Rivista "IBC" XI, 2003, 3
territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / pubblicazioni
L'opera veramente monumentale, curata da Paolo Prodi e da padre Giovanni Pozzi, ripercorre, in ventun contributi, i diversi aspetti e significati della presenza della famiglia cappuccina nel territorio dell'Emilia e della Romagna in quasi cinque secoli. Il volume risulta anche un omaggio perenne alla memoria della straordinaria figura di padre Giovanni Pozzi, grande svizzero di Locarno, allievo di Gianfranco Contini, docente di Letteratura italiana dalla cattedra universitaria di Friburgo e frate cappuccino, morto il 20 luglio 2002, da poco conclusa la cura del volume.
I contributi qui raccolti spaziano dallo studio del significato della specificità cappuccina nella chiesa universale, alla ricerca sulla presenza nella vita culturale e artistica, da riflessioni sulla spiritualità e sulla formazione, all'esame della vita quotidiana col suo peso di questioni materiali ed economiche, al riconoscimento del ruolo dei frati nella ricerca scientifica, nell'architettura, nella predicazione, nella confessione, nel ministero parrocchiale, nella cura dei sofferenti, nelle missioni all'estero, e giungono a formare un compendio unitariamente ben costruito.
La nascita dei cappuccini e il loro riconoscimento negli anni tra il 1525 e il 1528, dalle costituzioni di Albacina del 1529 sino a quelle del 1535, si inseriscono nel fermento della vita religiosa del primo Cinquecento che, se vede nel 1517 l'esplosione della riforma protestante con le 95 tesi di Martin Lutero, è anche caratterizzato da un profondo rinnovamento spirituale e istituzionale della Chiesa cattolica. Nuovi ordini religiosi fanno la loro comparsa e dai vecchi gemmano, come nel caso dei cappuccini rispetto alla famiglia francescana, nuovi rami destinati poi alla piena autonomia. Colpisce la crescita quasi geometrica dei cappuccini, il propagarsi dei conventi e dei confratelli con una molteplicità di iniziative che nascono dal basso.
Subito appare evidente come il nuovo e dominante aspetto ascetico-contemplativo si coniughi non con una forte istituzionalizzazione, tipica degli altri ordini, ma con una funzione sociale che diviene quella della testimonianza evangelica, della povertà, della condivisione dei travagli degli ultimi. Indimenticabile la presenza fra i sofferenti, in primo luogo in occasione delle grandi epidemie di peste e di colera. Non a caso è così fortemente impressa nella memoria collettiva la figura manzoniana di fra Cristoforo nel lazzaretto di Milano. Ecco allora che, secondo quanto afferma padre Pozzi, il tratto esteriore che qualifica l'ascetismo cappuccino è la ricerca della più estrema precarietà, realizzata in rapporto ai mezzi elementari di sussistenza, mentre l'identità cappuccina si identifica con la devozione.
La nuova famiglia religiosa visse il suo più grave travaglio già pochi anni dopo la sua fondazione, quando nel 1542 il grande predicatore Bernardino Ochino da Siena, che guidava l'ordine, fu sospettato di eresia e fuggì a Ginevra, dove abbracciò apertamente la riforma protestante. La prova fu dura e si manifestò anche con ripercussioni pratiche, come la riduzione del numero dei frati e il rientro di molti all'osservanza francescana. Poi, lentamente, il ciclo riprese in positivo, radicando definitivamente l'Ordine nella vita della Chiesa. Le attività principali furono la predicazione, l'assistenza agli infermi e appestati, l'evangelizzazione presso gli eretici e i non cristiani, sempre in fedeltà alla povertà. Una vera specificità cappuccina è la questua, che viene attualizzata e resa propria del mondo moderno divenendo un elemento costante nella vita quotidiana europea.
A Bologna i cappuccini giunsero intorno al 1535 e dopo alcune iniziali incomprensioni (vennero scambiati per eretici e costretti alla fuga) la loro presenza divenne stabile nel 1536. Dal 6 al 9 settembre 1537 si registrano importanti prediche di Bernardino Ochino a Bologna, mentre si definisce il valore della predicazione come stimolo di una religione civica e da parte delle autorità cittadine si attribuisce sempre maggior importanza alla attività omiletica. A Ferrara troviamo i cappuccini con sicurezza nel 1537, a Faenza nel 1538, a Forlì nel 1539. Dopo la battuta d'arresto dovuta alla fuga di Bernardino Ochino, a partire dagli anni Cinquanta del Cinquecento la rete degli insediamenti cappuccini si fa sempre più stretta e nel 1562 si consolida la presenza a Budrio, nel 1568 a Rimini. Nel 1564 si poté organizzare a Forlì un capitolo generale della Provincia. Anche il ramo femminile prese vigore e monasteri furono fondati a partire dal 1590 (Imola).
