche delle opere esposte e i resoconti dei restauri dei crocifissi Cini e di Santa Maria Maggiore, ed è impreziosito da un ricco corredo iconografico con alcune stupende foto di dettagli a piena pagina.

L’esposizione è allestita nei due ambienti che costituiscono il Lapidario del Museo Medievale, le cui pareti sono state rivestite per l’occasione con un suggestivo colore viola, su cui spiccano i crocifissi monumentali. La prima sala costituisce una sorta di premessa ai tre crocifissi lignei, che dominano la seconda. Vi è infatti presentato un insieme di opere volte a contestualizzare i crocifissi lignei nello spazio liturgico a cui erano destinati, uno spazio, che oggi quasi sempre risulta completamente modificato rispetto alla situazione originaria a causa dei cambiamenti apportati agli interni ecclesiastici a partire dal XV secolo e specialmente dopo il Concilio di Trento nei Paesi cattolici. La mutazione più significativa risultò essere l’eliminazione di tutti quei dispositivi strutturali di più o meno marcata separazione tra l’area presbiteriale riservata ai religiosi e l’area del popolo dei laici, ovvero la navata, che si erano andati erigendo già dall’età carolingia e con più insistenza dal XII secolo in avanti, particolarmente nelle chiese officiate da comunità regolari, come cattedrali, abbazie, priorati, canoniche e le nuove fondazioni degli ordini mendicanti nel Duecento. Oltre che atte a occultare alla vista la zona principale della celebrazione liturgica intorno all’altare maggiore, tali strutture, denominate solitamente tramezzi o pontili, nel caso in cui fossero praticabili, erano anche supporto per immagini di varia natura rivolte verso il popolo, tra le quali il ruolo principale era ricoperto proprio dalla crux de medio ecclesiae, la croce trionfale normalmente posta al centro del tramezzo in asse con l’altare maggiore, secondo un evidente nesso di significato eucaristico. A questo proposito il video del Cineca che ricostruisce l’antico allestimento trionfale del pontile di San Pietro rappresenta l’ideale introduzione al percorso espositivo.
Il filmato, costituito da immagini, testi, musica e ‘rendering’ tridimensionali, si basa sulle ricerche di Fabio Massaccesi, presentate in maniera approfondita all’interno di un saggio illuminante in sede di catalogo, che fa il punto sull’assetto trionfale delle croci monumentali bolognesi, sia scolpite che dipinte, sui pontili delle chiese locali tra età romanica e gotica, ormai integralmente scomparsi, a parte il singolare caso di San Vittore. Per quanto riguarda la cattedrale, lo studioso si è basato su alcune piante e alzati noti, precedenti l’abbattimento dell’edificio romanico avviato nel 1570, nonché su fonti manoscritte, tra cui speciale importanza riveste una visita pastorale del 1437, per proporre un’ipotesi sull’assetto trionfale del pontile alla data 1417, quando fu issata la nuova croce dipinta da Jacopo di Paolo, che Massaccesi identifica con la croce opistografa oggi in San Giacomo Maggiore. Ora, su un lato di quest’ultima tavola sono dipinte solamente le figure dei terminali, lasciando supporre che vi fosse applicato un crocifisso ligneo, da riconoscere proprio nella più antica immagine tuttora sull’altare maggiore di San Pietro, come prova la lettura dei documenti e la verifica delle misure eseguite da Massaccesi. Il video si conclude efficacemente con il ‘rendering’ tridimensionale della sovrapposizione in scala della croce di Jacopo e del crocifisso romanico, preceduto dalla ricostruzione dell’assetto trionfale del pontile, in cui alla crux si affiancano alcune sculture in pietra erratiche, in parte già ricondotte al pontile della cattedrale da Medica. Come segnala Mor, l’unico appunto che si può fare a questa ipotesi ricostruttiva è l’assenza delle due statue dei dolenti, che fanno tuttora parte del gruppo ligneo della Crocifissione sull’altare maggiore, non necessariamente incompatibili con i dolenti nei tabelloni della croce di Jacopo. Un pregio da sottolineare della ricostruzione digitale proposta nel filmato del Cineca è l’attenzione a rappresentare solamente quanto basato su attendibili ipotesi storiche, lasciando il più possibile neutre e indefinite le parti su cui non si hanno informazioni sufficienti.

