Rivista "IBC" XXVII, 2019, 3

territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / pubblicazioni

Adriano Prosperi, "Un volgo disperso. Contadini, d’Italia nell’Ottocento", Einaudi, Torino, 2019.
Una "fotografia" dei contadini dell'Ottocento nel libro di Adriano Prosperi

Mario Cerè
[IBC]

Scrive Prosperi nell’introduzione: “Nelle campagne italiane abbiamo visto di recente tornare i contadini. Assomigliano a quelli del millennio testé concluso: magri, stracciati, a piedi scalzi. Lavorano, come allora, dieci o dodici ore (‘da sole a sole’, si diceva all’epoca) nelle infuocate ore dell’estate. Però, a ben guardare, delle differenze ci sono: molti di loro hanno la pelle più scura di quella dei contadini del tempo antico e le lingue ‘che parlano sono quelle di paesi remoti”’. Subito dopo precisa che la sua non è una ricerca specialistica, ma è “il tentativo di guardare al di là della barriera della ‘Grande Trasformazione’, quella subita dal paesaggio italiano nel corso del Novecento e specialmente dopo la Seconda guerra mondiale”. Con chiaro cenno autobiografico, Prosperi dice di essere un “testimone del tempo remoto in cui nelle campagne si viveva in case di due stanze, una era per la famiglia e l’altra era la stanza della mucca o - per chi l’aveva - del maiale, che era a un passo dalla camera da letto o dalla cucina. […] Gli attrezzi da lavoro raccolti nella capanna di canne o di paglia erano gli stessi raffigurati nel calendario di bronzo o di marmo dei portali delle cattedrali altomedievali dove Adamo ed Eva erano contadini, come nel portale del Duomo di Modena; così come rimasti immutabili rispetto a quelle immagini i tempi e i modi di lavoro e della vita quotidiana: dicembre, scaldarsi al focolare; gennaio: uccisione del maiale; marzo, la potatura della vite e degli alberi da frutto; giugno, la falce in pugno; luglio, il correggiato per battere le sementi; e così via. E chi ricorda ancora quando non fu più ovvio misurare la cesura del giorno come il momento in cui ‘la mosca cede alla zanzara’? L’igiene fece un passo decisivo con lo sterminio delle mosche, quando con l’esercito americano arrivò il DDT”.
Tutto ciò è decisamente scomparso. “Per fortuna, grazie all’opera preziosa svolta da Paul Scheuermeier nelle sue ricerche per AIS, Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale, abbiamo un repertorio di immagini e di parole che ci portano davanti a quei volti, ambienti e attrezzi di lavoro che si incontrano nelle nostre campagne nell’Ottocento e nel primo Novecento”.
Adriano Prosperi, nel rifarsi alla definizione coniata da Pierre Bourdieu di classe oggetto per i contadini, fa propria la protesta contro la perdita di memoria della storiografia moderna e contemporanea della civiltà contadina. Mette in evidenza che: “Solo allora, davanti ai boschi invasi da televisori e frigoriferi in disuso, alle devastanti alluvioni di torrenti fuoriusciti da letti invasi di cemento, ci si sarebbe ricordati dell’opera svolta da quel popolo di contadini che ripuliva fosse o torrenti e si preoccupava di aprire ai viandanti strade campestri ben tenute. E nelle valli del Po e del Reno qualcuno si sarebbe ricordato della sapienza racchiusa nei proverbi contadini, l’immemorabile sapienza della ‘classe oggetto’: come quello che diceva: ‘Fossi e cavedagne benedicon le campagne’(1)”.
Alle parole dello storico fanno eco quelle pronunciate dal filosofo, Giorgio Agamben, in occasione dell’assegnazione del Premio Nonino, nel gennaio del 2018: “È su queste due parole civiltà contadina che vorrei riflettere con voi. Perché se anche qualcosa di essa continua a vivere, noi sappiamo che la civiltà contadina non esiste più, che appartiene al passato. Negli anni in cui io sono nato i contadini costituivano ancora la maggior parte della popolazione italiana, ma la mia generazione li ha visti progressivamente e rapidamente scomparire. È un fatto che non cesserà di stupire gli storici futuri, che per far scomparire una cultura che, nelle sue linee generali, era rimasta inalterata per cinquemila anni, ci sia voluto così poco tempo”.

Sorprende come lo storico e il filosofo siano concordi nell’attribuire alla propria generazione la responsabilità di aver dissipato in pochi decenni un antichissimo patrimonio. Essi convergono nell’attribuire ai drastici e troppo rapidi cambiamenti sociali ed economici della seconda metà del Novecento, la rimozione culturale del nostro passato.
Nei diciotto capitoli di cui è composto il volume, Prosperi passa attraverso l’analisi di innumerevoli fonti e secondo un’ottica del tutto particolare. Studia la condizione dei contadini attraverso lo sguardo dei medici condotti dell’Ottocento. Scava sulla realtà storiografica e politica, delimitando lo spazio d’indagine per meglio comprenderla. Lo fa passando in rassegna l’opera antesignana del medico modenese Bernardo Ramazzini (1633-1714), fino a quella di Agostino Bertani, amico e allievo di Carlo Cattaneo, ispiratore e coautore dopo l’Unità di Italia dell’inchiesta Jacini. Sottolinea come quelli siano gli anni della “carta igienica d’Italia” di Cesare Lombroso, una sorta di mappa sullo stato sanitario della popolazione italiana.
Il documentatissimo lavoro di Prosperi descrive le condizioni di vita dei lavoratori della terra nella fase di formazione dell’unità nazionale dalle malattie, all’alimentazione, alle condizioni abitative e di lavoro e, spesso, mette l’accento sulle conseguenze della miseria, non tralasciando il loro mondo morale, la loro dimensione spirituale e la loro cultura materiale. Affronta la condizione miserabile del mondo contadino e la versione razzistica del conflitto di classe del tempo e non omette di ricordare che col nome singolare collettivo di “contadini” (che per rispetto Bertani chiama “coltivatori del suolo”), si fanno strada precisi rapporti di proprietà e più definiti rapporti di classe che vanno dall’affittanza, alla colonia parziale, alla mezzadria, ai salariati fissi come i bovari e alla figura del bracciante.
Tramite le inchieste sull’igiene rurale, ci restituisce un profilo dell’Italia con le sue profonde differenze territoriali, che sono destinate a durare a lungo nel tempo. Evidenzia, come la lotta per l’igiene abbia aumentato la distanza tra la città e la campagna ed accresciuto il divario fra le diverse aree del paese. Non a caso nelle conclusioni fa riferimento alle tre Italie, alludendo al concetto di Terza Italia introdotto, alla fine degli anni ’70, da Arnaldo Bagnasco: uno dei più autorevoli sociologi italiani all’interno del dibattito sullo sviluppo economico, sociale e territoriale nazionale (2).  
Un volgo disperso ha il grande pregio di rilevare i meccanismi della storia profonda italiana con un pensiero sempre attento alla bellezza dei paesaggi agrari, alla conservazione della terra, alla sua cura, senza dimenticare mai i contadini che siamo stati.

Note

1 È forse inutile ricordare che questo è anche il titolo di un bellissimo libro di Carlo Poni (il Mulino, 1982).

2 A. Bagnasco, Tre Italie. La problematica territoriale dello sviluppo italiano, Bologna, Il Mulino, 1977.

Volume: 

Adriano Prosperi, Un volgo disperso. Contadini, d’Italia nell’Ottocento, Einaudi, Torino, 2019.

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