Rivista "IBC" XX, 2012, 2
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Stai passeggiando tranquillamente nella piazza della tua città. Senti una melodia. "Sarà il violino del solito artista di strada", pensi. No, no... I musicisti sono due, tre, dieci, trenta: un'intera orchestra ti conduce verso il teatro. Che fai? Non entri?
Dal 2007, l'orchestra "Spira mirabilis" si ritrova in realtà di provincia per portare avanti un tentativo di formazione professionale continua, una sorta di lifelong learning che nasce dall'esigenza dei singoli musicisti di approfondire un'unica partitura scelta dal repertorio cameristico o sinfonico. Il nome deriva dalla spirale logaritmica che risulta sempre sovrapponibile a sé stessa: in modo analogo, il gruppo mantiene la propria identità indipendentemente da quanti elementi ne prendano parte.
Quello che non ti aspetti è che non si tratta di musicisti qualunque: fanno parte delle migliori orchestre europee. Provengono da Italia, Stati Uniti, Slovacchia, Giappone, Israele, Corea, Panama e l'elenco sarebbe ancora molto lungo! Quasi tutti hanno meno di trenta anni e... suonano senza il direttore d'orchestra (www.spiramirabilis.com).
"Con le dovute eccezioni, ma solitamente la comunicazione che viene fatta su di noi mette l'accento sulle cose sbagliate. La presunta giovane età dei componenti, suonare senza il direttore, i concerti improvvisati... Le cose giuste sono ritenute noiose. La cosa giusta è che si tratta di un gruppo di persone che si ritrova per studiare, che lavora molto di più ma che guadagna molto meno. In questo non c'è nulla di buono per il marketing". Approccio deciso quello di Timoti Fregni, violinista, classe 1980, studente di viola dall'età di 8 anni, già molte esperienze in Europa, una speciale passione per il linguaggio dello stile classico, su strumenti d'epoca. Viene voglia di chiudere il taccuino, di spegnere il registratore. In fondo, gentilmente ti è stato detto: "Di quello che scrivi non me ne importa nulla!". Ma è troppo forte il bisogno di cercare di capire come fanno questi ragazzi a portare davanti a una sinfonia di Beethoven o di Schumann centinaia e centinaia di persone che mai avevano ascoltato la musica classica.
Nella motivazione sta la prima risposta. Il valore del progetto, sostengono i musicisti, è nel fare, al meglio delle possibilità di ognuno, il proprio dovere. Alla base c'è un'informazione che tutti devono avere e c'è un retroterra musicale, che si può tradurre in un'identità comune, in parte costruita all'interno del gruppo. L'orchestra, che ha raggiunto un massimo di cinquanta elementi, è formata da musicisti con ruoli diversi, parimenti rispettati, per cui "i leader ascoltano chi leader non è, e chi leader non è può dire al leader come fare il leader". Lo si capisce meglio analizzando il processo che porta all'esecuzione di un pezzo.
Al centro del dibattito, naturalmente, c'è l'interpretazione dell'opera: il lavoro del direttore d'orchestra. Le prove iniziano con una sorprendente lettura cantata dello spartito, che permette di farsi un'idea su ritmo, accenti e contrasti. I musicisti si dispongono in cerchi concentrici per tenersi a portata di sguardo; qualcuno si allontana per ascoltare "dall'esterno" l'effetto che fa; tutti hanno lo spartito dell'intera orchestra, non solo quello del proprio strumento. "Hanno lavorato per tre ore e mezzo sul primo movimento, che dura circa dieci minuti durante l'esecuzione", ha scritto Tom Service sul "Guardian": "Ogni dettaglio del fraseggio, dell'articolazione, della velocità e dell'intensità è stato discusso da ognuno, dai secondi violini al primo oboe, prima che il gruppo fosse d'accordo su una visione collettiva".1
Senza arrivare alla comparazione che il giornalista inglese fa con le sedute del parlamento europeo (a mio parere un po' azzardata!), rimane il fatto che questo metodo dialogico, corale e condiviso, ritorna al pubblico come verità. La "Spira mirabilis" non solo condivide con esso il proprio lavoro, ma è come se rendesse comune anche la forte aspirazione a un alto livello qualitativo della proposta: pertanto, tra le parti, si instaura un rapporto di fiducia piena.
