Rivista "IBC" XIII, 2005, 1

didattica, progetti e realizzazioni, restauri

A Montegridolfo, sulle colline riminesi, il cantiere-scuola per il restauro pittorico della Cappellina Viviani si è rivelato un efficace modello di collaborazione tra istituzioni.
Comunità di restauro

Antonella Salvi
[IBC]

Si conosce poco della storia della Cappellina Viviani e quel che si conosce dalle fonti documentarie si arricchisce di qualche notizia in forma aneddotica della tradizione orale. Di certo si sa chi ne fu il committente, il Conte Viviani di Urbino (18?-1918), che ha dato anche il nome alla Cappellina. Più certa è la storia del borgo. Il Castello di Montegridolfo viene costruito con funzioni difensive verso la metà del XII secolo. Data la sua posizione geografica si trova ad esser spesso crocevia delle incursioni delle due signorie nemiche: i Montefeltro di Urbino e i Malatesta di Rimini, sotto la cui signoria Montegridolfo rimane per oltre due secoli. Dopo una breve parentesi di dominio sotto il duca Valentino Borgia (1500-1503), Pandolfo Malatesta vende il territorio alla Repubblica Veneta, la quale, nel 1509, lo cede allo Stato Pontificio. Ed è a distanza di qualche secolo (1880?), in un periodo in cui il borgo di Montegridolfo è centro vivo, densamente abitato e operoso, sia dentro che fuori mura, che la famiglia del Conte Filippo Viviani di Urbino ristruttura uno dei torrioni del Castello per trasformarlo in ricca dimora.

Pare sia stata la nascita di un erede di Casa Viviani l'occasione per la costruzione della Cappellina Viviani (1906) al centro della piazza principale, proprio lungo la parete sinistra della trecentesca Chiesa di Sant'Agostino, che a quel tempo ancora si ergeva al centro della piazza prima di essere purtroppo completamente distrutta dalle incursioni dell'ultima guerra. La Cappellina Viviani - già restaurata all'esterno oltre una decina di anni fa, nell'ambito di un consistente intervento di restauro architettonico che ha coinvolto l'intero borgo e la cinta muraria - presenta, all'interno, delle piacevoli decorazioni geometriche policrome dedicate a Sant'Antonio da Padova e progettate in base alle fonti dal prof. Donzetti di Fossombrone.

Lo stato di grave degrado in cui versavano le decorazioni, tale da renderne pressoché impossibile la lettura, ha indotto il Comune di Montegridolfo a inoltrare la richiesta di un intervento di restauro all'Istituto per i beni culturali, richiesta che è stata accolta e inserita nel Piano museale 2002, finanziato in base alla legge regionale 18/2000. Le decorazioni presentavano infatti un diffuso annerimento e numerose lacune dovute a fratture del supporto murario e a colature d'acqua in corrispondenza delle finestre laterali. Nella parte inferiore delle pareti della cappellina, una massiccia risalita d'acqua aveva poi determinato una vera e propria polverizzazione della pittura e dell'intonaco fino a circa un metro e mezzo di altezza.

Da una valutazione effettuata dall'Istituto, e in accordo con il Comune di Montegridolfo, è stato deciso di prospettare un intervento di consolidamento e di recupero pittorico attraverso il coinvolgimento degli allievi dell'Accademia di Belle Arti di Bologna. Opportunità di un'azione innovativa certo, ma anche altro: l'ipotesi di creare un cantiere-scuola che attivasse la collaborazione di istituzioni differenti è apparsa l'unica via percorribile per poter affrontare l'intero intervento di recupero con certezza di risultato tecnico e al contempo con adeguatezza di risorse impegnate. Si è quindi ipotizzata la soluzione di un cantiere-scuola: una modalità di operare alternativa alle ordinarie e spesso onerose operazioni di restauro condotte da restauratori professionisti.

La consapevolezza del fatto che, sotto il profilo di memoria storica e di riferimento religioso per la collettività, la Cappellina riveste un'importanza superiore al valore artistico degli affreschi che la decorano (essendo peraltro l'unico luogo di culto rimasto all'interno del borgo antico) non ha affatto diminuito l'attenzione posta dall'Istituto al progetto. Tutt'altro.

Il progetto di creare un cantiere-scuola ha assunto validità anche per altre considerazioni. Esso poteva costituire il momento esperienziale, il banco-prova delle conoscenze teoriche e di laboratorio dei futuri restauratori. E ancora, aspetto non meno importante, poteva rappresentare l'esperienza che verificava anche in questo settore l'efficacia di una fattiva collaborazione fra differenti istituzioni e di un utilizzo sinergico delle risorse, così da creare un precedente ripetibile.

