Rivista "IBC" XVI, 2008, 2

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / editoriali

I beni culturali sono il fondamento più tangibile di una tradizione, di una storia e del suo territorio, sono un elemento di coesione e di identità e proprio in virtù di questo valore vanno tutelati e sostenuti, anche in tempi difficili per l'economia.
Tempi difficili

Ezio Raimondi
[italianista, presidente dell'IBC]

Quando lo stato dell'economia diventa grave e richiede una cura particolare e dominante, chi ne viene colpito più direttamente è sempre l'universo istituzionale della cultura e dei beni culturali, che ne sono una parte essenziale. E a questo processo di riduzione distributiva corrisponde sempre il lamento o la protesta, senza che vi si accompagni una vera analisi, sottratta agli enunciati frettolosi, e quasi sempre convenzionali, della contingenza. Non si riflette, per esempio, sul fatto che secondo gli studiosi di economia della cultura non si può considerare il bene culturale come un bene strettamente economico e proprio per questo il suo valore di civiltà va sostenuto con mezzi finanziari integrativi, che non possono semplicemente essere soppressi in tempi difficili. I beni culturali, tanto più in una realtà come quella italiana, rappresentano il fondamento più tangibile di una tradizione nazionale e di una storia consegnata alla varietà straordinaria del suo territorio, sono un elemento di coesione e di identità: proprio in virtù di questo valore vanno tutelati e sostenuti come una componente essenziale della nostra comunità. A meno che, ed è un rischio che va tenuto presente, non si rinunci al nostro passato e alla sua vocazione primaria di civiltà.

C'è un passato che fa parte del presente e ne illumina, se sappiamo interrogarlo, la dialettica che si fa portatrice del nuovo. Ma a questo punto bisogna subito aggiungere che i beni culturali vogliono la formazione di una sensibilità comune, quello che un tempo si chiamava gusto e giudizio, una valutazione equa e attenta dell'arte e delle sue molteplici invenzioni. E forse ci manca ancora una politica corrispondente, a cui si affianchi anche un'educazione collettiva, che non può che essere affidata alla scuola. Non bastano i festival e gli incontri eccezionali di una élite di massa: una sensibilità comune significa una capacità educata di vedere e di giudicare, una curiosità che implica uno spirito critico, un'attività di indagine e di comparazione, un esercizio intellettuale calato nel quotidiano e non consegnato soltanto al "grande evento".

Deve essere poi chiaro che per riscoprire il passato occorre conoscere il presente, viverlo nelle sue ansie, nelle sue contraddizioni, soprattutto quando si tratta dell'arte e dei suoi linguaggi nati dopo la crisi romantica del Bello e l'avvento dell'Interessante, di quello che già il grande Tocqueville definiva l'iperbole retorica di una civiltà di massa. Così, dall'economia siamo ritornati ai valori umani di una comunità, alle ragioni diverse con cui si deve far fronte ai gravi problemi della convivenza globale. Ma forse sono solo le malinconie di tempi difficili e le riflessioni di una parentesi estiva, e valgono anche per l'IBC. Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di fantasia e rigore.

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