Rivista "IBC" XXV, 2017, 2

musei e beni culturali / mostre e rassegne

Una mostra a Reggio Emilia propone una panoramica sul lavoro di uno dei sodalizi professionali e personali più fecondi della grafica italiana, tra ricerca artistica e impegno sociale.
Licalbe Steiner, grafici partigiani

Silvia Ferrari
[IBC]

Fotografie, bozzetti, oggetti, ritagli, prove colore, scritte, manifesti… La mostra ospitata alla Sinagoga di Reggio Emilia colpisce per la molteplicità di materiali, di suggestioni visive, di immaginari diversi che concorrono a ricostruire la complessa fisionomia di due personalità eccezionali nel panorama della ricerca artistica del Novecento e il clima storico e intellettuale in cui nasce e si sviluppa in senso moderno la grafica in Italia.
I protagonisti di questa storia contrassegnata da un rapporto inscindibile tra arte e impegno politico e sociale, sono Lica e Albe Steiner, i grafici e designer uniti in uno dei sodalizi intellettuali e personali più proficui del secolo scorso. Un’unione professionale e amorosa rimarcata anche dall’uso del nome “Licalbe”, a indicare una sola identità, e dall’invenzione di un logo, creato dalla forza essenziale di un’unica linea segmentata che traduce in un simbolo la sigla “L.A.S.”, distintiva dello studio di grafica, foto, pubblicità aperto dalla coppia nel 1938.

La mostra attuale, a distanza di 40 anni da quella organizzata a Milano nel 1977, dopo la morte di Albe, si differenzia per ampliare l’esposizione al lavoro di entrambi i coniugi e per essere di carattere più “caleidoscopico”, come ha più volte sottolineato la figlia Anna Steiner, curatrice dell’evento odierno e del catalogo: in questa occasione si è scelto infatti di raccogliere documenti di natura diversa, da quelli di ricerca a quelli appartenenti alla sfera personale e delle relazioni con il mondo intellettuale e artistico; materiali professionali in gran parte provenienti dall’archivio Steiner, conservato al Politecnico di Milano, presentati insieme ad altri attinti dal patrimonio personale dei due creativi, sono organizzati in aree tematiche a delineare i diversi settori del loro lavoro, secondo una visione confermata da Albe stesso. Raccontano gli anni del dopoguerra contrassegnati dallo slancio al rinnovamento e dal sovvertimento delle regole del sistema, il viaggio nel Messico tormentato dai contrasti storici e politici e attraversato da stimolanti fermenti culturali, il ritorno in Italia nel ’48 fino alla fine degli anni settanta: un percorso espositivo intriso di impegno, di ricerca appassionata e trasversale, di una consapevolezza che la rivoluzione culturale possa passare anche attraverso il senso del bello, il lavoro di progettazione e cambiamento dei codici visivi coi quali la nostra società sempre di più comunica all’uomo.

Scriveva Italo Calvino in ricordo di Albe, nel 1974: “Una delle fondamentali idee estetiche del nostro secolo, che la forma delle cose che ci circondano, degli oggetti della nostra vita quotidiana, delle scritte, di tutto ciò che serve per comunicare, questa forma esprima qualcosa, una mentalità e una intenzione, cioè il senso che si vuol dare alla società nell’era della civiltà industriale, quest’idea aveva cominciato a girare per l’Europa negli anni della sua giovinezza ed era stata decisiva per lui.” ( 1)

Negli anni della guerra Albe è impegnato nella lotta antifascista come partigiano e progetta per la Divisione Val D’Ossola un simbolo dalle forme essenziali che viene riprodotto in clandestinità sui materiali personali dei combattenti per la Resistenza.
Lo stesso impegno per la lotta armata viene profuso con forza e convinzione anche nel lavoro di grafica e la fiducia ottimista della visione del mondo di Albe insieme alla compagna Lica ha accompagnato, nella convinzione delle capacità rivoluzionarie dell’immagine, la progettazione di imballi, vetrine di negozi, manifesti, marchi e pagine pubblicitari, allestimenti di mostre, lavoro editoriale: “che cosa erano i partigiani se non partigiani della libertà e della cultura? Combattere per la libertà non è, infatti, combattere per la cultura, combattere per tutti gli ideali del pensiero umano?”, dichiara Albe nel 1947 in Messico.