Il primo e importante passo verso la concretizzazione del progetto è consistito nel raccogliere le volontà delle istituzioni interessate a collaborare al progetto e a far seguire tale espressa disponibilità dalla definizione dei rispettivi impegni e oneri, sancita tramite convenzione.

Nello specifico: l'Accademia delle Belle Arti di Bologna si è impegnata a mettere a disposizione i materiali e le attrezzature necessari per le operazioni di restauro, oltre a provvedere alla copertura assicurativa di una trentina di propri allievi del corso di Metodologia della conservazione e restauro, selezionati per merito da parte del loro docente e turnati in gruppi di quattro nel corso delle sei settimane di lavori in loco.

Il Comune di Montegridolfo, grazie anche alla fantasia e al senso pratico femminile dell'allora assessore alla cultura Nadia Fraternali, è riuscito a organizzare l'ospitalità del docente e dei ragazzi, posto che la considerevole distanza del cantiere da Bologna non consentiva soluzioni di pendolarismo. Sfruttando strutture e servizi comunali (un immobile resosi disponibile e le mense scolastiche) è stata predisposta una piacevole sistemazione di vitto e di alloggio nelle vicinanze del borgo fra le colline della Valconca, e anche questo aspetto ha contribuito ad arricchire ulteriormente un'esperienza già singolare e preziosa per gli allievi.

L'Istituto per i beni culturali (IBC) per parte propria, oltre ad aver promosso e coordinato il progetto nelle varie fasi e svolto la direzione dei lavori, ha sostenuto gli oneri per l'incarico a William Lambertini, il docente di restauro all'Accademia al quale sono state affidate le funzioni di supervisore alle operazioni dei ragazzi. Era necessario, per la buona riuscita di questa particolare modalità di intervento, fare ricorso a una figura professionale che fosse sì in possesso dei requisiti di qualificazione indicati per legge, ma anche di una adeguata esperienza didattica e tecnica, tale da riuscire a seguire gli allievi per tutta la durata dell'intervento, supervisionando e coordinando nelle varie fasi la realizzazione tecnica delle operazioni. In particolare le fasi esecutive hanno previsto, in successione, operazioni di consolidamento della pittura e dei frammenti di intonaco, di pulitura generale della pittura, di risanamento dell'intonaco e saturazione delle fessurazioni, di fissaggio della pellicola pittorica e infine, dove necessario, di integrazione pittorica di tipo mimetico.

Giunti ormai in prossimità della conclusione dell'intervento, l'IBC ha ritenuto necessario proporre la realizzazione di alcune migliorie strutturali interne alla Cappellina, così da incrementare l'effetto e l'efficacia generale dei lavori eseguiti. Il Comune di Montegridolfo, che ha convenuto al riguardo, ha anche prontamente provveduto alla realizzazione dei lavori. Si è trattato della sostituzione della soglia di ingresso e della rimozione della porta di vetro. Motivazioni conservative oltre che estetiche hanno guidato queste scelte: la soglia in marmo, deformata e fessurata in vari punti, lasciava penetrare nel pavimento acqua piovana con ovvi effetti dannosi; la porta di vetro, montata direttamente sulle decorazioni all'interno del cancello di ferro, oltre a ostacolare una buona visione degli affreschi, sigillava l'ambiente interno impedendone la necessaria aerazione. È apparso corretto optare per l'applicazione di vetri su misura direttamente sulle ante del cancello di ferro battuto, così da consentire il circolo dell'aria nella zona fra la lunetta e il cancello stesso.

I lavori si sono conclusi nell'arco delle sei settimane preventivate, nel corso delle quali si sono alternati 25 ragazzi dell'Accademia, vale a dire un gruppo di quattro ragazzi per settimana, dal lunedì al venerdì. Parallelamente ai lavori di restauro, è stata condotta, a cura di Katja Del Baldo, una ricerca archivistica per approfondire la conoscenza del bene e della storia che l'ha originato: si sono rinvenuti documenti e mappe che danno notizia dei tempi e costi di costruzione e delle successive manutenzioni, e in ultimo è stato fortunosamente rintracciato un discendente dei Viviani, il quale ha fornito l'immagine dello stemma di Casa Viviani, dei Conti Filippo e Adele Viviani.

Solo al termine dei lavori è stato possibile trarre le conclusioni sull'intera operazione condotta: unanimemente positivo il giudizio riferito sia ai risultati tecnici-scientifici conseguiti, sia alla efficace ed entusiasmante collaborazione creatasi, istituzionale e umana assieme. Un'esperienza proficua che incoraggia l'esplorazione di nuove occasioni di analoghe collaborazioni interistituzionali, per affrontare con maggiore forza e incisività l'impegno di valorizzazione del nostro patrimonio culturale.

 

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