È proprio sulla qualità, insieme alla diversificazione dell'offerta, che si gioca il rapporto con il potenziale fruitore di cultura. Se i dati significano qualcosa, quelli emersi dall'ultimo report dell'Osservatorio dello Spettacolo della Regione Emilia-Romagna inducono quantomeno a una riflessione: il numero degli spettacoli dal vivo in regione cresce (+1,4%) mentre il pubblico cala (-3,7%).2 Ovviamente "puntare in alto" comporta molti rischi e una certa fatica. Le parole di Lorenza Borrani - il primo violino, colei che conduce le partenze, controlla l'esattezza, la coesione, l'equilibrio dell'esecuzione - sono rivelatrici: "Io, a volte, non ci dormo la notte per certe responsabilità." - confida - "E si tratta di un progetto molto circoscritto! In ogni caso, vorrei che la gente uscisse da un concerto e dicesse: 'Bella la Settima di Beethoven!'. Invece, esce dicendo: 'Bravi', a noi". Fa strano sentirlo proprio da lei. "Violinista fantastica", "Arcata stupenda, classe, energia", come ha scritto Carla Moreni sul "Sole 24 Ore",3 collabora in veste di guest-concertmaster con alcune tra le più importanti realtà musicali; dal 2008 è leader solista della Chamber Orchestra of Europe. Nel 2008, a Bologna, Roberto Benigni la coinvolse in un inusuale valzer durante l'esecuzione di Pierino e il Lupo di Prokofiev.
Ma che c'è di così eccezionale nelle esecuzioni della "Spira mirabilis"? Insomma, che cosa apprezza il pubblico? Ecco: questa orchestra offre un'esperienza. Già dalla fine degli anni Novanta, gli economisti della cultura hanno osservato come il pubblico cerchi un rapporto più diretto e interattivo con l'oggetto culturale; questa teoria è stata in seguito sistematizzata dagli esperti dei consumi culturali e particolarmente utilizzata dal marketing turistico.4 In Italia, il dibattito sull'argomento, relativamente alla musica classica, è ancora un po' acerbo, ma ne delinea i tratti Alessandro Roveri nel suo blog sul "Giornale della Musica" (www.giornaledellamusica.it):
Leon Botstein, il direttore dell'American Symphony Orchestra, nel 1999 ha pubblicato sulla rivista della Oxford University Press un articolo dal titolo The Audience. Lo scritto si apre con una citazione sconcertante da Ezra Pound, che traduco e riporto parzialmente: "Nessun esecutore può affidarsi all'emozione del pubblico. La musica nella sala da concerto deve contare solo su sé stessa e sulla perfezione della sua esecuzione; come fosse sotto una campana di vetro. I membri del pubblico sono spettatori, che guardano qualcosa di cui non fanno in nessun modo parte, e quella cosa dev'essere in sé conclusa. Ne parlo in modo piuttosto pesante, ma non è una sciocchezza, e centinaia di carriere musicali sono state confuse proprio perché l'esecutore non ha capito quanto la musica dovesse condurre una vita interamente autonoma; quanto essa debba avere una propria esistenza, separata dal pubblico; quanto profondamente inutile sia mescolare il pubblico con la performance". Era il 1918, e Glenn Gould di là da venire. Ma oggi la tradizione della sala da concerto ci ha portato ad ascoltare musica in spazi assolutamente isolati dal mondo esterno. Creiamo l'illusione e quasi una precondizione di silenzio assoluto. Tossire, agitarsi, scartare una caramella o fare qualsiasi altro rumore è un sacrilegio, segno di ignoranza; interventi di un pubblico la cui presenza, a eccezione dell'applauso finale, deve restare del tutto inudibile. Beethoven avrebbe trovato questa concezione semplicemente assurda - commenta Botstein nell'articolo - e dopotutto, a differenza del 1918, noi oggi possiamo ascoltare e vedere brillanti esecuzioni, assolutamente perfette, in totale isolamento sonoro, in cuffia, a casa nostra... Chi ha ancora bisogno di concerti dal vivo, o di un pubblico?
Pronta la risposta della "Spira mirabilis", nelle parole di Francesco Bossaglia. Diploma in corno con il massimo dei voti e cum laude, una laurea presso la Roosevelt University di Chicago, dal 2007 lavora come direttore assistente per l'Accademia del Teatro alla Scala, nell'ambito del progetto sul repertorio moderno e contemporaneo: "Soltanto la musica di oggi nasce per essere diffusa attraverso mezzi tecnologici. Non dobbiamo piegare la musica classica ai nuovi strumenti, bensì ricercare la dimensione per cui è nata: una dimensione viva, di relazione anche fisica. Noi non viviamo fuori dal nostro tempo; per fare un esempio: l'evento facebook sull'esibizione della 'Spira' lo facciamo ma sono scettico nel vedere il video streaming di un concerto che accade a molti chilometri di distanza, perché l'esperienza risulta snaturata. Dobbiamo cavalcare la globalizzazione finché ci permette di spargere l'informazione, allo stesso tempo dobbiamo combatterla per trovare una dimensione piccola, personale, intima".