La convivenza in un unica provincia, quella bolognese, di tutti i cappuccini dalla Romagna ai Ducati si rivelò, col tempo, problematica, soprattutto per motivi politici. Dal 1679 si giunse così alla divisione in due province, quella di Lombardia, poi ridenominata di Parma, sostanzialmente coincidente con l'Emilia dei Ducati, e quella di Bologna che comprendeva i territori delle legazioni di Bologna, Ferrara e Romagna. Il confine tra le due province divenne quello tra lo Stato della Chiesa e il modenese. In questo nuovo contesto la presenza di Bologna si espresse sempre più come centro culturale cappuccino, rispetto a Parma, anche in seguito alle riforme lambertiniane settecentesche. Ma la provincia lombarda seppe esprimere numerose importanti personalità, non ultima delle quali Adeodato Turchi (1724-1803), vescovo di Parma dal 1788 e grande predicatore.
Le due province seguirono poi le sorti della Chiesa in Italia, dalla fine dell'antico regime al risorgimento, alla fine del dominio temporale dei papi, dalle secolarizzazioni e soppressioni alla ricerca di un nuovo ruolo sociale. Nella vita culturale dell'Ottocento cappuccino è presente anche la traccia di un fattivo rosminianesimo educatore. Oggi le due province di Bologna e Parma si stanno preparando a quella riunificazione che riporterebbe, dopo più di tre secoli, l'ordine in Emilia e Romagna a una relazione univoca col territorio.
Tra i testi del volume si segnala particolarmente quello di padre Pozzi (L'identità cappuccina e i suoi simboli), un vero e proprio piccolo gioiello, con uno splendore di scrittura, una arguzia e una sagacia di identificazione straordinarie. In pagine da gustare una a una, Pozzi ripercorre tutti i simboli che determinano una identità, dall'abitare alle letture, alla ricerca dell'effimero, del non durevole, al decidere di non fossilizzarsi in forme istituzionali e di limitare gli interventi organizzati all'emergenza (esemplare in questo senso l'assistenza agli appestati).
Un rapporto particolarmente complesso è quello che si manifesta tra cappuccini e libro. Pozzi ricorda che la relazione, ristretta all'essenziale, "è conseguenza dell'ascetismo estremo progettato dal movimento". Il tema è poi ripreso in altre parti del volume e si sottolinea come a partire dal Cinquecento, pur essendo proibito ai cappuccini il possesso personale di libri, che dovevano rimanere proprietà collettiva (contro l'uso invalso invece tra gli osservanti), la lettura era comunque consigliata ai fini della pratica liturgica e della predicazione; e già nelle ordinazioni di Albacina del 1529, che sanciscono il divieto del possesso personale, si fa però comunque spazio ai libri col riservare a essi una stanza particolare. Dopo anni di restrizioni il capitolo generale del 1596 ricorda ai superiori l'impegno di costituire biblioteche nei conventi principali delle loro province e si verrà così costituendo un inestimabile patrimonio librario conventuale. Proprio guardando agli inventari delle biblioteche è possibile delineare un panorama verosimile di interessi e circolazioni librarie.
Padre Pozzi ricostruisce anche i significati delle scelte compiute in materia architettonica per rendere conforme l'abitare alla precarietà e alla spiritualità cappuccina in un contesto nel quale "se la chiesa rende visibile la maniera divina di abitare il mondo, il convento rende visibile il modo con cui l'uomo abita in Dio": nella gamma infinita delle soluzioni proposte, quella cappuccina si distingue per la riduzione dell'edificio intiero e di ogni sua parte alla più elementare espressione.
Anche dal punto di vista linguistico la spiritualità cappuccina ha saputo costruire una lingua e un lessico propri ed esprimere originali formazioni sintattiche e coerenti stilemi. Una lingua che troverà modo di manifestarsi in due particolari attività: la predicazione e la confessione. Se la predicazione è parte costitutiva delle origini cappuccine l'evoluzione dell'atteggiamento verso la confessione è assai più lenta e complessa. Se per i frati viene prescritta la confessione bisettimanale solo con un lungo percorso e con grandi cautele i cappuccini giungeranno a esercitare il ministero della confessione anche nei confronti dei secolari. Un percorso altrettanto cauto, ma ancor più lento, ha l'impegno dei cappuccini nella vita pastorale di parrocchia. Solo dopo un intervento di Paolo VI nel 1963 si avrà un'accettazione piena di nuovi compiti in grado di superare il profondo timore che la cura di parrocchia potesse distogliere i frati dall'originaria spiritualità e devozione.
Dobbiamo essere grati ai curatori e agli autori per aver saputo costruire un volume che, se costituisce un esempio di metodo per chiunque desideri avvicinarsi alla storia degli ordini religiosi, arricchisce la nostra conoscenza di una famiglia così singolare come quella cappuccina, riportando alla nostra attenzione le grandi questioni della povertà e della modestia con una forte impronta di modernità. Un testo, corredato anche da un importante apparato iconografico, che è destinato a rimanere un punto di riferimento imprescindibile per tutti gli studiosi della storia religiosa e civile delle terre emiliane e romagnole in età moderna e contemporanea.
I Cappuccini in Emilia-Romagna. Storia di una presenza, a cura di G. Pozzi e P. Prodi, Bologna, EDB - Edizioni Dehoniane Bologna, 2002, 736 p., Ç 95,00.
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