Rivista "IBC" XIII, 2005, 1

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / editoriali

Il bene culturale può contribuire allo sviluppo del territorio, ma non può essere ridotto a una semplice misura quantitativa: il criterio economico va sempre integrato con un'interpretazione analitica di ciò che rappresenta per una comunità il suo patrimonio artistico e naturale.
Beni in economia

Ezio Raimondi
[italianista, presidente dell'IBC]

Con un nuovo editore, la nostra rivista muta anche qualcosa della sua veste e del suo volto, fedele al proprio programma di lavoro, che vuole insieme continuità e innovazione, compostezza ordinata e fertile esperimento: ciò che resta del passato non si conserva soltanto, ma deve vivere poi nel presente, restituito e forse trasformato dai modi e dalle forme del nostro tempo. Anche la pratica complessa del restauro ubbidisce in fondo a questa logica, come si accerta ogni anno con l'evento oramai canonico del Salone ferrarese, giunto oggi alla sua dodicesima pulsante edizione. E a Ferrara, dal 7 al 10 aprile, si discuterà di nuovo dei problemi cruciali della conservazione e del dialogo sempre più ampio tra pubblico e privato.

Vero è che occorre procedere con concetti chiari alla luce esatta dell'esperienza e della riflessione disciplinare che vi si associa. Così in un libro lucido e argomentato, che esce ora in versione italiana, Economia e cultura, un acuto studioso australiano, David Throsby, conclude le sue considerazioni osservando che bisogna sempre distinguere tra un mondo economico che "mette al centro l'io come entità individuale" e un mondo culturale che punta invece su "valori condivisi e comportamento cooperativo": ne consegue perciò che, anche quando sono tra loro in stretta relazione, non si può confondere il "valore economico" e il "valore culturale".

In altre parole, il bene culturale può anche contribuire allo sviluppo economico, ma non può essere ridotto a una semplice misura quantitativa proprio perché rimanda a una coscienza collettiva e alla sua dimensione civile, che poi diviene tutt'uno con una identità comune e il suo interno sentimento di appartenenza. Forse per questo, allora, il criterio economico non basta per costruire un buon governo dei beni culturali e va sempre integrato con un'interpretazione analitica di ciò che rappresenta per una comunità il suo patrimonio artistico e naturale; d'altro canto non si può negare che una buona politica dei beni culturali giova anche a una solida e fiduciosa crescita economica.

Ciò che conta, comunque, è distinguere tra valore e valore, e farne un capitale multiplo di una società oramai entrata nel ciclo irreversibile della globalizzazione. Spetta poi ad ognuno di noi, come cittadino partecipe di una tradizione e di una storia comune, assumere l'universo dei beni culturali, tra biblioteche, musei, architetture e paesaggi, come una parte costitutiva della propria esperienza di vita e del suo sottile legame con un luogo e una storia. A Ferrara, di restauro in restauro, d'incontro in incontro, si cerca anche questo.

 

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