Rivista "IBC" XV, 2007, 1
biblioteche e archivi / convegni e seminari, interventi, leggi e politiche
Il 3 marzo 2007, nell'ambito della "Fiera dell'editoria della Romagna" tenutasi a Forlì (www.fieraforli.it), la Soprintendenza per i beni librari e documentari dell'Istituto beni culturali della Regione Emilia-Romagna ha organizzato una tavola rotonda dedicata a "Un nuovo patto tra editori e biblioteche". A uno dei relatori, Piero Attanasio, dell'Associazione italiana editori (AIE), abbiamo chiesto un intervento sul tema.
"La creazione di una biblioteca incide di più sullo sviluppo economico della costruzione di una tangenziale": è questo in estrema sintesi il senso del messaggio proveniente dagli Stati generali dell'editoria, organizzati dall'Associazione italiana editori, svoltisi a Roma il 20 e 21 settembre 2006 (www.statigeneralidelleditoria.it). A tale conclusione si può legittimamente giungere a partire dall'analisi econometrica condotta da Antonello Scorcu ed Edoardo Gaffeo, rispettivamente dell'Università di Bologna e di Trento, i quali hanno analizzato gli effetti della lettura sulla dinamica della produttività. Un approccio insolito, forse, ma non eterodosso rispetto alle acquisizioni della scienza economica, che insistono sul fatto che il capitale umano costituisce la principale determinante dello sviluppo economico. La lettura, ci dicono ora i due ricercatori, è una misura efficace della qualità del capitale umano di un paese. E lo è al punto che, nei modelli econometrici che descrivono l'andamento della crescita nelle venti regioni italiane nel periodo 1983-2002, il tasso di lettura di inizio periodo incide in modo più significativo che lo stock di capitale fisico. Un lettore in più è garanzia di crescita, molto di più di una nuova strada, di un ponte o persino di un nuovo macchinario industriale.
Non può sorprendere allora che nel "manifesto politico" per la legislatura in corso gli editori pongano al primo posto le politiche per creare una infrastruttura per la lettura, in primis chiedendo una netta inversione di tendenza nell'allocazione delle risorse destinate alle biblioteche, drammaticamente in calo negli ultimi anni quando invece il paese - la sua economia, e non solo la sua cultura - ha bisogno del contrario. Quante biblioteche si possono costruire con i soldi del solo ponte sullo Stretto di Messina? E non sarebbe questa una risposta più efficace per lo sviluppo economico di quelle aree, una promessa di futuro più concreta per i tanti "ragazzi di Locri" che con forza reclamano condizioni di crescita più civili?
L'intera classe politica non perde occasione per proclamare di voler fare leva sulla cultura per progettare la crescita: "Siamo il paese con il più ampio patrimonio culturale al mondo", con quel che segue... Ma sono rari i tentativi di definire politiche coerenti per la valorizzazione di tale patrimonio culturale. Il modello sembra rimanere quello della tavola calda aperta a fianco del monumento, con al più qualche retorica sul valore culturale dei fritti (spesso unti e cari) che lì si servono.
Gli editori hanno cercato di dare un contributo perché la riflessione sia spostata su un piano più elevato. Vivere nella società della conoscenza rende in primo luogo necessaria la conoscenza della società, la comprensione delle sue dinamiche di fondo. L'economia della conoscenza è un'economia immateriale, non nel senso banale secondo cui Internet soppianta la stampa, ma perché sono immateriali i fattori di sviluppo. Al termine di un'analisi approfondita del settore librario, della domanda di lettura come della struttura dell'offerta, la proposta politica degli editori è centrata su tre capisaldi uniti da un unico filo conduttore, legato appunto a una dimensione immateriale dell'economia. I tre elementi chiave sono, a parere degli editori: le infrastrutture per la lettura, il diritto d'autore e gli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore.
Dire che il problema della lettura in Italia è un problema strutturale crea spesso alibi per l'inazione: devono pensarci la Scuola, la Società, la Televisione, e via elencando entità con maiuscole tese a sottolinearne la lontananza. Parlare invece di infrastrutture per la lettura significa individuare responsabilità politiche precise. Non vi è dubbio allora che le biblioteche siano l'infrastruttura più importante, e la quantità di risorse investite nelle biblioteche è senz'altro un indice per capire quanto l'impegno a favore della lettura sia effettivo. Un secondo elemento è rappresentato dalla rete delle librerie: è stato più volte dimostrato, infatti, che l'apertura di nuove librerie è un fattore che influenza la crescita del mercato e della lettura in modo straordinariamente efficace. In entrambi i casi si tratta di investire soprattutto nel Mezzogiorno, dove queste infrastrutture sono molto più deboli. E con esse sono più deboli le speranze di futuro, le precondizioni economiche della crescita.
