Rivista "IBC" XX, 2012, 2
musei e beni culturali / immagini, mostre e rassegne, pubblicazioni
Mentre a Reggio Emilia, nell'ambito del "Festival di Fotografia Europea", una mostra ha celebrato Henri Cartier-Bresson, proponendo la riedizione di uno dei suoi più significativi percorsi, "Des Européens", dedicato alla rinascita del vecchio continente dopo il secondo conflitto mondiale, un'altra esposizione sta attraversando la penisola e potremmo affermare che, idealmente, riguarda anche lo stesso ineguagliabile maestro francese, perché è realizzata con gli scatti di nove fotografi dell'Agenzia Magnum, di cui egli fu tra i nomi di spicco, e perché tanti sono i suoi scatti dedicati all'Italia. Si tratta della mostra, "L'Italia e gli Italiani. Nell'obiettivo dei fotografi Magnum", promossa e organizzata da Intesa Sanpaolo nell'ambito di "Progetto Cultura". Inaugurata nel dicembre 2011 a Torino, in un'ala del Palazzo Reale riaperta appositamente per questo evento, in occasione del centocinquantesimo dell'Unità, l'esposizione è stata allestita a Napoli alle Gallerie d'Italia - Palazzo Zevallos Stigliano dal 30 marzo al 24 giugno 2012.
Scriveva Francesco Arcangeli nel 1957: "Questo nostro paese è fatto di luoghi, di province che, quando toccano terra in profondo, ritrovano per risorgiva una loro grande storia e subito sono universali, almeno quanto le grandi città". Potrebbero essere queste considerazioni un viatico all'esposizione. Sottesa alla mostra - sontuosa per numero di immagini e suggestioni - e al bel catalogo bilingue che ne assicura un'efficace e preziosa memoria (entrambi curati da Gianfranco Brunelli e da Dario Cimorelli), c'è l'idea del Grand Tour, ma contestualizzato nel terzo millennio. Rivisitato, dunque, e aggiornato, pur muovendo da un'idea classica, letteraria e suggestiva, per approdare all'immediatezza documentaria, al racconto essenziale di un fotogramma.
L'obiettivo osserva, denuncia, scopre, memorizza, stupisce e incalza con domande e confronti. Lancia messaggi di speranza, rimuove luoghi comuni e stereotipi dai quali possono essere tentati anche i grandi artisti, per il fatto stesso che confermano un'idea a cui si è affezionati. Il tour che le immagini propongono non si sottrae a statistiche, a numeri e percentuali, che si ritrovano sui pannelli dell'esposizione e sulle pagine del catalogo. Il volume si apre con un saggio di Marco Antonio Bazzocchi, L'Italia vista dalla luna, uno dei tre contributi del libro, insieme a quelli firmati da Pippo Ciorra, Momenti e Monumenti, e da Flaminio Gualdoni, Idee d'Italia. Bazzocchi riflette sui diversi linguaggi - quello della letteratura, quello del cinema, quello dei reportage giornalistici - che negli anni Cinquanta hanno diretto l'attenzione su una quotidianità e su fisionomie umane e sociali normali, semplici, anonime. Ma capaci di esprimere, in modo forte, l'ambiente e le sedimentazioni legate al paesaggio, a una storia remota. Sono anni in cui la fotografia sull'Italia conosce un nuovo linguaggio; di questa novità di approccio sono artefici, in diversa misura, gli intellettuali. Un esempio lo si può rintracciare nel modo di raccontare un paese e, attraverso questo, il Paese, così come avviene nell'incontro tra Cesare Zavattini e il fotografo Paul Strand, che insieme narrano Luzzara: è il 1955.