Un sottile filo comune unisce le opere esposte insieme alla corrispondenza e agli oggetti a testimonianza delle numerose relazioni con intellettuali, artisti, architetti, e risponde ad un insegnamento cardine del loro lavoro cioè la continuità tra la teoria e la pratica.
Questo spirito lo si ritrova anche nella produzione della comunicazione d’impresa e la costruzione dell’identità visiva delle aziende, come l’ideazione del marchio Coop dei primi anni sessanta, “un legame tra quattro lettere, una cooperazione tra caratteri”, dove annullando la separazione tra di essi viene restituita concreta rappresentazione visiva al concetto.
Il linguaggio rigoroso nella composizione degli elementi ritorna costante come cifra stilistica nel lungo percorso creativo dei due grafici e si distingue per la libertà nel movimento delle singole parti, per l’uso dello spazio vuoto come unità significante al pari delle immagini e delle scritte, l’impiego della fotografia con sensibilità sperimentale. La pagina accoglie uno spazio vitale fatto di campiture cromatiche pure (rosso, giallo, blu, nero, i colori base della stampa tipografica) che si dispongono in sovrapposizione alle immagini secondo armonie ed equilibri di derivazione Bauhaus.

Ci piace ricordare in particolare la forza e l’impegno perpetuati nel lavoro dell’editoria, soprattutto di Albe, a partire dalla progettazione insieme ad Elio Vittorini del periodico “Il Politecnico”, alle collaborazioni storiche con Zanichelli, Feltrinelli, Einaudi di cui compone copertine rimaste nella storia della grafica, come quella per Il Gattopardo, Il Dottor Zivago, Pensaci uomo. L’attività nel campo della grafica editoriale gli ha consentito di esprimere al meglio le capacità artistiche, fondando le basi di una professione ancora tutta da costruire, occupandosi degli aspetti visivi dell’oggetto libro o della rivista dimostrando come il proprio ruolo potesse abbracciare aspetti ben più ampi del libro che non quelli puramente esteriori.
“Il ‘titolo urlato’ all’italiana – scrive nel 1974 - è incivile non solo graficamente, ma socialmente, perché presuppone una passività del lettore, vittima di uno schema creato non per informarlo ma per guidare coercitivamente le sue scelte e al tempo stesso controllare, vincolandola, la libertà del giornale”. E ancora “il valore del contenuto, cioè l’onestà del testo inteso come corretta attività di cronaca e di formazione, non ha certo bisogno di una forza scomposta, volgare, distrattiva, ‘urlata’”.

Con questa modalità dà vita a una ricca produzione di manifesti, sia pubblicitari che di propaganda politica, che affidano alla potenza visiva dell’immagine e alla sintesi creata da essenziali elementi visivi di segni e cromatismi, il vero messaggio di comunicazione. Talvolta suona come un urlo disperato come quello del manifesto per il Museo Monumento di Carpi (di cui Albe cura anche l’allestimento interno) con il volto in bianco e nero di una delle vittime dei campi di concentramento portato in primo piano, il cui sguardo allucinato fissa il vuoto oltre lo spettatore.

 

Mostra

Licalbe Steiner. Alle origini della grafica italiana

a cura di Anna Steiner, progetto di allestimento e grafica dello Studio Origoni Steiner

Sinagoga, via dell’Aquila, Reggio Emilia

11 febbraio-16 aprile 2017

 

Catalogo

Licalbe Steiner grafici partigiani, a cura di Anna Steiner, Maurizio Corraini, Mantova,1 2015.

 

1 Italo Calvino in ricordo di Albe in “L’Unità”, agosto, 1974

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