Strettamente legato a ciò, e non deve sorprendere, è il tema della tutela e della valorizzazione del diritto d'autore. Il ragionamento parte di nuovo dal ruolo dei beni immateriali nell'economia moderna. L'opera dell'ingegno è l'antonomasia del bene immateriale. E per questo la sua tutela e valorizzazione è un elemento costitutivo di una politica di diffusione della conoscenza. Lungi dall'essere un limite o un freno alla diffusione della conoscenza, il diritto d'autore dev'essere letto come lo strumento che negli ultimi secoli ha consentito lo sviluppo di una società basata sulla cultura, e con una produzione culturale indipendente dal potere.
Nell'era del digitale, il diritto d'autore acquista maggiore importanza proprio perché sono i contenuti in quanto tali, e non le forme materiali che possono assumere, a essere al centro dello sviluppo. È singolare che si pensi il contrario: vedere Internet e le tecnologie digitali come occasione per la fine della funzione del diritto d'autore è, ad avviso degli editori, un controsenso logico. Proprio quando l'evidenza empirica dimostra il contrario. Il dibattito sulla fine del diritto d'autore è continuato indifferente anche durante i recenti Mondiali di calcio, il più grosso affare sui diritti mai realizzato prima d'ora, grazie al digitale, al moltiplicarsi delle piattaforme e quindi delle modalità di sfruttamento dei diritti.
Il paragone può apparire irriguardoso, forse offensivo: "La cultura è ben altra cosa del calcio". Ma ad apparire offensivo, invece, è il fatto che in nome di ciò si costruisca un'ideologia, e spesso conseguenti politiche, che negano agli autori letterari ciò che è garantito alle mezzale e impediscono che le case editrici abbiano le stesse opportunità delle società di calcio. Eppure nel calcio è accettato da tutti che la vendita dei biglietti non sia che il primo passo di una lunga catena di possibili sfruttamenti commerciali, mentre nel mondo del libro si chiede ad autori ed editori di spogliarsi di ogni diritto dopo la vendita del primo bene materiale che incorpora l'opera cui hanno lavorato.
Per questo gli editori, tra gli elementi infrastrutturali che chiedono, pongono al centro la tutela del diritto d'autore, secondo politiche attive che ne consentano la valorizzazione e quindi la massima diffusione dei contenuti, secondo modalità diverse e mezzi diversi. In un contesto infrastrutturale e di regole più affidabile gli editori si impegnano a mettere in campo maggiori investimenti e una capacità innovativa di cui hanno già dato prova in diverse occasioni. L'importanza della ricerca e dello sviluppo nel settore è il terzo elemento posto all'attenzione degli Stati generali. Perché se è vero che il libro è il bene industriale più antico e maturo, l'editoria si trova oggi al centro dell'innovazione tecnologica, industriale e organizzativa nell'economia della convergenza. Il tutto in un contesto globale dove la concorrenza si gioca a livello internazionale.
Vi sono in questo ambito alcuni elementi di debolezza nel nostro paese, legati a due fattori: la piccola dimensione delle imprese italiane e appunto la scarsa cultura del diritto d'autore, che impedisce la crescita dei mercati più interessanti. Del secondo abbiamo detto, sul primo è possibile mettere in campo politiche che facilitino lo sfruttamento di economie di cooperazione in particolare nella ricerca e nello sviluppo, conservando così il valore dato dalla vitalità culturale della piccola editoria, da combinare tuttavia con la capacità di innovazione industriale.
Vi sono modelli che hanno già dimostrato di funzionare. E spero sia lecito far riferimento a un'esperienza che vede direttamente coinvolto chi scrive: quella di "mEDRA", la società creata da AIE e Cineca (Centro di calcolo interuniversitario) per la gestione dello standard per l'identificazione dei contenuti digitali DOI (Digital Object Identifier): un esempio, magari piccolo, di come una partnership pubblico-privato possa produrre risultati di rilievo anche a livello internazionale (www.medra.org). Ma è anche un indice dei problemi con cui il sistema Italia obbliga a cimentarsi: oggi "mEDRA" produce l'80% del suo fatturato all'estero, certo perché è stata in grado di offrire tecnologie molto avanzate, ma anche perché uno standard di identificazione dei contenuti digitali trova più applicazioni in contesti in cui il rispetto di tali contenuti è maggiore.
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