In apertura del suo saggio, Massaccesi richiama l’attenzione sull’inizio del Libro III delle Decretali di papa Gregorio IX, fondamentale testo di diritto ecclesiastico promulgato nel 1239, dove, riportando una delibera del Concilio di Magonza (813), si afferma che il clero e il popolo devono rimanere divisi durante la celebrazione. Questo passo ha dato vita a una ricca tradizione illustrativa nei codici miniati delle Decretali di origine sia italiana che transalpina, dove è rappresentata la separazione tra religiosi e laici durante la liturgia eucaristica. La mostra espone a tal riguardo un pregevole ritaglio della Fondazione Cini (inv. FGC 22017) con l’ Elevazione dell’ostia, attribuibile alla mano di un miniatore del cosiddetto ‘primo stile’ bolognese intorno agli anni Settanta del Duecento, noto come Maestro delle Decretali di Lucca. Sull’altare raffigurato nella miniatura sono visibili un calice e un messale aperto, strumenti fondamentali per la celebrazione della messa. Due bacheche danno conto della vasta e magnifica produzione artistica di oggetti adoperati nello svolgimento della liturgia. Meritano di essere segnalati in particolare il prestigioso messale miniato del vescovo Martino di Modena (Parma, Biblioteca Palatina, ms. Parm. 996), eseguito nel secondo decennio del Duecento, già studiato da Medica e Giusi Zanichelli e in questa occasione da Cova, mirabile esempio della rielaborazione del classicismo bizantino portata avanti in area padana ad inizio del secolo in sintonia con la scultura di Antelami e in parallelo con le esperienze dell’Europa settentrionale, nonché alcuni capi d’opera delle arti preziose tra tardoromanico e Duecento, prestati da importanti istituzioni italiane come il Museo Civico d’Arte Antica di Torino, i Musei Diocesani di Padova e Trento o lo stesso Museo Medievale di Bologna. Gli oggetti esposti, data la loro origine per lo più oltremontana, evocano inoltre la circolazione europea di modelli figurativi che doveva essere veicolata dall’oreficeria sacra nella Bologna del tempo, anche se purtroppo non ci sono rimaste testimonianze di tale genere di produzione per il centro emiliano a date così precoci, come fa opportunamente notare Manlio Mezzacasa all’interno del catalogo.
La prima sala si chiude sulla croce dipinta delle Collezioni Comunali (inv. P61), forse proveniente dalla chiesa di Santa Maria del Tempio. L’opera apre al tema centrale dell’esposizione, ovvero le croci monumentali duecentesche che un tempo si ergevano sui tramezzi delle chiese bolognesi. Nel campo della loro declinazione in pittura, come spiega Medica nel bel saggio in catalogo, la produzione felsinea dopo la metà del secolo fu dominata dai colti modelli bizantineggianti con il Christus Patiens di Giunta Pisano, al quale fu peraltro commissionata la sublime croce di San Domenico, verosimilmente realizzata in prossimità della consacrazione dell’edificio nel 1251. Della fortuna di quest’opera in città rende conto in mostra la Crocifissione miniata sul ‘bas−de−page’ di carta 94r da un altro rappresentante del ‘primo stile’, il Maestro del Collettario, nel lezionario realizzato negli anni Sessanta per la comunità domenicana femminile di Santa Maria Maddalena di Val di Pietra (Bologna, Museo Civico Medievale, ms. 514). Il protagonista della diffusione dei modelli giunteschi a Bologna fu, a partire dagli anni Sessanta, un pittore di origini umbre, noto come il Maestro dei Crocifissi Francescani a causa della destinazione di molte sue croci a sedi minoritiche. Medica collega giustamente la croce delle Collezioni Comunali al frammentario affresco della Crocifissione ritrovato pochi anni fa nella cripta di San Colombano e restituito dallo studioso medesimo al Maestro dei Crocifissi Francescani. Per queste ragioni non mi sentirei di escludere del tutto la pertinenza del dipinto a questa stessa bottega, seppur a un grado di esecuzione meno nobile rispetto al maestro, piuttosto che vedervi la mano di un altro anonimo giuntesco dipendente dal Maestro dei Crocifissi Francescani, come invece preferisce Medica.
La seconda sala presenta la mirabile adunata dei tre crocifissi lignei del Maestro del Crocifisso Cini, esposti da sinistra a destra secondo la sequenza cronologica ipotizzata da Mor, che nel catalogo vi dedica un saggio fondamentale per gli studi sulla scultura lignea bolognese tra XII e XIII secolo. Il numero più antico è rappresentato dal crocifisso delle Collezioni Comunali, unito a una croce, i cui terminali furono dipinti nella seconda metà del Trecento dal celebre pittore bolognese Simone di Filippo, detto dei Crocifissi, e purtroppo privato della sua policromia in un restauro del 1967. Questa circostanza richiama una difficoltà comune nella valutazione della scultura lignea, specialmente medievale, ovvero la sua esposizione a ridipinture e manomissioni, soprattutto a partire dall’età moderna, per addolcirne le fattezze ritenute troppo arcaiche