Si tratta della dimensione che i musicisti ritrovano in cittadine come Formigine, nel Modenese, dove il sindaco, senza retorica, si rivolge a loro definendoli "i nostri figli"; ma anche Vicchio, in Toscana, dove l'avventura della "Spira" è iniziata, o Vignola (ancora nel Modenese), presso il convento dei frati Cappuccini. Il pubblico abituato ad andare ai concerti non ascolta più, osservano i musicisti. In contesti meno formali, invece, le persone applaudono tra un movimento e l'altro, cosa peraltro storicamente più corretta. Inoltre fanno domande, si trattengono con l'orchestra, si parla di musica. Chi è, allora, l'ignorante? L'istintivo che non ha mai sentito un concerto, o chi ne ha sentiti così tanti fino a essere schiavo di una consuetudine?
In un certo senso, si supera la nota tesi di Walter Benjamin secondo cui la riproducibilità tecnica, sottraendo aura all'opera d'arte, renderebbe quest'ultima parte della quotidianità.5 Per la "Spira mirabilis" è il mantenimento dell'aura (l'hic et nunc) a rendere quotidiana l'opera d'arte, in questo caso l'esperienza musicale. Si arriva, così, a una definizione ampia di cultura, che i componenti della "Spira" chiamano "ciò di cui si vive". Una definizione molto vicina a quella richiamata da Massimo Mezzetti, l'assessore alla cultura della Regione Emilia-Romagna, che insieme alla Fondazione Cassa di risparmio di Modena ha colto l'invito del Comune di Formigine: dare la possibilità alla "Spira mirabilis" di potere continuare a crescere nel territorio in cui si è sviluppata. "Come diceva Thomas Eliot" - ha ricordato Mezzetti - "la cultura non è una mera somma di attività, ma un modo di essere e di vivere di una società: sta a noi, anche come istituzioni pubbliche, fare vivere la cultura come fosse un pane quotidiano".
Come dicono i musicisti, per capire qualcosa della "Spira" bisogna andare "a sentirla e a vederla". Una speciale occasione è stata offerta dall'Haydn Fest, che si è svolto a Formigine lo scorso marzo nei locali della polisportiva, in attesa dell'inaugurazione della sala da concerto, al progetto della quale hanno collaborato anche i componenti dell'orchestra. Durante il festival, i musicisti hanno annunciato di essere stati nominati dall'Unione Europea "ambasciatori della cultura europea" ed è stato proiettato in anteprima il lungometraggio su di loro, selezionato come "miglior film nella sezione educational" al Festival internazionale del film d'arte in Canada. Al produttore, Pierre-Olivier Bardet, lasciamo un ultimo ritratto di questo progetto straordinario:
Dopo qualche secondo di concentrazione tutti sono sulla stessa lunghezza d'onda, silenziosi, percependo nei loro corpi la presenza dei corpi degli altri, del gruppo intorno a loro. Poi, come mossi da un richiamo silenzioso, un'inspirazione collettiva - udibile, come quella di un gruppo di sportivi che stanno per tuffarsi in una piscina olimpionica - percorre come un fremito comunicativo il gruppo, precedendo di qualche centesimo di secondo il dilagare della musica. Allora il gruppo è come percorso da un'onda e la musica letteralmente si vede nei loro corpi tesi, danzanti, talmente vivi... L'esperienza musicale, normalmente resa visibile dalle mani e dalla bacchetta del direttore d'orchestra, dai suoi occhi o dalla sua mimica, tra gli "Spira" penetra in ogni musicista del gruppo, trasfigurando e rendendo ognuno intensamente espressivo, come un direttore ispirato. Suonare senza direttore delle sinfonie di Schubert, Beethoven o Schumann non è tanto una questione di meccanico sincronismo - partire insieme, non sfalsare... - quanto un imperativo etico ed estetico che il gruppo impone a sé stesso e dunque a ogni suo membro: incorporare la musica, nel vero senso del termine, attraverso le lunghe ore di prove. Per vivere fisicamente insieme, creando i tempi dell'interpretazione di un'opera, un'armonia visibile.
Note
(1) T. Service, The best way to improve an orchestra? Get rid of the bloke with the baton, "The Guardian", 12 luglio 2011.
(2) Osservatorio dello Spettacolo della Regione Emilia-Romagna. Report 2010 (www.cartellone.emr.it/cartellone/osservatorio/pagine/seguereport.htm).
(3) C. Moreni, Liberi suoni in liberi prati, "Il Sole 24 Ore", 11 luglio 2010.
(4) Si vedano in proposito: B. S. Frey, Superstar Museums: An Economic Analysis, "Journal of Cultural Economics", 1998, 22, pp. 113-125; L. Uusitalo, Consumption in postmodernity, in The active consumer. Novelty and Surprise in Consumer Choice, a cura di M. Bianchi, London, Routledge, 1998, pp. 215-235; G. Dall'Ara, Le nuove frontiere del marketing nel turismo, Milano, Franco Angeli, 2009.
(5) W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, Torino, Einaudi, 1991.
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