Rivista "IBC" XXIII, 2015, 1
musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni
La mostra "Il Bel Paese", allestita al MAR, il Museo d'arte della città di Ravenna; fino al 14 giugno 2015, nasce all'insegna della continuità. È questa la parola chiave implicita nel breve scritto introduttivo al catalogo di Claudio Spadoni. L'esposizione, in sintonia con lo sforzo più che decennale con cui il museo di Ravenna ha organizzato le sue esposizioni artistiche, si propone di esaminare e far conoscere un periodo storico. Anche andando in contrasto con l'"eventite", ovvero la tendenza contemporanea ad attirare l'attenzione del pubblico su singole iniziative di forte richiamo, ma troppo spesso slegate tra loro.
Il periodo abbracciato va dall'unificazione politica dell'Italia allo scoppio della Prima guerra mondiale. Dal lento incedere di un Ottocento che Longhi, se possibile, avrebbe impietosamente cancellato dalla storia dell'arte del nostro paese, all'avvento turbinoso e rivoluzionario di un "Futurismo" che voleva preparare il "Bel Paese" alla modernità e che raccolse significativi consensi internazionali; finché la guerra "ha posto sotto altra luce anche le utopie dell'avanguardia, schiudendo la via a un ripensamento dell'antico che ben poco aveva a che vedere con la tradizione ottocentesca". In mostra, infatti, è rappresentata una breve rassegna di pittori che sembrano vivere in sospensione e guardano criticamente al Futurismo, forse ponendosi la domanda se quella sia la strada "giusta" da percorrere.
Se l'irrisolta contrapposizione fra l'aneddotico "Ottocento" e la fulminea irruzione del Futurismo, con la celebrazione della macchina e della velocità, sembra essere il tema centrale della mostra, potrebbe anche essere una chiave interpretativa per riflettere sul nostro presente. Il titolo della mostra deriva da un'opera letteraria dell'abate Antonio Stoppani, scritta nel 1876 per abituare il popolo italiano a pensare il nostro paese in modo unitario. Molto prima di Stoppani, però, Dante nell' Inferno scrive del "bel paese là dove 'l sì sona" (riferimento esplicito alla lingua parlata in Italia) e Petrarca, nel Canzoniere, sintetizza un'immagine unitaria con i celebri versi "il bel paese / Ch'Appennin parte e 'l mar circonda e l'Alpe". Per una strana ironia, però, dalla storia e dalla letteratura l'immagine confluirà infine in un prodotto alimentare, il formaggio commercializzato nel 1906 dalla Galbani. Oltre i confini cronologici della mostra, si guarda dunque da una parte alla "classicità", che si staglia solo implicita, punto di riferimento inevitabile, luogo della mente in cui ci rifugiamo a garanzia di un futuro di cui riappropriarci. Dall'altra, osserviamo una "modernità", che, oltre il "Futurismo", chiama in causa il modello di sviluppo contemporaneo, economico e culturale.
Il taglio quasi antropologico scelto da Claudio Spadoni, curatore della mostra e del catalogo, fa del volume uno strumento più che mai indispensabile, da accostare alle opere esposte. Antonio Patuelli, nel suo lungo excursus storico, oltre a considerare centrali i controversi rapporti tra Stato e Chiesa e a confermare per l'Italia contemporanea l'importanza dei valori risorgimentali, evidenzia le allarmanti contraddizioni apertese nel passaggio dal mondo ottocentesco dei Macchiaioli al Futurismo e da questo alla guerra, negazione dell'Umanesimo, manifestazione di disumanità.
Nella sua pregnante analisi sulla nascita degli stati moderni, Roberto Balzani raffronta le peculiarità e le problematiche italiane con quelle di altri paesi europei e quando, verso la fine del suo appassionante saggio, afferma che "i trafori presero il posto delle meraviglie naturali", non può non far pensare, oggi, all'annosa questione della Val di Susa. Marco Antonio Bazzocchi fa un interessante parallelismo fra il Bel Paese visto da pittori e viaggiatori nel Grand Tour e quello cantato soprattutto da Pascoli e Carducci.
Di rara capacità introspettiva, infine, è il saggio di Sandro Parmiggiani, che descrive l'icona della mostra - la Fanciulla sulla roccia a Sorrento di Filippo Palizzi - come l'immagine di un periodo oltre il quale non sembra esserci il coraggio di voler guardare. L'autore si chiede alla fine del saggio che cosa scrutasse all'orizzonte quella fanciulla del 1871. Se la risposta che si dà è corretta - la ragazza "stava sognando un altro paese" - allora bisognerebbe temere il giorno in cui, fra oltre cento anni, qualcuno si ponga la stessa domanda davanti a un'immagine dei nostri giorni, pensando a qualcosa di irrimediabilmente perduto.
Il Bel Paese. L'Italia dal Risorgimento alla Grande Guerra, dai Macchiaioli ai Futuristi, a cura di C. Spadoni, Genova, Sagep Editori, 2015, 303 pagine, 30,00 euro.
Azioni sul documento