Muta la storia della fotografia che ritrae l'Italia, che ne espone luoghi e volti, spesso rivelati o inquadrati per la prima volta. Mutano sguardi ed espressioni, cambiano le finalità dei racconti fotografici. Lo spirito con cui, per sei mesi, i nove della Magnum hanno fotografato l'Italia, lo si intuisce dai titoli delle nove sezioni della rassegna, ciascuna affidata a un solo obiettivo. Non è casuale che si cominci da quella dedicata al Mare, di cui è autore il canadese Christopher Anderson. Il destino del paese è da sempre compenetrato con il mare, che chiama e richiama culture e uomini da ogni dove, incidendo una grande storia sui tanti chilometri delle sue coste belle e scempiate senza ritegno. Ma le trasformazioni inquietanti riguardano anche Nuove Mura, il secondo passaggio, in cui l'irlandese Donovan Wylie racconta un dentro e un fuori città, fatto di architetture e paesaggi nei quali la campagna è affogata, sommersa da viadotti, capannoni, un'assillante assenza di vuoto. A questo scenario ben si salda il terzo obiettivo, quello del sudafricano Michael Subotzky (il più giovane dei nove, nato nel 1981), dedicato alle Nuove Piazze, luoghi diversi dell'aggregazione umana e sociale, scandita da ritmi e rituali di incontro, condizionati da esigenze nuove che necessitano di platealità, oltre che di uno spazio dove poi si può respirare solitudine affollata.
La sezione successiva, Luoghi della Memoria, realizzata dall'americano Mark Power, riporta l'obiettivo su quel patrimonio, fragile e immenso, che rende l'Italia straordinaria per emozioni offerte, traboccante di bellezza e di opportunità sprecate. E ancora un americano, Richard Kalvar, nel suo segmento intitolato Insieme, inquadra, rigorosamente in bianco e nero, le famiglie, il gusto della condivisione, le feste e i luoghi della comunità, anche quelli del dolore. E a questo sguardo si lega quello di un altro americano, Bruce Gilden, nel suo forte, empatico bianco e nero, intitolato Noi, gli altri. Uno spaccato duro, ma talmente eloquente, su una realtà umana che non sappiamo o non vogliamo vedere. Che ci sfiora e ci imbarazza per l'incapacità di molti di noi ad accogliere quelle facce, quelle storie, quei corpi.
Con L'artificiale e L'ingegno, le sezioni realizzate rispettivamente dal belga Harry Gruyear (il più anziano dei fotografi coinvolti, nato nel 1941) e dal nostro Alex Majoli, da un lato l'attenzione si sposta sul progresso che si realizza a scapito della natura, ma non per questo può essere demonizzato; dall'altro si racconta la sapienza, la creatività intellettuale ma anche manuale, concreta, fatta di specifiche competenze, che danno riconoscibilità e marchio ad attività anche assai diverse. Il made in Italy, insomma, è ancora una garanzia e ci fa sperare in qualche possibilità di ripresa, in un rinascimento solo sopito a cui anelano soprattutto i giovani, ai quali è dedicata l'ultima sezione della mostra.
Con un titolo inequivocabile, Domani, Paolo Pellegrin propone 150 volti di giovani. Nei loro occhi ci sono progetti, ma anche incertezze, confusioni. Forse, in qualche misura, avranno pure la consapevolezza che i prossimi centocinquant'anni di questo paese dipendono anche da loro, sebbene, per questo, come scrive il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, "bisogna dare loro adeguate opportunità".
A mostra finita, ritagliamoci un po' di tempo per leggere questo catalogo, che ha il grande pregio di proporre le diverse facce della contemporaneità italiana in un impaginato che lega l'immagine anche a pochi ma assai efficaci riferimenti letterari, uno per sezione; si parte dai classici latini, Virgilio e Cicerone, un modo essenziale per ricordare le nostre radici culturali, poi si passa a Giovanni Botero, Francesco Arcangeli, Giacomo Leopardi, don Lorenzo Milani, Galileo Galilei, Italo Calvino, Giorgio Bassani. La citazione di Calvino, tratta dalle Lezioni americane, suona bene come riflessione e come auspicio per un'Italia che può ancora stupire, non solo per le amarezze: "Così a cavallo del nostro secchio, ci affacceremo al nuovo millennio, senza sperare di trovarvi nulla di più di quello che saremo capaci di portarvi".
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