per una loro adeguata funzionalità devozionale. Come ricorda Mor, questo aspetto, insieme alla dispersione del patrimonio originario, ha contribuito alla sfortuna negli studi della scultura in legno. Tornando all’opera delle Collezioni Comunali, le osservazioni svolte da Silvia Battistini in occasione della mostra hanno permesso di stabilire che la croce con i terminali dipinti da Simone risale verosimilmente alla metà del Duecento ed è stata riassemblata col crocifisso scolpito in un momento successivo. La studiosa propende a collocare quest’ultimo frangente vicino alle demolizioni dell’abside di San Procolo nel 1535, accogliendo l’ipotesi di Medica di una destinazione del crocifisso ligneo al pontile della chiesa benedettina, vista la dipendenza della Madonna del Monte, da cui l’opera proviene con ogni probabilità, dai monaci di San Procolo a partire dal 1456. Tuttavia, in attesa di ulteriori indagini, mi sembra altrettanto sostenibile la possibilità che l’operazione dati sia piuttosto riconducibile al tempo dell’intervento di Simone, negli anni Settanta del Trecento o al più tardi all’inizio del decennio successivo, quando diventò abate di San Procolo Giovanni di Michele (1383 − 1407), di cui sono noti i lavori promossi nella chiesa, come suggerisce Medica.
Non era facile dare conto in mostra dei complessi riferimenti al cosiddetto ‘stile 1200’ e al gotico maturo sia italiano sia transalpino che sono alla base delle istanze naturalistiche del Maestro della Crocifissione Cini, dottamente dipanati da Mor nel suo saggio. Riescono comunque nell’intento, soprattutto riguardo ai dettagli particolarmente innovativi del perizoma asimmetrico, delle gambe incrociate e dei piedi sovrapposti e trafitti da un solo chiodo, la vetrata con la Crocifissione del Museo Medievale, opera di una maestranza francese e forse proveniente dall’antica fabbrica gotica di San Domenico, consacrata nel 1251, e la miniatura con la Crocifissione in un antifonario dal convento domenicano femminile di Sant’Agnese (Bologna, Museo Civico Medievale, ms. 516, c. 119r), esempio di ‘primo stile’ bolognese sul 1265 − 1270, nonché i richiami opportunatamente offerti dai pannelli didattici. Il ‘name piece’ del gruppo, fatto oggetto di un restauro nel 2011, che ne ha recuperato la policromia cinquecentesca, appare connotato da una decisa accelerazione gotica, che, oltre a una più profonda assimilazione dei modelli d’Oltralpe, presuppone la conoscenza dell’arca di San Domenico, eseguita da Nicola Pisano e dalla sua bottega negli anni 1264 − 1267. L’importanza di questo riscontro, osservato dallo stesso Mor, suggerirebbe di anticipare la datazione del crocifisso più antico a prima di tale frangente, come rileva Andrea De Marchi. Conclude il percorso il crocifisso di Santa Maria Maggiore, di cui il sapiente restauro eseguito per l’occasione ha recuperato lo strato pittorico tardo − quattrocentesco. Pur riprendendo la più arcaica impostazione frontale del Triumphans, la figura denota effettivamente un’ulteriore maturazione nell’assottigliamento del corpo e nel morbido intaglio. La scelta retrospettiva di rifarsi al tipo del Triumphans è intelligentemente giustificata da Mor mediante il rapporto con il gruppo tardoromanico della Crocifissione in cattedrale, alla quale il capitolo dei canonici di Santa Maria Maggiore era strettamente legato. Del resto, è documentata anche l’originaria presenza di due statue di dolenti, andate smarrite. Nonostante non sia fisicamente presente nel percorso espositivo, il gruppo di San Pietro è dunque evocato alla fine della mostra come al suo inizio, così da metterne in luce la straordinaria importanza nel panorama figurativo bolognese tra Romanico tardo e Duecento. Per inciso, convincono particolarmente le ascendenze francesi, e in particolare linguadocane, del suo autore, messe in luce da parte della critica, che Mor spiega come frutto di viaggi che avrebbero portato l’artista dalle vallate sudtirolesi, sua patria d’origine, fino in Galizia, dove lo studioso gli attribuisce un analogo gruppo ligneo, per approdare infine a Bologna, dove avrebbe eseguito la Crocifissione al centro del pontile della cattedrale in tempo per la sua consacrazione nel 1184.

La mostra Imago splendida ha dunque il merito di fare nuova luce su un segmento della produzione artistica bolognese ancora non sufficientemente indagato, presentandosi come un caso esemplare di quelle esposizioni nate da anni di rigorose ricerche sul patrimonio culturale del territorio a cui i Musei Civici di Arte Antica ci hanno abituato ormai da diversi anni.

Riferimenti bibliografici:  

Imago splendida: Capolavori di scultura lignea a Bologna dal Romanico al Duecento, a cura di Massimo Medica e Luca Mor, Bologna, Museo Civico Medievale, 23 novembre 2019 − 13 aprile 2020, catalogo edito da Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, Milano.

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